Rivoluzione nel calcio: scisma Super League
Ora è ufficiale la nascita della Superlega, nella notte fra il 18 e il 19 la nota: 12 i club fondatori. Durissima la reazione di Uefa e federazioni nazionali
La rivoluzione si è consumata nella notte. Quando quello che era sempre apparso come uno scenario futuribile (e per certi versi inevitabile nel calcio moderno) o come una minaccia, a seconda dei punti di vista, ha preso immediatamente forma. A mezzanotte fra il 18 e il 19 aprile la Superlega è diventata realtà con il comunicato diramato dai club fondatori: dodici, dei quali sei inglesi, tre spagnoli e tre italiani. I colossi del calcio europeo, per potere finanziario, blasone e bacini d'utenza: Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Liverpool, Manchester United, City, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Juventus, Inter e Milan. Sono loro i promotori della nuova competizione. A queste società dovrebbero aggiungersene altre tre, i cui nomi al momento non sono noti: quindici squadre che formerebbero lo zoccolo duro del torneo, quello immutabile. Il tutto con la benedizione di JP Morgan, pronto a finanziare il progetto con una pioggia di miliardi (cinque miliardi di dollari; 3,5 una tantum ai club coinvolti).
Nel format previsto ci sarebbe spazio per altri cinque nomi, scelti di volta in volta in base ai risultati conseguiti nella stagione precedente. Le venti squadre sarebbero suddivise in due gironi da dieci con partite di andata e ritorno. Le prime tre qualificate direttamente ai quarti di finale, mentre quarte e quinte dei due gruppi sarebbero impegnate in spareggi per accedere alla fase a eliminazione diretta, percorso che si completerebbe con doppi turni fino a una finale secca in campo neutro. Che vuol dire, in termini di gare disputate, da un minimo di diciotto impegni (tutti infrasettimanali, tranne l'atto conclusivo del torneo nel weekend) a un massimo di venticinque. Attualmente chi arriva in finale di Champions ne gioca tredici. Tanto per immaginare un calendario che sarebbe ancora più ingolfato dell'attuale, perché il torneo in questione, nelle intenzioni dei promotori, non implicherebbe la rinuncia ai rispettivi campionati nazionali.
Senonché tutti i condizionali sono legati alle controparti, che mai come in questo caso sono molteplici e agguerritissime. A partire dai governi del calcio: da quello mondiale a quelli nazionali, passando per la federazione continentale, che per bocca del presidente Ceferin non le ha certo mandate a dire ai dissidenti (in particolare al presidente juventino Andrea Agnelli, «è un bugiardo» la definizione più gentile). Tutti durissimi nelle reazioni, che oscillano dalla minaccia di azioni legali per sessanta miliardi di euro, all'esclusione dei giocatori dei club coinvolti dalle rispettive selezioni (sarebbero così costretti a dire addio anche a Europei e Mondiali), all'espulsione delle dodici squadre dai campionati di provenienza. La scossa ha generato un'enorme onda d'urto a ogni livello: non soltanto le istituzioni calcistiche hanno preannunciato la controffensiva, ma gli stessi governi nazionali si sono apertamente schierati contro la nascita della Superlega. Per non parlare delle tifoserie, a partire da quelle delle dodici squadre, che hanno manifestato tutto il proprio dissenso con striscioni e messaggi sui social. In Spagna, il Betis sul proprio sito ha "escluso" dalla classifica di Liga i tre club separatisti, pur dovendo a quel punto concedere il primato ai rivali cittadini del Siviglia.
Il tutto è andato in scena proprio mentre a Montreux si riuniva l'esecutivo dell'Uefa per approvare il progetto della prossima Champions League a 36 squadre (a partire dal 2024), alla quale si è invece dichiarato favorevole un altro colosso come il Bayern Monaco, che però non è l'unico club di primo piano ad aver criticato aspramente le dodici società dissidenti. Per il momento sono fuori dal progetto Super League tutte le squadre tedesche e quelle francesi (lo stesso Paris Saint-Germain non ha aderito). Contestualmente, i club inglesi e italiani creatori della nuova competizione hanno abbandonato i propri posti all'interno dell'Eca e dell'esecutivo Uefa, da cui si è dimesso Agnelli.
Una versione ridotta del muro contro muro è andata in scena anche dentro i confini nazionali, dove a margine dell'assemblea di Lega i toni verso i club separatisti sono stati molto aspri, soprattutto da parte di Cairo. Ma a differenza di quanto accaduto in sede europea, Juventus, Milan e Inter erano presenti in videocall. E il presidente bianconero ha tenuto a precisare che «i club fondatori continueranno a partecipare alle rispettive competizioni nazionali e, fino all'avvio effettivo della Super League, la Juventus ritiene di partecipare alle competizioni europee alle quali ha titolo di accedere». La battaglia è appena cominciata e già non c'è esclusione di colpi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA