It's running Rome: che Tortu agli inglesi
Anche la 4x100, sicuri? Cerchiamo testimoni. Avete visto come se li sono passati Patta, Jacobs, Desalu e Tortu? Un'impresa dal valore sportivo assoluto
It's running Rome. Anche la 4x100. Ma davvero? Ma siete sicuri? Impossibile, dai. Cerchiamo testimoni. Ne bastano tre, eccoli. Avete visto come se li sono passati Patta, Jacobs, Desalu e Tortu? E come hanno corso, in mezzo agli unici testimoni in uno stadio vuoto? C'era scritta una parola sola: fiducia. L'ha spiegato alla perfezione Esoesa Desalu, per tutti Fausto. Lui è il terzo frazionista, corre in curva perché è il terzo miglior duecentista italiano dopo Mennea e Howe. «Ti fidi di me?» ha chiesto a Marcell Jacobs, il secondo frazionista. Il più veloce si mette sul rettilineo opposto, perché lì si corrono più metri. Sì, si è fidato e ha corso senza rallentare mai, sapendo che Fausto avrebbe preso il testimone. «Fidati, parti prima, che ti raggiungo», ha detto a Filippo Tortu, ultimo frazionista. Tortu s'è fidato, ha preso 3 metri ai cinesi e ha rimontato il britannico Mitchell-Blake centimetro dopo centimetro. A Lorenzo, il miglior partente e che quindi ha corso la prima frazione pur essendo un centista, ha detto solo di non avere paura. Ma s'erano già detti tutto prima. «Ti fidi di me?». «Sì, e pensavi ti dicessi di no?». Davanti a tre testimoni. Beati loro, avranno pensato quelli degli altri. Quelli che considerano il tempo totale la somma dei tempi individuali e pensano che basti. E invece no, non basta. Servono lavoro e fiducia. Così arriva un'impresa che ha un valore sportivo assoluto. Senza paragoni con i 100 di Jacobs, che peraltro c'è anche lui. Senza metafore, perché per costruire una staffetta veloce servono anni di prove e cambiamenti. E infatti Filippo Tortu ha citato tutti gli altri. Davide Manenti, Antonio Infantino e Wanderson Polanco, ma anche Federico Cattaneo e Roberto Rigali. Hanno vinto anche loro, l'oro.
Oro, oro, ieri ne sono arrivati altri due. Uno con Antonella Palmisano che s'è trovata anche lei di fronte a cinesi che correvano. Solo che bisognava marciare e lei lo sa fare meglio di tutte. Non s'è alzata in volo nemmeno quando sembrava trasformarsi in un robot di un cartone animato giapponese con la bandiera a farle da mantello negli ultimi cinquecento metri. Quasi come Alex Schwazer che mostrava i muscoli a Pechino. Avrebbe dovuto esserci anche lui. Anche a Rio. A Rio non c'era Luigi Busà, perché non c'era il Karate. Ieri c'era e ha vinto, nella patria del karate, uno a zero in finale con un azero. A 13 anni era obeso, preso in giro da tutti. Poi è arrivato il karate, ha stretto la cinghia e poi la cintura nera. Ora stringe una medaglia d'oro, la decima di un'Italia da record. Verrebbe quasi da dire che ci conviene che i giochi si facciano ogni cinque anni, se va così. E invece no, il bello non sta in questi risultati. Il bello sta nel pensiero che a Parigi 2024 mancano solo tre anni.
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