Chi guarda l'Abisso si perde la Roma: c'è una squadra oltre le polemiche
Tanti indizi fanno ormai una prova: quella di Fonseca è una formazione matura e consapevole. A Bergamo con l'Atalanta serve la controprova
Si rischia di perdere la questione centrale della bella Roma di Fonseca se si sviliscono i temi di approfondimento rincorrendo le prese di posizioni sui comportamenti arbitrali. Quando la discussione su una partita viene trasferita dal piano calcistico a quello delle polemiche cosiddette da bar (almeno quando nei bar ci si poteva infervorare a parlare di arbitri) consente a chiunque di intervenire sul tema, scegliendo una delle infinite digressioni a disposizione di chi ama il calcio delle contrapposizioni. In qualche modo è il segreto del successo di questo sport: difficile trovare qualcuno disposto a fornire un parere qualificato sulle scalature diverse tra una difesa a tre e una a quattro, ma è assai probabile che ogni cittadino italiano potenzialmente interessato al calcio ieri avesse un'idea sull'episodio dell'espulsione di Singo. Biscardi ci si costruì una carriera e diversi suoi epigoni ci hanno dignitosamente campicchiato.
Ridurre però l'ennesimo successo della Roma alla superiorità numerica determinata dall'intervento del palermitano Abisso significa fare un torto alla crescita esponenziale di una squadra che domani a Bergamo avrà l'ennesima occasione di dimostrare se questo salto di qualità è stato realmente spiccato. Perché nelle ultime stagioni le partite contro l'Atalanta sono state quasi mortificanti: l'ultima vittoria arrivò il 20 agosto 2017 all'esordio di Kolarov.
Poi solo sconfitte, in casa e fuori, come l'anno scorso, o imbarazzanti pareggi, causati da fiammanti impennate e clamorosi sottomissioni, spesso nella stessa partita. Oggi all'approccio con la squadra di Gasperini il tifoso della Roma non va più seriamente preoccupato, almeno non nella misura in cui poteva esserlo nelle ultime stagioni. Oggi la preoccupazione deriva essenzialmente dai ridotti tempi di recupero dalla partita col Toro: 70 ore. Un po' perché la squadra nerazzurra sembra aver perso lo smalto dei giorni più brillanti, ma molto perché la Roma è davvero cresciuta. E la gara col Torino lo ha dimostrato una volta di più, a prescindere dalla superiorità numerica.
Torino dopo Bologna
Tra gennaio e febbraio dello scorso campionato, la Roma perse in casa col Torino, fu maltrattata dal Sassuolo, perse in casa col Bologna e fu presa a schiaffi dall'Atalanta a Bergamo. In questo scorcio di stagione ha battuto in scioltezza Bologna e Torino (8 gol all'attivo), ha dominato col Sassuolo in inferiorità numerica e adesso rende visita a Gasperini dall'alto di una posizione di classifica che finalmente la pone al caldo della zona calda Champions. Nessuno può sapere come finirà a Bergamo, ma c'è margine per essere ottimisti.
A differenza di quella Roma, sempre troppo esposta agli attacchi avversari e troppo timida nei suoi uomini più offensivi (con gli impacci ora di Kluivert, ora di Perotti, ora di Ünder), questa ha un diverso grado di solidità (è quarta nella classifica degli expected goal concessi, anche se nella più immediata graduatoria sui gol subiti ben sette squadre hanno fatto meglio) ed esprime un calcio verticale maledettamente efficace, tanto da farla risalire al secondo posto delle squadre più prolifiche della serie A dopo l'Inter.
Lo ha dimostrato anche largheggiando a stretto giro col Bologna e con il Toro, ancorché favorita dalla superiorità numerica: fino al 3-0, sostanzialmente la squadra granata non è stata in grado di opporsi in maniera convincente alle ondate romaniste, già al 10' con una combinazione sviluppata a sinistra (con quella catena Spinazzola, Veretout, Mkhitaryan) avrebbe potuto determinare il vantaggio giallorosso, ma Peres ha clamorosamente sprecato l'occasione. Tra azioni palla a terra e verticalissime transizioni, la Roma in scioltezza ha segnato una, due, tre volte prima di spegnere i motori per arrivare in porto a vela. Questo può essere un difetto, ma risparmiare energie resta una buona idea.
Se ci si specchia troppo
Il rischio semmai è quello di sentirsi troppo bravi. Alcuni giocatori, e ne abbiamo parlato in una precedente puntata, per rendere al cento per cento devono restare concentrati dal primo al novantesimo minuto di una gara, altrimenti tornano ai livelli in cui erano stati relegati soprattutto nell'immaginario tifoso. La svolta quest'anno c'è stata quando tutti i big si sono compattati verso l'obiettivo comune. Risolte le incertezze su Dzeko (ricordate Verona, andò in panchina perché sapeva di essere già della Juventus), reinserito con efficacia Mkhitaryan, ritrovato Smalling, preso Pedro, rigenerati Ibanez e Pellegrini, esploso Spinazzola, confermato Veretout, la squadra ha spiccato il volo. E quando vanno loro diventa più facile per chiunque inserirsi ad un più alto livello di rendimento. Basti pensare ai minuti già garantiti a giocatori che sembravano ormai irrecuperabili, tipo Karsdorp, Peres, Juan Jesus. Ma un paio di brutte prestazioni (quella assai dolorosa di Napoli e quella meno fastidiosa di Sofia) stanno lì ad ammonire riguardo a certi rischi: o si rema tutti insieme concentrati oppure si torna nella mediocrità.
Il nodo portiere
A poco a poco si sta pure formando una squadra più o meno titolare. Restano però dei nodi da sciogliere, il principale dei quali è legato al portiere titolare. L'alternanza imposta da Fonseca nel ruolo non sta dando risultati esaltanti e la riproposizione di Pau Lopez domenica ha destato parecchie perplessità, peraltro confermate dalle incertezze palesate dallo spagnolo. Né si poteva pensare di insistere per tutta la stagione puntando solo su Mirante (38 anni a luglio). Non è facile capire oggi chi sarà il titolare in queste ultime due gare del 2020 contro Alalanta e Cagliari.
Così come ha sorpreso col Toro la rinuncia a Pedro, sempre titolare in campionato finora tranne dopo la squalifica per l'espulsione col Sassuolo. Del resto Villar accanto a Veretout ha formato una solidissima coppia e Pellegrini con Mkhitaryan alle spalle di Dzeko sembra finalmente aver trovato la sua collocazione migliore. Ma ora Pedro (non brillantissimo nei 30 minuti in cui ha giocato domenica) e Cristante (riadattato centrale da Fonseca per sopperire alle assenze dei difensori di ruolo che però ora sono tutti rientrati) reclamano uno spazio e non sarà facile trovarglielo. Di sicuro anche loro fanno parte del corpo dei titolari della Roma del nuovo corso. E merita fiducia.
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