Florenzi, capitano della prima Roma di Ranieri nel giorno del suo 28° compleanno
Indosserà la fascia nella prima di un tecnico che gli chiede "romanità". Nel giorno del suo compleanno, le lacrime di Oporto lascino spazio all’orgoglio
L'importante è che Alessandro si riprenda. L'ha detto chiaro Claudio Ranieri alla sua prima conferenza stampa da allenatore della Roma ieri a Trigoria. La prima di questo nuovo corso, ovviamente. L'aggiustatore, Re Claudio, Ranieri ooh-ooh, chiamatelo come volete, è arrivato, o meglio tornato, a Roma con un preciso mandato: rasserenare e rigenerare. La squadra, ovviamente. Ma anche la piazza. E per ora le parole, che hanno un peso relativo, ma pur sempre un peso, sono state di conforto. Quelle di tutti, di Totti che l'ha bendetto e chiamato («Mister, che sta' a fa'?»). Che stava facendo a Londra, negli ultimi giorni, Claudio Ranieri? Si stava riprendendo - anche lui - da quella storia sbagliata, o missione impossibile, con il Fulham. Riprendersi. Essere positivo. L'ha detto Sir Claudio, è questa la sua forza. È questo che il nuovo tecnico giallorosso vuole trasmettere ai suoi giocatori, in primis a quelli che stanno attraversando un momento di difficoltà. Figuriamoci se non vuole trasmetterlo a quello che sarà il suo capitano (nel giorno del suo ventottesimo compleanno) nella partita che segnerà l'esordio del Ranieri III (giocatore-allenatore-allenatore). Figuriamoci, poi, se questo capitano è un romano come lui.
Bisogno di romanità
«Essendo romano capisco cosa sta passando - ha detto il tecnico in conferenza -. Ogni errore che fa pesa più che ai suoi compagni. Deve tirare fuori la romanità giusta, stare petto in fuori. Non c'è niente di male a sbagliare e ammettere l'errore. Poi c'è un'altra palla da giocare, un'altra partita da giocare. Mi aspetto tanto da lui». Parole al miele, parole da romano, parole da secondo padre. Perché Ranieri e la Roma di Florenzi hanno bisogno, «un giocatore universale, che può giocare sia dietro che avanti, con caratteristiche uguali. Dipende dalla partita, dall'avversario, dalla situazione tattica». E stasera Flore deve cancellare dalla sua memoria il file delle lacrime di Oporto.
Deve disattivare le notifiche del suo smartphone, deve sapere che non si scrive sui muri. Deve tapparsi le orecchie e ascoltare solo il fruscio dell'erba e il tuono del pallone. Deve sapere che se anche dovesse piovere qualche fischio dalle tribune, il punto è che non si può «piacere a tutti» (cit. Alessandro Florenzi, 2 agosto 2018), e deve sapere che se avrà dato al 90' o al 95' più del 100% come sempre ha fatto sarà un giocatore degno di vestire la maglia della Roma e avrà fatto quello che gli chiede il suo allenatore. E che gli chiedono i tifosi. Che forse in qualche caso dimenticano che Florenzi ha legato il suo destino alla Roma rinunciando anche a proposte più allettanti dal punto di vista economico.
Dare tutto, in ogni zolla del campo di gioco e di allenamento. Come già ha fatto con e per Eusebio Di Francesco (e Zeman, Andreazzoli, Garcia e Spalletti), come farà con e per Claudio Ranieri. Che contro l'Empoli conta proprio su di lui, unico romano in campo. Con il nuovo tecnico Florenzi dovrebbe giovarsi di un atteggiamento più prudente della squadra. E quindi avere qualche apprensione in meno. Già, l'apprensione, quella che spesso ti porta a commettere errori evitabili. Come contro il Genoa all'Olimpico, nel primo vero ultimatum alla guida tecnica di Di Francesco, quando all'ultimo secondo di una partita vinta ha rischiato grossissimo per una spinta a Pandev che sarebbe costata molto cara. E come la trattenuta su Fernando Andrade, che aveva un braccio più o meno in fuorigioco. Per il numero 24 stasera c'è solo una cosa da trattenere: i nervi saldi. Per tornare a essere quell'uomo in più a cui tutti gli allenatori, prima o dopo, riservano una maglia da titolare.
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