Derby da leader, trenta precedenti per Capitan De Rossi
Quella di stasera potrebbe essere l’ultima sfida alla Lazio del numero 16, in scadenza di contratto a giugno
Solo il pensiero leva il fiato. Accresce l'ansia per la gara (che già di suo non è da ridere) e contribuisce allo stato di agitazione tipico della giornata. Quello che si disputerà questa sera potrebbe essere l'ultimo derby della straordinaria carriera di Daniele De Rossi. Il suo contratto è in scadenza nella prossima estate, quando il numero 16 soffierà su 36 candeline. Il futuro è ancora avvolto dall'incertezza. Troppo fresco il ricordo dell'infortunio che lo ha fermato per tre mesi (lo stop più lungo da quando gioca), con tutto il corollario d'angoscia che la gravità del problema al ginocchio portava con sé. Ma se il fisico risponderà come ci si augura da qui a fine stagione, il matrimonio fra il Capitano e la Roma proseguirà. E in quel caso il timore iniziale sarà scongiurato, quantomeno rimandato.
Ieri Di Francesco ha fatto intuire che De Rossi sarà ancora una volta guida e faro del gruppo in campo. Troppo importante la gara, per la classifica e non solo, per rinunciare a cuor leggero a un calciatore con un simile carisma. Ma non è esclusivamente questione di leadership: la sua presenza è fondamentale per dare equilibrio alla squadra, grazie a quell'interpretazione unica del ruolo di mediano che sa fornire. Quando sta bene, Daniele si sdoppia: ultima diga a protezione della difesa - dotato dell'intuito necessario a frapporsi sempre sulle linee di passaggio avversarie - e primo costruttore di gioco. E che stia bene lo ha confermato proprio il tecnico alla vigilia, non escludendo l'ipotesi di rivederlo in campo perfino due volte in pochi giorni, stasera come nell'altra fondamentale sfida europea contro il Porto.
Il derby e la Champions, due costanti della meravigliosa storia di De Rossi. Nella Coppa più importante ha esordito ancora prima che in Serie A, arrivando meno di un anno fa a un passo dalla finale. La stracittadina è sempre stata cosa sua, che la Roma non ha avuto bisogno di aggiungerla ai tanti tatuaggi perché ce l'ha già su pelle senza ulteriori disegni. Il primo e l'ultimo dei mille disputati (in realtà sono trenta, ma è come fossero un'infinità per chi li vive tanto intensamente) sono stati all'insegna dei tacchi vincenti. Esordisce il 9 novembre 2003, quando il muro viene abbattuto dallo strepitoso colpo di Mancini. Daniele entra in pieno delirio e fa in tempo a esultare dal campo per il raddoppio di Emerson. Ancora sbarbato, col numero 27 del ragazzo appena salito in prima squadra dalla Primavera, ma già con la voglia di inseguire i compagni sotto la Sud. Quindici anni dopo gli tocca farlo dal lato opposto, arpionando da chioccia Pellegrini, un altro che non ha bisogno di spiegazioni per comprendere cosa significhi un gol nel derby. In quel modo, poi. Nella ripresa, stremato, si butta a terra quando è l'amico Kolarov a punire un passato remoto e distante. Lo fa in solitudine, a distanza di almeno cinquanta metri dalla rete che si è gonfiata. E attende il fischio finale per l'esultanza di gruppo, con quella felicità stampata in faccia che può comprendere soltanto chi vive i derby con la Roma dentro di sé.
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