Attacco al cuore dell’Europa: la Russia invade l'Ucraina
Ore 5.30 di ieri: il Cremlino ordina l’invasione. Oltre 130 morti e migliaia di profughi in fuga dall’Ucraina. Nato e Ue impongono sanzioni durissime: «Li fermiamo»
Ieri mattina gli europei si sono svegliati scoprendo che è scoppiata una guerra in più, e stavolta non è toccato a uno di quegli Stati "lontani" del terzo mondo, ma all'Ucraina, nel cuore del Vecchio Continente. Intorno alle 5:30 del mattino (ora italiana) l'esercito russo ha avviato l'attacco al Paese, un'ora dopo il discorso in cui il presidente Vladimir Putin annunciava «un'operazione speciale» a sostegno delle Repubbliche separatiste del Donbass, e volta a «smilitarizzare» e «denazificare» la nazione vicina. L'aggressione - a 8 anni dal conflitto nelle regioni filorusse di Donetsk e Luhansk - è proseguita per tutta la giornata e ha coinvolto porti (come quelli di Odessa e Mariupol sul Mar Nero) e aeroporti, mentre missili sono caduti in varie città, tra cui Kiev. In serata l'Ucraina piangeva oltre centotrenta morti tra soldati e civili, mentre stando al Ministero della Difesa russo sono state colpite oltre settanta infrastrutture dell'esercito. L'aggressione ha comprensibilmente gettato l'Ucraina, Paese che conta 44 milioni di abitanti, nel caos. Nonostante gli appelli al coraggio e a «restare in casa» del presidente Volodymyr Zelensky, sin dall'alba lunghe code si sono formate ai bancomat e alle stazioni di rifornimento di benzina. A migliaia hanno deciso di fuggire, e organizzazioni della società civile in Polonia, Romania, Moldavia e Slovacchia si sono mobilitate per i profughi. (Qui la testimonianza di Michael Surzhin, quindicenne ucraino).
Profughi ucraini al confine con la Romania (Getty Images)
A chiusura di una convulsa giornata, intorno alle 23 l'Ue «in stretto raccordo con gli alleati» ha reagito approvando un "massiccio" pacchetto di sanzioni contro personalità russe e aziende nei settori dell'energia, della finanza e dei trasporti. Misure all'altezza della promessa della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ieri mattina aveva garantito che sarebbe stata «bloccata la crescita russa» al fine di «impedirle ogni altra azione».
L'invasione russa dell'Ucraina giunge a pochi giorni dal riconoscimento da parte del Cremlino della Repubblica popolare di Donetsk (Rpd) e Luhansk (Rpl), regioni a maggioranza russofona e cristiano-ortodossa che hanno proclamato l'indipendenza dopo il conflitto tra le milizie separatiste e le forze di Kiev del 2014, e che da venerdì scorso si era riacceso con scambi di accuse su chi avesse violato per primo il cessate il fuoco. La crisi sul fianco orientale, che gli analisti definiscono «la più grave dalla fine della seconda guerra mondiale», si temeva da settimane, da quando a gennaio la Russia – col pretesto di esercitazioni militari con la Bielorussia – ha iniziato ad ammassare truppe non lontano dalla frontiera con l'Ucraina. Un'azione che ha messo in forte allarme i Paesi Nato che lavoravano all'annessione di Kiev nel blocco atlantico. Il segretario Stoltenberg, con Stati Uniti e Regno Unito, ha più volte parlato di «imminente attacco russo». L'Europa ha cercato il dialogo per evitare l'escalation ma, saldamente allineata all'Alleanza, non ha preso le distanze dai toni allarmisti e ha sostenuto le contromisure adottate, a partire dai 5mila uomini che Washington ha dispiegato tra Romania, Polonia e Germania. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha negato a più riprese ogni volontà di invasione e chiesto - senza ottenerlo - un incontro con l'omologo americano Antony Blinken per discutere le richieste russe: stop all'adesione di Kiev alla Nato e di ogni ulteriore allargamento dell'Alleanza, bloccando anche il dispiegamento di armamenti.
Ora per l'Occidente fare la voce grossa sembra inevitabile, ma c'è da chiedersi se non fosse stato possibile evitare questo epilogo. A partire da un fatto: se c'è una cosa che Mosca non può permettersi, è l'allargamento dell'Alleanza atlantica verso le proprie frontiere, perché questo comporterebbe basi militari internazionali – leggasi "statunitensi" – a un passo dal proprio Paese. Ciò implica che l'Europa non si è ancora affrancata dalle logiche della Guerra fredda. A scomodare il lessico storico sono stati in queste ore proprio i vertici del Cremlino: Putin che parla di «liberare l'Ucraina dai movimenti neo-nazisti» e il suo portavoce Dmitry Peskov che ammonisce i paesi occidentali dal «non isolare la Russia dietro la cortina di ferro», invitano a riflettere sul peso emotivo che il ricordo di quegli eventi bellici gioca sulle popolazioni che ne furono direttamente coinvolte. C'è di più: segnala che la Russia non ha rinunciato a garantire la sicurezza della propria Nazione tramite l'influenza che esercita su territori cuscinetto, che le assicurino anche rotte commerciali, obiettivi noti sin dall'epoca degli Zar. Senza citare i complessi eventi che si sono registrati all'indomani della dissoluzione dell'Urss, è sufficiente ritornare a quelli tra il 2014 e il 2015: l'annessione russa della Crimea - che le ha assicurato l'accesso al Mar Nero - e la guerra in Siria al fianco del presidente Al-Assad, che ancora oggi Mosca aiuta per permettergli di mantenere il controllo sulle regioni dove si produce petrolio. Oltre ad assicurarsi il greggio, la Russia è entrata così nel Mediterraneo grazie al porto strategico di Latakia, dove è sorta anche una base militare. L'Occidente ha sempre negato di riconoscere l'annessione russa della Crimea, imponendo così sanzioni, ma sulla questione siriana si è lasciato a Mosca campo libero, contribuendo ad alimentare l'instabilità in Medio Oriente e generare quei sei milioni di profughi che hanno bussato alle nostre frontiere.
E così, senza riuscire a creare quel dialogo con Mosca che la continuità storica e geografica richiederebbe, l'Europa è ora chiamata a fare i conti con un conflitto che inevitabilmente ridefinirà gli equilibri, a partire dagli interessi nel Mediterraneo e il suo ruolo in ambito di diritti umani – punti peraltro già compromessi, come dimostrano la gestione del fenomeno migratorio o dei dossier Libia, Libano o Egitto. Le sanzioni economiche tanto agognate si riveleranno un boomerang: largamente dipendenti dalla Russia per l'approvvigionamento di gas naturale e per i commerci, le nostre economie resteranno colpite dalle misure punitive proprio mentre avevano iniziato a riprendersi dalla frenata innescata dai due anni di pandemia. Pesa poi la minaccia di un conflitto generalizzato, qualora i paesi Nato dovessero intervenire. Che accada o meno, la ferita causata al popolo ucraino sarà enorme. Per dare una misura della gravità della situazione, Damiano Rizzi, presidente della Fondazione Soleterre, ieri riferiva: «Nell'Istituto nazionale dei tumori dove collaboriamo, i nostri operatori non hanno potuto evacuare 25 piccoli pazienti perché troppo gravi. Chemioterapia e operazioni chirurgiche sono state sospese. Nella casa famiglia dove accogliamo i genitori abbiamo portato estintori, cibo e acqua. A Kiev la gente teme che bombarderanno le riserve idriche».
(Clicca qui per leggere la testimonianza di Michael Surzhin, a "Il Romanista")
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