L'analisi tattica di Roma-Sampdoria: una rosa di qualità
Possesso e bellezza: non hanno giocato neanche un minuto quattro o cinque titolari, ma Fonseca ha avuto l'imbarazzo della scelta e ha vinto la gara con i cambi
Salta agli occhi un dato, analizzando i numeri di Roma-Sampdoria. Al di là delle scelte effettuate da Fonseca, nella squadra giallorossa non sono stati utilizzati neanche per un minuto quattro giocatori considerati titolari inamovibili per tutta la stagione dall'allenatore portoghese: Pau Lopez, infortunato, Zaniolo, infortunato, Mancini, in panchina non al meglio della condizione fisica, Kluivert, in panchina per scelta tecnica. Cinque, se vogliamo metterci anche Fazio, anch'esso in panchina e solitamente prima alternativa ai due centrali. Eppure la Roma s'è permessa il lusso di entrare in campo con una formazione e di raccogliere poi i frutti della condotta in gara con un'altra, quando cioè sono stati cambiati prima i 3/11 della squadra e poi i 5/11, sfruttando al meglio la possibilità offerta dall'estemporaneo regolamento fissato in questi tempi di Covid. Che significa? Che la Roma mercoledì ha avuto una squadra titolare, poi mezza squadra di riserve ha cambiato la gara e un'altra mezza è rimasta fuori. E tutti, nello spazio di una manciata di giorni, saranno pienamente a disposizione di Fonseca. Tutto questo per dire che Roma-Sampdoria è stata la rappresentazione plastica della straordinaria ricchezza della rosa romanista e che questa stagione ha vissuto l'anomalia più profonda nell'incredibile sequela di infortuni capitati tra settembre e gennaio, tanti e tali per "qualità" e quantità da neutralizzare una larga fetta di potenzialità tecnico-tattiche. Solo ora, insomma, possiamo vedere la vera Roma e il paradosso è che il contesto ambientale fa sembrare queste partite ufficiali come partitelle senza valore.
Il dominio della partita
Troppe interpretazioni sfumate hanno tolto forse a Roma-Sampdoria la nettezza del giudizio che invece lo svolgimento della gara rivendicava: il pareggio sarebbe stato un risultato decisamente ingiusto a fronte di un dominio giallorosso che è testimoniato dal possesso palla (63 a 37), dal numero dei passaggi (554 a 340), dal numero dei tiri verso la porta (24 a 15) e dal numero delle occasioni (7 a 5, anche se 2 di queste sono state regalate da Diawara, e una è l'unico gol doriano). Senza contare che Veretout aveva fissato il risultato in parità già nel primo tempo con una magnifica prodezza (un piattone destro di rara bellezza e precisione finito giusto all'incastro dei pali) prima che il Var inducesse Calvarese ad annullarlo per la più stupida delle regole fissate dall'Ifab, quella secondo cui un gol che abbia all'origine un tocco di braccio anche se totalmente involontario deve essere annullato. Speriamo semplicemente che questa regola sia presto cambiata. Resta però la chiara sensazione che la Roma abbia costruito nel primo tempo le giuste azioni per punire una Samp sempre troppo prudente (con Quagliarella in convalescenza, tenere fuori anche Ramirez, Bonazzoli e La Gumina è sembrata scelta poco produttiva) anche se aggressiva a volte sin nel cuore dell'area romanista (poi nel secondo tempo, come possiamo vedere nel numero isolato in pagina, l'aggressività è decisamente scemata). Seppur tardivo, il gol del definitivo vantaggio di Dzeko ha rimesso comunque le cose a posto.
Dzeko, o della qualità
Solo dalle partite serali di mercoledì si potrebbe trarre una lezione chiarissima di quanto la qualità sia decisiva nell'indirizzamento dei confronti tra squadre di calcio: là dove l'Atalanta aveva sofferto contro il Sassuolo rimanendo però indenne almeno ai fini del risultato (e il 4-1 aveva lasciato credere che la gara fosse stata a senso unico), la Lazio ha invece costruito nel primo tempo quella che a un certo punto si è pensato potesse diventare una vittoria schiacciante. Dal punto di vista tattico, la squadra di De Zerbi aveva trovato gli stessi varchi nella difesa nerazzurra, ma senza trovare la via del gol: la maggior qualità di alcuni giocatori della Lazio aveva invece consentito ai biancocelesti di ritrovarsi in doppio vantaggio (il primo su autogol, ma per salvare un gol che sembrava fatto, il secondo su prodezza di Milinkovic), salvo poi arrendersi ad altra qualità, quella dei giocatori dell'Atalanta, bravi a segnare col Sassuolo e anche con la Lazio. Così come alla Roma non è bastato azzeccare schemi su calcio piazzato o splendide giocate in costruzione dal basso o in veloce transizione, per conseguire rassicurante vantaggio già durante la gara. Ma poi è salito in cattedra Dzeko che, grazie all'assistenza di Pellegrini e Cristante (due "rincalzi" di giornata), ha rimesso la Roma al centro del villaggio della 27ª giornata con due stratosferiche conclusioni al volo, difficili sia per il carico di forza da commisurare (il primo, di collo) sia per il tocco da calibrare nella giusta direzione (il secondo, di piatto).
Il sistema di gioco resta quello
Dopo tante prove di difesa a tre (anticipate dall'intervista che Fonseca concesse al Romanista nei giorni del lockdown, lo scorso 10 aprile), la Roma è tornata in campo senza dismettere il suo vestito solito: quattro difensori a mettere le toppe, due centrocampisti di taglio e cucito, quattro stilisti pop per l'attacco. Nei movimenti, molto spesso Kolarov si è trovato altissimo a spingere sull'esterno di sinistra, mentre Veretout si abbassava ad impostare al fianco dei due centrali e Mkhitaryan andava a cercar gloria più vicino a Dzeko, visto che tecnicamente parlano la stessa lingua: dall'altra parte invece Perez limitava un po' gli inserimenti del quasi omonimo Peres, con Pastore di conseguenza destinato più spesso ad affiancare Dzeko sul lato destro. Così quasi sistematicamente la Roma si è ritrovata in fase di possesso con i due difensori centrali in impostazione, Veretout prima sponda a sinistra, Peres a destra con Diawara centrale, e cinque attaccanti a dividersi gli spazi, con Perez e Kolarov esterni e Pastore, Dzeko e Mkhitaryan più centrali. Un 2-3-5 di grande qualità tecnica che ovviamente diventava complicato riequilibrare in caso di perdita di possesso, nelle transizioni avversarie. Da qui certo affanno nella gestione e anche il gol di Gabbiadini: perché Smalling ha recuperato la palla e ha servito Diawara che era già pressato, lo scarico all'indietro verso il portiere è venuto moscio, Ibanez non ha avuto la prontezza di provare a rimediare (e neanche ha chiuso bene la porta nell'ultimo, disperato tentativo) mentre Mirante si è trovato a metà strada. Ma sono conseguenze che vale la pena rischiare per potersi permettere un'impostazione tanto offensiva. Questo, almeno, è quello che chiede Fonseca.
© RIPRODUZIONE RISERVATA