Tribuna politica, Ruspandini: "Salviamo il tifo, che bella l'italRoma"
Le interviste di palazzo: "Ero abbonato in Sud ma oggi il romanista è cambiato. La curva è aggregazione. Controlli e repressione uccidono gli ultras"
Dagli spalti della Curva Sud agli scranni del Parlamento, sempre con la Roma nel cuore. È questa - in estrema sintesi - la parabola di Massimo Ruspandini, senatore della Repubblica eletto nell'ultima tornata elettorale tra le file di Fratelli d'Italia. Nato a Ceccano, in provincia di Frosinone, è cresciuto con la passione per i colori giallorossi che lo hanno accompagnato nella sua carriera di politico.
Come nasce la passione per la Roma?
«Sono tifoso della Roma per tradizione familiare e per influenza di mio padre. Poi sono nato nel 1973, sono cresciuto con la Roma degli anni 80 e percepivo la superiorità, anche arbitrale, della Juventus. E mi sono innamorato di quella squadra che sembrava lottare contro tutto e tutti. Poi in quella Roma giocava il mio idolo».
Chi?
«Paulo Roberto Falcao. Cosa vuoi dire a un giocatore che salva la palla sulla linea e poi ti fa segnare l'azione dopo? Un calciatore dal carisma incredibile, una classe straordinaria e la mentalità vincente. In una sola parola: un fuoriclasse. Mi sentivo rappresentato da lui e da bambino quando giocavo indossavo la magia numero 5 in suo onore. Per me il suo arrivo ha cambiato la storia della Roma».
In che modo?
«C'è una Roma prima di Falcao e una dopo Falcao. È uno di quei calciatori che trascina i compagni, il pubblico e accende la fantasia dei tifosi. Ha reso la Roma grande e consapevole della sua forza. Ci ha fatto fare il salto di qualità».
È lui il calciatore più forte che ha vestito la maglia della Roma?
«Certo il primo paragone è quello con Francesco Totti ma sono due giocatori diversi in due epoche diverse ma Falcao resta il mio idolo».
La partita più bella da tifoso?
«La semifinale di Coppa dei Campioni contro il Dundee. Ero piccolo ma ricordo una grande emozione per quel 3-0».
Quella più brutta?
«Naturalmente la finale contro il Liverpool. Non ho ricordi nitidi della partita ma mi è rimasta impressa la lotteria dei rigori. Ricordo lo sconforto delle persone più grandi di me, un dolore fisico quasi assimilabile a un lutto. Si capiva che era successo qualcosa di molto grave».
La rivalità che sente di più?
«Per me resta quella con la Juventus, come credo per tanti della mia generazione».
E il derby?
«In provincia di Frosinone, tra le vecchie generazioni, ci sono molti laziali e dunque i derby sono delle guerre in famiglia. Mio nonno era laziale, mentre io e mio padre romanisti quindi questa sfida la sento ma è diverso».
Che tipo di tifoso è?
«Sono un grande appassionato di calcio, ci ho anche giocato. Mi considero un tifoso competente, anzi mi offendo di più se mi dicono che non capisco niente di calcio che se me lo dicono della politica. Sono un vecchio ultras e ho un legame molto forte con la Roma».
Quindi frequentava lo stadio?
«Io ho avuto l'abbonamento in Curva Sud per anni e ho seguito anche la squadra in qualche trasferta. Ho visto da vicino il cambio della guardia in curva con la fine dell'era del Commando e l'inizio del nuovo corso».
Oggi segue ancora le partite allo stadio?
«Sì, ma non vado più in curva».
Come è cambiato il tifo in questi anni?
«È cambiato tanto. Credo che il tifoso romanista è quello che è cambiato di più negli ultimi anni. Prima i tifosi giallorossi avevano un attaccamento per certi versi eccessivo e per anni abbiamo perdonato tutto a tutti. Qualcosa è cambiato».
Cosa?
«Oggi è diventato un tifoso antropologicamente diverso, forse anche più superficiale. Sicuramente è diventato un tifoso molto più severo. È cambiato il rapporto con la squadra, soprattutto negli altri settori perché la curva continua a tifare. Però prima ricordavo un amore pazzo e viscerale, oggi è molto diverso. Dieci anni fa avrei detto che l'Olimpico era lo stadio più caldo d'Italia, oggi no».
La sua idea di curva?
«La curva e il tifo organizzato sono un momento di grande crescita personale, è una piccola patria. Non sono per lo stadio all'americana dove si va a vedere uno spettacolo, dove ti viene venduto un prodotto. Lo stadio così diventa soltanto un motivo di reddito ed è una cosa che guardo con grande tristezza. Poi la curva ha anche un altro valore».
Quale?
«In un momento in cui non si crede più a niente e le giovani generazioni non hanno spazi di aggregazione, la curva riesce a essere un collante sociale. Certo non è più come una volta ma è una forma di aggregazione importante».
Da tifoso e da politico come vive il tema della sicurezza negli stadi?
«La sicurezza ci deve essere e naturalmente è da condannare ogni forma di violenza. Ma questo non deve prevaricare il tifo e le persone che vanno allo stadio pagando un regolare biglietto. Poi lo stadio Olimpico per troppo tempo è stato un banco di prova per testare misure e provvedimenti repressivi che allontanano le persone dallo stadio e non restituiscono sicurezza».
A proposito di stadio, cosa pensa del progetto di Tor di Valle?
«Una città come Roma merita lo stadio. Sono sicuro che se la Roma in passato avesse avuto un impianto senza pista di atletica e con il pubblico vicino avremmo vinto di più. Un pubblico caldo come quello giallorosso è un valore aggiunto. Speriamo che nel frattempo non distruggano il mondo ultras».
Della Roma di oggi cosa le piace?
«Devo dire che trovo molto interessante l'idea di questa Roma più italiana. Credo che per un calciatore italiano indossare la maglia della Roma debba essere un onore. Non mi piace un certo atteggiamento dell'ambiente romano perché troppo spesso sminuisce l'importanza di una maglia come quella giallorossa».
Il tifo per la Roma ha mai influenzato la sua attività di politico?
«Io vengo da un piccolo comune e sono un tifoso romanista riconosciuto, non faccio niente per nasconderlo. Così c'è il rischio di perdere i voti degli elettori che magari hanno una fede diversa dalla mia».
Se la Roma gioca durante una seduta in Parlamento come si organizza?
«Mi pesa molto non riuscire a seguire la Roma. Per fortuna siamo in un'era tecnologica e siamo attrezzati. Mi consola che non sono il solo, ci sono tanti altri colleghi che soffrono come me».
La Roma è sempre la Roma.
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