L'analisi tattica: la Roma vera è quella che non c'è
Il rimpianto: in una squadra che soffre di alti e bassi, anche nella stessa gara, aumenta l’amarezza per non aver mai avuto i migliori in forma tutti assieme
Qual è la vera Roma? Scomponendo il tempo in periodi più o meno lunghi non si viene a capo del quesito. Persino la Roma di epoche diverse vanta (o denuncia, nei casi più gravi) tratti caratteriali simili. Forse il rendimento in altalena è connaturato alla struttura molecolare di questa squadra e di questa società. Qual è, almeno quest'anno, la vera Roma? Può essere quella che a fine dicembre guardava la Lazio dall'alto verso il basso e misurava le proprie ambizioni sul calendario di Inter e Juventus? Può essere quella tremolante di inizio 2020 che scappava impaurita di fronte al primo avversario appena dignitoso? Può essere quella che da un turno ad un altro di campionato cambia faccia e vesti senza apparenti motivi? Può essere quella capace di costruire otto palle goal nei primi 15 minuti di Cagliari o magari è quella che nel secondo tempo più segnava e più si faceva raggiungere? Risposta certa a questi quesiti non c'è. O meglio, forse la vera Roma quest'anno avremmo potuto vederla davvero se avessero mai giocato assieme, al meglio della loro condizione, giocatori come Pellegrini, Zaniolo, Mkhitaryan, Dzeko, Smalling, Mancini, Kolarov, persino Florenzi, uno che avrebbe fatto comodo e che invece per la smania di giocare ha chiesto di espatriare. Ma questa Roma, per cause indipendenti dalla volontà dell'allenatore, non l'abbiamo vista e, almeno per questa stagione, non la vedremo più. Tanto vale cercare di mettere qualche punto fermo nell'analisi di quella che può andare in campo anche nelle differenti versioni che mostra.
La partita paradigma
La gara di Cagliari in questo senso può essere presa a modello di sistema. La produzione offensiva, soprattutto nel primo tempo, soprattutto nei primi 15 minuti, è stata spaventosa: si va dal doppio intervento, al 4' e al 7', di Olsen su Kluivert e Kalinic, al colpo di testa solitario di Fazio fuori misura all'8', passando per la triplice occasione del 10', quando Ünder ha sbattuto sulla traversa, Miky sul portiere svedese e Kalinic su Klavan, finendo con il destro di Peres al 13' per finire con il colpo di testa ancora di Fazio al 15', saltando, e in qualche modo ostacolando Smalling, sul secondo palo senza avversari intorno. In quei momenti funzionava tutto dal punto di vista offensivo, la palla scorreva veloce, gli esterni puntavano il fondo o entravano dentro il campo scegliendo sempre la soluzione più efficace, Miky dava imprevedibilità ad ogni azione e la squadra rimaneva corta, solida e compatta. Poi, però, una volta raggiunto il rassicurante doppio vantaggio del 3-1, è cominciata la gestione passiva del risultato, testimoniato dal possesso palla lasciato tra i piedi di avversari stanchi e sfiduciati. Basti pensare che nel secondo tempo la Roma ha gestito il pallone solo per 9 minuti. È vero che il Cagliari non è stato particolarmente pericoloso e che almeno l'episodio del rigore è figlio di evidente casualità, ma proprio per questo la Roma avrebbe avuto bisogno di serenità e palleggio, invece la squadra ha rinunciato a tenere il pallone e si è abbassata (il baricentro è passato dai 53 metri di media del primo tempo ai 43 del secondo), nonostante la buona attitudine dimostrata dall'esordiente Villar (88% dei passaggi riusciti, 30 su 34), dalla felice serata del trequartista armeno (74 azioni sono passati sui suoi piedi) e persino dall'insperato apporto in fase di possesso di Brunetto Peres (54 palloni giocati). Quello che ha corso di più è stato invece Cristante: 11,5 km. E poi si è ricorso più spesso ai lanci lunghi (dal 10% del totale delle azioni nel primo tempo al 14% del secondo) e si è pure abbassata drasticamente la percentuale dei duelli vinti (dal 57% del primo tempo al 41% del secondo).
La mancanza di solidità
Come già accaduto a Gent, insomma, pur senza subire occasioni clamorose, la Roma ha lasciato che avversari decisamente più scarsi trovassero nuove energie quasi in virtù dell'arrendevolezza mostrata. Nessuno ovviamente pretende dalla Roma di dover dominare tutte le partite, ma solo di riuscire a controllare/gestire le gare chiaramente indirizzate (come in Belgio dopo l'1-1 o a Cagliari sull'1-3) quando chi è di fronte sconta un evidente gap tecnico. E invece, vuoi per qualche limite di personalità, vuoi perché le fatica annebbia i muscoli, vuoi perché si smette di tenere alta la concentrazione, succede spesso che la Roma dià l'impressione di poter sbandare anche se non sta giocando una finale europea contro una corazzata continentale. Il gol del 2-3, ad esempio, è figlio di tutto questo: l'azione nasce da un'occasione da gol per la Roma, sprecata banalmente da Ünder, mentre Bruno Peres resta seduto a terra a seguirne gli esiti (c'era finito per dar sostegno al turco, ignorato poi come gli altri compagni), tanto da giustificare l'urlaccio di Fonseca (vedi grafica a lato). Sulla transizione che ne è seguita, il tocco di prima di Nainggolan a liberare Pereiro è il colpo geniale dell'artista che rende pericolosa un'azione normale. Nonostante tutto però l'uruguaiano deve percorrere metà campo con tre difensori schierati davanti e il supporto esterno di Joao Pedro a sinistra (là dove manca Peres) e di Simeone a destra: e se Pereiro riesce ad arrivare fino al limite e a tirare di sinistro è perché Fazio e Kolarov non riescono ad essere efficaci dalla loro parte, il terzino serbo perché non stringe bene la marcatura per chiudere l'eventuale passaggio interno su Simeone, il centrale argentino perché lascia troppo spazio all'avversario sul suo piede migliore e poi perché, impaurito dalla mancata copertura di Kolarov, non esce a contrasto. Troppi errori per restare impuniti.
Troppo nervosismo
Se è vero che il fine giustifica i mezzi è anche vero che una grande squadra non dovrebbe mai puntare sull'ostruzionismo per arrivare a vincere una partita. Forse per effetto della stanchezza accumulata in tante partite ravvicinate, molti giocatori giallorossi hanno contribuito ad alzare il grado di nervosismo della gara, finendo però con il pagare dazio alla vittoria, ancora una volta: sono arrivate infatti altre cinque ammonizioni (senza entrare nel merito, in questa sede, della liceità dei provvedimenti). Di sicuro l'arbitro è stato costretto a fischiare tanto e infatti, nonostante il recupero monstre di sette minuti, quella di Cagliari secondo i dati della Lega è stata una delle partite della Serie A in cui si è giocato di meno: appena 46 minuti di tempo effettivo.
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