Inter-Roma, il doppio ex. Prohaska: «Il pari non serve»
«Soltanto chi vince potrà considerarsi ancora in corsa per il titolo. Non c’è una favorita in questa gara ma i giallorossi sono forti e vanno meglio fuori casa»
È riuscito a entrare nella storia della Roma con una sola stagione passata all'ombra del Colosseo, facendo ricredere tutti coloro che avevano storto bocca e naso contemporaneamente quando Dino Viola lo prese dall'Inter, dopo il mancato ingaggio di Boniek, poi finito alla Juventus. La prima vera apparizione di Herbert Prohaska sul terreno di gioco, l'amichevole di apertura del ritiro di Brunico del 1 agosto del 1982, venne accompagnata da un'atmosfera tutt'altro che entusiasta. Ma Liedholm assicurò che era proprio lui quello che cercava la Roma: un centrocampista dai piedi buoni e svelti. E il Barone naturalmente non sbagliò neanche in quell'occasione. L'austriaco alle 26 presenze in campionato, condite da tre reti, ne aggiunse 16 tra Coppa Italia e Coppa Uefa. La leggenda di "lumachina" Prohaska è entrata di diritto a far parte della storia giallorossa con lo Scudetto. Tricolore che invece non era riuscito a vincere in due stagioni all'Inter di Bersellini: il club milanese aveva puntato sul centrocampista di Vienna per inaugurare il proprio mercato straniero dopo la riapertura delle frontiere. Alla Roma ha riscatto le due stagioni non esaltanti trascorse ai piedi del Duomo. In veste di doppio ex della sfida tra giallorossi e nerazzurri, Schneckerl (così lo chiamavano in patria usando un vocabolo proprio del dialetto viennese per mettere in risalto la sua capigliatura) ci ha concesso un'intervista mentre si sta godendo una vacanza in Tirolo.
Prohaska, come sta?
«Molto bene. Mi concedo qualche altro giorno di relax, poi tornerò al lavoro. Inter-Roma sarà una gara che vedrò per Orf Tv».
E che partita sarà Inter-Roma?
«Sarà fondamentale sia per una sia per l'altra. Il pareggio non serve a nessuna delle due, soltanto chi vince potrà considerarsi ancora in lotta per lo Scudetto. Altrimenti Napoli e Juve scapperanno via in modo definitivo e non ci sarà più nulla da fare. A quel punto l'obiettivo resterà un piazzamento in Champions League».
Chi è favorita?
«Non c'è una vera favorita ma vedo bene la Roma. I giallorossi finora mi sono piaciuti di più in trasferta, anche nelle gare che non sono riusciti a vincere. Le peggiori prestazioni le hanno giocate in casa: la sconfitta con l'Atalanta è stata brutta, il pari contro il Sassuolo lo è stato ancor di più. Strano ma vero: la Roma va meglio in trasferta, se ripenso ai miei tempi... Avrei sempre voluto giocare all'Olimpico: che stadio, sempre pieno, il tifo della Roma era grandissimo».
Meglio Milano o Roma?
«Mi mettete in difficoltà. Anche all'Inter sono stato bene, ma a Roma ho vinto uno Scudetto che mancava da tantissimi anni con un campionato fantastico. Da voi torno ogni anno, è sempre bello: qualche giorno in tranquillità mi piace passarlo in una città grandissima per clima, per passione, per tutto».
Il suo periodo all'Inter?
«Arrivavo dall'Austria, Milano era un altro mondo. Il campionato italiano a quei tempi era il massimo per un calciatore, c'erano tutti i più forti. Non come adesso. Ambientarmi non è stato facile inizialmente, poi sono cresciuto: avevamo una buona squadra e giocammo la Coppa dei Campioni arrivando fino alla semifinale. Ricordo che la Coppa dei Campioni era un'ossessione, si parlava sempre degli anni 60, dei trofei vinti dalla Grande Inter, e di una storia importante che no si riusciva a ripercorrere di nuovo. San Siro era sempre pieno. Anche Milano è una bella città».
A Roma lei arrivò tra la diffidenza della città. Come e quando cambiò la situazione?
«Diffidenza ci fu soltanto nel momento iniziale, la gente di Roma mi ha sempre dimostrato molto affetto. È stato facile ambientarmi: eravamo primi in classifica e i tifosi ci hanno sempre sostenuto, anche in quelle pochissime gare perse non ci hanno mai criticato. Così è stato tutto più facile. Mi sentivo libero, Liedholm era un grandissimo, ci lasciava abbastanza sereni: per lui era importante condurre una vita da professionista, ma con libertà. Questo non toglie che vincere a Roma sia più difficile che in altre città».
Lei segnò tre gol nel campionato del Tricolore, quale fu il più importante?
«Tutti e tre ma se proprio devo scegliere dico il rigore segnato a Firenze. Giocammo una grande gara contro una Fiorentina di valore, la Juve perse il derby con il Torino facendosi rimontare due gol di vantaggio, allungammo in classifica. Capii che avremmo vinto lo Scudetto. Peccato che a causa di un infortunio fui costretto a saltare la gara di Genova che ci consegnò il campionato, ma in compenso giocai l'ultima all'Olimpico contro il Torino: fu una grande giornata in uno stadio colorato di giallorosso».
Un ricordo dello Scudetto in due parole?
«Un mese di festa».
Falcao?
«Il più forte di tutti. Un fuoriclasse. Di campioni, però, quella squadra ne aveva anche altri: Conti, Pruzzo e Di Bartolomei. La scomparsa di Agostino ha lasciato un vuoto enorme dentro di me, era il mio compagno di camera nei ritiri, ho condiviso tante cose con lui. Mi manca».
Segue la Roma attuale?
«Certo. E ancora non riesco a capire come possa aver perso punti contro Sassuolo e Atalanta. Deve riprendersi e la gara contro l'Inter è fondamentale. È una squadra che vuole sempre giocare e, allo stesso tempo, corre dei rischi».
Roma-Shakhtar come sarà?
«La Roma è favorita, può passare il turno ma lo Shakhtar non va sottovalutato. I giallorossi hanno dimostrato di poter andare avanti, contro il Chelsea sono stati grandissimi. La Roma è forte, ha tanti giocatori bravi, un bel gioco ma deve migliorare a livello di testa. Non si può perdere punti in quel modo contro Sassuolo e Atalanta».
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