Totti Days, 17 ottobre 1998: scusa Francesco, ti presento Bartelt

Lo chiamavano “El Facha”. La rimonta impossibile in due minuti. L’argentino che propizia i gol di Alenitchev e del Capitano

PUBBLICATO DA Gabriele Fasan
07 Aprile 2018 - 07:55

Certo che quel gol di Bartelt all'ultimo minuto ci ha fatto gridare come pazzi. Anzi, quei gol. Sì, d'accordo, c'è stato un Roma-Fiorentina "di Bartelt", ma Gustavo Javier Bartelt non ha mai segnato in quella partita. Eppure nell'immaginario collettivo dei romanisti quel giorno all'Olimpico "El Facha", come era soprannominato, fu l'eroe di una grande rimonta della squadra giallorossa ai danni dei viola. Eroe lo fu davvero, pur senza metterla nel sacco, ma "semplicemente" propiziando i due gol della Roma che invertirono il risultato: da 0-1 a 2-1 in due minuti, all'ultimo respiro.

Ma andiamo con ordine, perché quando dal mercato estivo a Zeman arriva la punta, l'argentino di Buenos Aires, in molti si chiedono chi sia. Eppure qualità ne ha, dicono i suoi compagni dopo i primi allenamenti, impressionati dalle sue doti tecniche. Nel pre-campionato promette bene: in quello che diventerà negli anni a venire l'open day, all'Olimpico contro il Santos, Bartelt gioca il secondo tempo e segna una doppietta nella sconfitta giallorossa contro i brasiliani per 3-2. Nella prima ufficiale di stagione, il 9 settembre 1998 nell'andata dei sedicesimi di finale di Coppa Italia, a Verona un suo gol avvia la rimonta della Roma contro il Chievo. E qua finiscono i suoi gol in maglia giallorossa, la numero 9, proprio lei.

Poche altre apparizioni senza lasciare traccia, ma non toccategli, e non toccateci, Roma-Fiorentina del 17 ottobre 1998. È la quinta di campionato, Gustavo va in panchina perché Zeman gli preferisce Delvecchio al centro dell'attacco con Gautieri e Totti ai lati. I viola di Trapattoni arrivano all'Olimpico in vetta alla classifica dopo quattro vittorie di fila. Guidati da Edmundo e Rui Costa e da un Batistuta inarrestabile, autore del gol del vantaggio al 32', proprio sotto quella che due anni dopo diventerà la sua curva, che lo accoglierà nel delirio per una missione: lo scudetto. La partita è tutta in salita per i giallorossi e si complica ulteriormente perché al 58' Di Biagio si fa espellere per un colpaccio a Edmundo e pochi minuti dopo, al 63', Candela e Falcone si scazzottano e finiscono anzi tempo sotto la doccia. 9 contro 10. Sembra finita ma Zeman, ovviamente, non ne vuole sapere e continua a chiedere ai suoi di attaccare, come se nulla fosse.

Così, a poco meno di un quarto d'ora dalla fine arrivano le sostituzioni che cambiano la partita. Robbiati per Edmundo (che manda a quel paese Trap). E Bartelt per Delvecchio. Siamo al 78'. Pochi minuti per prendere confidenza con i guizzi giusti, poi quando nessuno ci crede più, all'89', l'argentino si insinua da destra e va in profondità in area. La suola del suo scarpino accarezza il pallone. Fa fuori una marea di difensori, la sua veronica sembra un tango. C'è solo la riga di fondo tra la gloria e quel ragazzo arrivato senza traduttore, che qualche anno prima si era fermato un anno a studiare Economia perché fare il calcio non sembrava facesse per lui. Allora mette in mezzo una palla che Alenitchev, che si è prontamente inserito, deve solo spingere in rete. L'Olimpico esplode, incredulo, la sconfitta è scampata. Palla al centro e tutti-a-casa-alè. E invece no. Perché quel faccione da "angelo biondo" mica ha finito. Con una calma olimpica, si inserisce di nuovo, nella stessa zona, nella stessa area dove aveva già ballato, leggero, quasi algido, sembra venuto da un altro pianeta, ma stavolta decide di tirare direttamente in porta. La difesa avversaria lo mura in scivolata, la palla gli ritorna sui piedi, lui riprova con un tiro più angolato ma Toldo lo respinge con i piedi alla Garella. È il 90', ma quella palla deve entrare, qualcuno faccia qualcosa: arriva all'arrembaggio Totti che, di collo sinistro, mette il sigillo su una vittoria pazzesca, che Di Francesco definirà «la più bella» da quando è alla Roma.

Lo stadio si scompone letteralmente, io mi ritrovo al posto tuo, tu al posto suo, impensabile oggigiorno. Totti sta ancora correndo verso la bandierina del calcio d'angolo per andare ad applaudire il suo piede sinistro e Zeman in panchina è lì tranquillo che si guarda nello specchio e accende un'altra sigaretta. Bartelt dopo un attimo di smarrimento è il primo a raggiungere Checco, gli salta sulla schiena, entrano tutti in campo, è una Coppa del Mondo. Un quarto d'ora di notorietà e una carriera che finisce là. In quella stagione il campo lo vedrà 12 volte in campionato, Bartelt, senza segnare. L'anno successivo Zeman viene sostituito da Capello e il cambio di modulo e l'arrivo di un certo Vincenzo Montella alla Roma, nonostante la partenza di Gautieri e di Paulo Sergio, gli tolgono spazio (3 presenze). A gennaio l'angelo biondo con l'elastico fra i capelli si trasferisce in Inghilterra, all'Aston Villa. Ma nessuno, ancora oggi, gli tocchi e ci tocchi quel Roma-Fiorentina, in cui "i gol di Bartelt" ci hanno fatto gridare come pazzi.

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