Fonseca, l'imperativo è osare: ecco come si possono battere Cagliari e Siviglia
Il mister contro il Gent aveva chiesto coraggio alla squadra ma in campo non si è visto. Ma per superare i rossoblù e gli andalusi in Europa League servirà
C'è un modo di preparare una partita e poi c'è un modo di giocarla. A volte riesce il piano studiato con la strategia dell'allenatore, a volte meno.
La Roma alla Ghelamco Arena per la gara di ritorno dei sedicesimi di finale di Europa League si era presentata così: solito calcio d'inizio aggressivo con lancio lungo (di un centrale, nello specifico Mancini) per Dzeko, anticipato di testa da un difensore che poi ha rinviato addosso a Cristante sulla trequarti che ha scambiato con Kolarov per poi cercare di nuovo Dzeko, anticipato, ma la rimessa è stata ancora preda di Mancini che a quel punto ha allargato a destra per Veretout, nella sua impostazione allargata sulla linea dei difensori, il giropalla è poi arrivato su Spinazzola per poi tornare indietro, è finito su Cristante e ancora su Spinazzola con maggior spazio davanti, da lì la palla è passata centralmente per Perez che di tacco ha servito all'indietro Mkhitaryan che ha allargato per Kolarov che ha battuto a rete dopo il primo controllo: palo opposto scheggiato in appena 48 secondi.
Sembrava il preludio ad una serata magica, è stato invece uno dei pochissimi episodi costruiti dalla squadra giallorossa in una partita in cui i momenti di difficoltà (fisica, tecnica, tattica) sono stati di gran lunga superiori alle cose apprezzabili.
Tra il dire e il fare
Come ha poi confessato a fine partita in conferenza stampa, Fonseca aveva insistito sulla soluzione in costruzione con due centrali e Veretout aperto a destra, con il duplice scopo di agevolare il primo palleggio con i due attaccanti avversari in presumibile pressione alta e coprire contemporaneamente le spalle ai terzini aperti e alti, con quella che si chiama marcatura preventiva.
Compito che il centrocampista francese ha svolto egregiamente con il Lecce ma che quasi mai ha dato vantaggi nella sfida di Gand. E non solo: a volte Veretout sulla transizione negativa è rimasto in quella terra di mezzo che non gli consente di diventare il primo argine né di chiudere la profondità.
C'è un'azione al 9' del secondo tempo che lo mostra in maniera significativa: sulla palla persa dalla Roma David gli sfila alle spalle e lui non si abbassa a coprirne almeno la traiettoria, obbligando nello specifico Spinazzola alla gran corsa all'indietro per recuperare. Dall'altra parte c'è Kolarov che nel giro palla si abbassa a dar sostegno, ma spesso non vede la prima linea di passaggio che gli si apre davanti, preferisce controllare prima il pallone e poi aggiorna la sua valutazione e quando poi gli si chiudono gli spazi finisce invariabilmente per servire il pallone all'indietro.
La mancanza di serenità
Quando poi la partita e il risultato in equilibrio fanno perdere la serenità, emergono i difetti tecnici (e a volte di personalità) dei giocatori che invece dovrebbero garantire lo sviluppo più fluido dell'azione. Nel movimentato secondo tempo, con la paura di prendere quel gol che avrebbe poi dato ulteriore adrenalina ai padroni di casa fino a credere realmente nel miracolo della qualificazione, si sono persi troppi palloni (addirittura cinque nei primi due minuti di gioco della ripresa), e con la palla sui piedi di Lopez molto spesso i difensori romanisti con il linguaggio del corpo facevano capire al portiere di preferire la soluzione lunga piuttosto che la costruzione dal basso.
E proprio un doppio errore al 20' (Cristante lento nello smarcarsi, Veretout poi impreciso nella trasmissione del pallone) ha consentito ai belgi di costruire la miglior palla-gol, con immediato sviluppo a destra, cross all'indietro e forbice al volo di Odjidjia finita fuori di pochissimo. Quando poi, al 25', ci si è provato di nuovo, l'azione si è sviluppata fino a raggiungere Kolarov alto a sinistra e quasi non marcato (vedi grafica accanto).
Bisogna osare
Per come Fonseca l'ha concepita, ed era forse una necessità anche per Di Francesco, questa è una squadra che riesce a dare il meglio di se stessa solo quando osa. Declinato per undici, il verbo significa che ogni giocatore deve essere spinto ad andare oltre i propri limiti. E non sembri così complicato: basta provarci a volte per riuscirci.
Dettare un passaggio con un contromovimento è diverso che aspettarlo da fermo; incrociare la traiettoria in uno smarcamento con il proprio compagno è preferibile alla corsa sui binari paralleli; servire in compagno in sovrapposizione piuttosto che cercare improbabili vie di sfogo centrali rischiando la perdita del possesso e la transizione negativa è un rischio che non sempre vale la pena correre; non smarcarsi per liberare nuove linee di passaggio impedisce ogni sviluppo di manovra; aprirsi in marcatura alta con un terzino prima che l'avversario riceva il pallone obbliga spesso solo il centrale di difesa a sua volta ad allargarsi per coprire il buco su una verticalizzazione improvvisa (vedi gol del Gent); rinunciare quasi sistematicamente al cambio di gioco anche quando si gioca contro squadre "strette", tipo quelle con tre centrocampisti, un trequartista e due punte vicine (Gent, Lecce, Cagliari...), significa rinunciare a possibili sviluppi importanti.
Sono questi i fattori che a volte mandano la squadra in difficoltà. A prescindere da qualsiasi numero statistico. E se la Roma non "oserà" di più, sia a Cagliari sia contro il Siviglia in Europa League, andrà in difficoltà. Poi ovviamente ha ragione Fonseca quando lamenta il fatto di non avere tempo per fare recuperare le energie spese, nella cecità di un'organizzazione di Lega che preferisce seguire altre logiche piuttosto che mettersi al servizio del calcio. Ma questo è un altro tema.
L'organizzazione difensiva
C'è poi un altro argomento che ha a che fare con le singole caratteristiche ma anche con la didattica degli allenamenti di Fonseca. L'allenatore non ama entrare pubblicamente nei dettagli delle spiegazioni tattiche, ma a volte non si capisce semplicemente osservando i comportamenti dei giocatori quello che lui gli richiede.
Se osserviamo il gol del Gent, ad esempio, a prescindere dallo sbilanciamento da una parte della linea difensiva di cui abbiamo già parlato, c'è anche l'errore di Mancini che si muove solo seguendo il corso del pallone senza mai cercare il contatto (o almeno lo sguardo) per limitare lo smarcamento dell'avversario: così sul cross il difensore viene scavalcato e il giovane David si ritrova solo davanti a Pau. Eppure Mancini era uno abituato a marcare a uomo con Gasperini. Ma che gli chiede in quelle situazioni esattamente Fonseca?
© RIPRODUZIONE RISERVATA