Te la ricordi quella? Roma-Inter 2-1 e i nostri sogni appesi
Domani il big match dell'Olimpico. Il precedente del 27 marzo 2010: i baci di De Rossi, l'orecchio di Toni, l'orologio di José e una rimonta lunga un anno
Prosegue la rubrica "Te la ricordi quella?". Prima di ogni partita di campionato della Roma, ripeschiamo un precedente storico per risultato, momento, contesto o romanismo. Oggi torniamo indietro di 14 anni, con Roma-Inter 2-1, del 27 marzo 2010.
Ci sono partite in grado di segnare intere generazioni. Partite che, anche a distanza di anni, ricordi perfettamente, perché si incidono nel cuore, più che nella mente. Sai con chi e dove le hai viste, cosa pensavi prima del fischio d'inizio e come ti sentivi dopo i tre finali. Ci leghi contesti e persone, che magari dopo anni non sono più vicine a te. Sapresti contare le "oooo" che ti sono uscite in quel "goooo" urlato al cielo, che la tua gioia doveva arrivare dappertutto, perché tu dentro non te la potevi tenere. Ecco, Roma-Inter 2-1, del 27 marzo 2010 è una di quelle.
Raccontarla passo dopo passo sarebbe inutile: chi l'ha vissuta se la ricorda a memoria, chi non c'era ancora avrà ricordi più recenti da coccolarsi. Una partita che sembrava più un film, girato da un regista abilissimo nell'inserire colpi di scena in serie, uno dopo l'altro e, quando alla fine tutti si aspettano l'ultimo invece no, cambiare rotta e lasciare tutti senza fiato. Roma-Inter 2-1 è tante cose e tanta, tantissima roba per ogni romanista. Il gol del Sedici dopo 16 minuti, con la complicità di Julio Cesar e di Walter Adrian Samuel che voleva regalarci un altro Scudetto dopo quello del 2001. Il bacio di Daniele allo stemma che ha nelle vene e che gli appartiene, i suoi mille baci al parastinco dedicato a sua figlia. Le tante occasioni fallite per il 2 a 0 e la traversa di Samuel, ancora lui, verso la fine del primo tempo, quando avevamo già finito le unghie da mangiare e le sigarette da fumare. Il gol di Milito al 65' a strapparci un sogno, con la complicità di una terna arbitrale (ancora si poteva chiamare così) guidata da Morganti, che in tre non sono riusciti a vedere neanche uno dei tre giocatori dell'Inter in fuorigioco. L'orecchio di Toni, la sua mano e il suo piede destro curativo al 72', che prende un tiro storto di Taddei e lo trasforma in uno preciso, rasoterra, a battere per la seconda volta Julio Cesar e generare il secondo boato dei quattro di quel tardo pomeriggio (calcio d'inizio ore 18). Il terzo boato è interno, un'implosione in ogni romanista, al palo di Milito in pieno recupero, eccolo il colpo di scena che tutti si aspettavano e che invece no, quel regista non ha inserito. Il lieto fine quando Morganti, scaduti e superati i cinque minuti di recupero concessi, si mette in bocca il fischietto e, mentre Mourinho (proprio lui) tira fuori dalla tasca e consulta nervoso il suo orologio, dice che basta così, prendendo la sua prima decisione giusta di quella serata. E il quarto boato, di libertà, dell'Olimpico pieno, con quasi 62.000 spettatori, più ogni altro romanista che la stava seguendo in giro per il mondo.
Una partita, mille immagini. La più romanista di tutte è quella di De Rossi dopo il gol di Toni. Gioca davanti alla difesa, ma sta lì in area di rigore, come al primo tempo quando a segnare è stato lui. La vuole come tutti noi quella vittoria Daniele, quindi più di chiunque altro e come Francesco, che Ranieri manda in campo soltanto a cinque minuti dal novantesimo. E quando Toni la sbatte in rete e si alza per correre verso la Sud, mentre tutti si abbracciano, lo rincorrono, De Rossi salta. Non la sa contenere quella gioia e salta, due o tre volte, come un bambino in preda ad una felicità che non c'entra dentro al suo corpo. Salta e si appende alla traversa. La stessa che nel primo tempo ha fermato Samuel. Rimane lì appeso qualche secondo, vorrebbe restarci per sempre, come i nostri sogni, appesi, che quella sera si trattengono lì su e di cadere non ne hanno alcuna intenzione.
Roma-Inter 2-1 è il punto più alto di un dualismo durato anni. Quando eravamo sempre noi contro loro, solo che in quel "loro" spesso non c'era soltanto l'Inter, ma anche qualcuno vestito a volte di giallo, altre di nero. È una rincorsa durata un anno, partita da -14, che arriva a -1, con l'Inter prima a 63 punti e noi secondi a 62. È la sensazione nitida in ogni romanista quella sera che sì, il sorpasso s'ha da fare e infatti si farà, due settimane più tardi, con la vittoria sull'Atalanta. Arriverà poi il derby di Vucinic, del laser, di Muslera, di Floccari, di Julio Sergio e del pollice verso, ma anche il 25 aprile al contrario, che ci libera dal sogno rigettandoci nella realtà. Ma anche se alla fine quell'immensa Roma arriverà in porto senza vessillo, quel 27 marzo 2010 rimarrà incorruttibile e immortale nel cuore di ognuno di noi, che avevamo solo voglia di stringersi un po' con ogni altro romanista.
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