Champions, quando Joe Strummer dei Clash cantava lo Shakhtar Donetsk
Il fondatore della band inglese nel 2001 cantò i sogni di un rifugiato in fuga con la sciarpa della squadra ucraina del padre al collo. Il tema è tristemente attuale
Lo Shakhtar Donetsk non è solo una squadra di calcio. Non lo è ora, da club sfollato dalla regione del Donbas martoriata dal conflitto civile ucraino e bandiera di chi quella guerra l'ha subita sulla sua pelle. Non lo è stato in passato, quando è diventato perfino l'argomento di una canzone.Il rock inglese ha sempre dimostrato grande fascinazione per il calcio, e se Morrissey con gli Smiths cantava Frankly, Mr. Shankly, l'immagine misteriosa e "di culto" delle squadre da calcio dell'est Europa ha affascinato più di un gruppo. Nella sua Sexuality Billy Bragg si vantava di avere «uno zio che una volta ha giocato / nella Stella Rossa Belgrado», mentre anni prima del tormentone di Mariah Carey, un gruppo oscuro come gli Half Man Half Biscuit intesseva un'ode natalizia al Subbuteo intitolata All I want for Christmas is a Dukla Prague away kit ("Tutto quello che voglio per Natale è una maglia da trasferta del Dukla Praga").
Verso Londra con la sciarpa dello Shakhtar
Per Joe Strummer, già cantante dei Clash, il nome affascinante è stato quello della squadra ucraina dei minatori, che dà il titolo (seppur storpiato in Shaktar) alla settima traccia del disco Global a Go-Go, inciso con il suo ultimo gruppo, i Mescaleros, nel 2001. Ed è una canzone densa di significato, che racconta la storia della migrazione di un macedone che cerca di raggiungere il Regno Unito sul retro di un camion: «Aveva la sciarpa di lana dello Shakhtar Donetsk, un vessillo di libertà avvolto attorno al collo. Ereditata dal padre, uno degli esuli ucraini di Jugoslavia».
Nel libro "Let fury have the hour" si riporta la spiegazione di Strummer sul significato della canzone, che definì il baricentro spirituale e culturale del disco: «È il nome di una squadra di calcio ucraina, e sapevo che ci avrei trovato dentro una buona storia. Non sappiamo cosa succede al di là del nostro quartiere, ecco quello che dice. La canzone parla del movimento di popoli ed esuli e fuggitivi economici. I rifugiati portano qualcosa in dote alla nostra cultura. Portano talenti e abilità con sé. Quindi è una canzone che porta l'attenzione sul bisogno di una leadership più intelligente in tutto il mondo». Cosa in particolare l'abbia convinto a scegliere proprio il nome dello Shakhtar per lanciare questo messaggio, non è dato sapere.
Un tema più attuale che mai
Nella canzone, il sogno dell'esule macedone è rappresentato da una cartolina che tiene sempre con sé: «Una cabina telefonica rossa del 1925 con Wembley sullo sfondo». E il suo destino è sconosciuto, anche se il suo "traghettatore" lo conforta dicendogli: «Se davvero vuoi andare, arriverai lì alla fine, vivo o morto, amico mio. A patto che i soldi siano buoni, sei dentro».
Parole sinistre, se si pensa che la canzone fu scritta in seguito alla tragedia di Dover del giugno del 2000, in cui 58 migranti irregolari cinesi furono trovati soffocati sul retro di un camion. E, pochi giorni prima della morte di Strummer, avvenuta il 22 dicembre 2002, l'attualità della canzone veniva confermata dal ritrovamento di otto cadaveri di migranti turchi in un container nella città portuale di Wexford. Parole che riecheggiano ancora oggi, assordanti, e non solo per il destino da esule dello Shakhtar Donetsk e degli sfollati del Donbas, ma per le notizie quotidiane dei pericolosi viaggi dei migranti e delle tragedie del mare, così simili alla storia del migrante senza nome cantato da Joe Strummer.
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