L'analisi tattica di Roma-Lazio: la legge di Fonseca, cuore e strategia
Anatomia di un dominio: come trasformare una squadra precaria in una macchina da gioco formata da calciatori motivati che sanno cosa devono fare
Un vincitore il derby l'ha prodotto. Si chiama Paulo Fonseca, è l'allenatore della Roma che ha sfidato ancora una volta lo scetticismo che serpeggiava prima della partita (un po' come prima della gara d'andata, poi chiusa avventurosamente, ma anche dignitosamente, con un pareggio) stavolta però imponendo la sua mentalità, senza concedere niente all'avversario e, soprattutto, senza abbassare mai lo sguardo, né il baricentro della squadra. Ecco, basterebbe questo dato a fotografare la partita: la Roma nel primo tempo si è messa sui 59 metri di baricentro, mentre la Lazio stazionava prudentemente intorno ai 42. Ma è nella ripresa che il dominio è stato ancora più evidente, con la squadra giallorossa a guadagnare altri metri (baricentro medio su 60,53) mentre Inzaghi chiamava i suoi fin quasi davanti alla porta di Strakosha (36,75 metri). In questi numeri c'è la differenza dello spirito delle due squadre: da una parte il tecnico che vuole imporre la sua mentalità offensiva e predispone le migliori strategie per farlo (magari senza farsi infilare in transizione), dall'altra un allenatore che ha l'innegabile merito di aver portato la sua squadra in overperforming, come si dice in gergo, e quindi ad ottenere risultati ben superiori rispetto ai meriti, tenendo comunque spesso i suoi giocatori sotto la linea della palla (con la Juventus due volte ha vinto così) e sfruttando soprattutto le indubbiamente sofisticate qualità di palleggio nella seconda metà del campo dei suoi giocatori. Sono meriti, da entrambe le parti, e sicuramente indiscutibili. Ma se permettete, ci prendiamo la filosofia di calcio, e di vita, di mister Paulo Fonseca, uomo saggio e mai velenoso, bravo tecnico e offensivista di buon senso, pater familias con l'attitudine al perdono ma anche inflessibile nell'applicazione delle proprie idee. Con lui chi sbaglia si accomoda. L'unica deroga sembrava quella concessa a Kolarov: da domenica non vale più neanche quella.
Il confronto con Inzaghi
All'andata indubbiamente Fonseca era rimasto sorpreso: la Lazio gli capitò alla seconda giornata, era a Roma da 50 giorni e non diceva ancora neanche una frase in italiano. Alla vigilia di quel suo primo derby cominciò a considerare l'idea di rivedere qualcosa rispetto alla sua idea iperoffensiva di calcio e la gara attenta con la Lazio, evitando una sconfitta che sarebbe stata pesantissima da digerire forse ancor di più di una eventuale domenica scorsa, lo convinse di aver intrapreso nella maniera migliore la strada che lo porterà mesi dopo (e quindi pochi giorni fa) a dire di sentirsi un tecnico molto migliorato rispetto a prima e proprio grazie alle conoscenze acquisite nel calcio italiano. A Torino con la Juventus, per esempio, qualcosa ha sbagliato anche lui. Con i campioni delle ripartenze veloci e di qualità (vedi il gol di Cristiano Ronaldo, che ha tolto tutte le certezze alla squadra) non ha usato nessuno degli accorgimenti tecnici (un uomo come Veretout in mezzo al campo) o tattici (tenere ad esempio un esterno più basso di un altro) che invece hanno funzionato con la Lazio, così la Roma ha pagato un caro prezzo. Il derby invece l'aveva studiato benissimo e se l'arbitro avesse avuto maggior personalità (il richiamo al Var dovrebbe essere consentito da regolamento solo in caso di chiaro ed evidente errore, e non poteva essere il caso del contatto Kluivert-Patric) o se avesse usato maggior attenzione (a capire la portata della spintarella tra Acerbi e Pau Lopez nell'occasione del pareggio della Lazio) forse il risultato finale avrebbe premiato tanto coraggio, per usare una parola che Paulo stesso ama moltissimo.
Resta negli occhi la bellissima prestazione soprattutto dal punto di vista tattico: la Roma era una squadra precaria, con tanti infortunati nel periodo (Pastore e Perotti sono tornati proprio nel derby, ma ovviamente non potevano essere titolari), con una condizione psicologica complicatissima dopo la sconfitta di Torino, e doveva incontrare una squadra tirata a lucido, con meccanismi tattici ormai rifiniti in tre anni e mezzo di lavoro comune, e nel pieno dell'entusiasmo per via delle undici vittorie consecutive. Fonseca è riuscito nell'opera di trasformazione della squadra con pochissime mosse: cambiando i due terzini di Torino (e Santon e Spinazzola hanno risposto con una prestazione di livello decisamente alto), chiedendo a uno di restare basso nell'impostazione per costringere il temuto Lazzari a non alzarsi troppo dalla parte dell'altro, inserendo una tigre nel motore (Veretout), sfruttando la bravura del redivivo Dzeko, e bloccando sul nascere ogni iniziativa biancoceleste con un sistema di pressioni altissime chiaramente studiato a perfezione (come si può vedere anche nelle grafiche a lato). E rimotivando tutti i giocatori: e quando in campo sai quello che devi fare, riesci anche a dare di più sotto il profilo agonistico. Così la Roma ha dominato la partita controllando il pallone in maniera persino imbarazzante (68% nel primo tempo), con una mole infinita di passaggi (531 a 218 secondo la Lega Serie A), senza alzare mai il pallone (il 5% delle soluzioni offensive è stato il lancio lungo, per la Lazio il 20%), tirando a ripetizione verso la porta di Strakosha (24 volte contro le loro 6, quattro volte tanto), con un'intensità di pressing incredibilmente superiore (la Lazio ha concesso in media 26 passaggi ad azione difensiva romanista, al contrario la Roma ne ha lasciati appena 8).
La classifica possibile
Resta poi il fatto che la Roma segna poco rispetto a quello che produce. E questa è una colpa che nessuna attenuante arbitrale è in grado di emendare. Riprendendo un'interessante statistica di As Roma Data, aggiornata con il contributo del nostro fornitore di dati Wyscout, vediamo per esempio come la Roma nelle quattro partite sin qui disputate nel 2020 abbia costruito azioni da gol che statisticamente (il parametro si chiama expected goal) avrebbero dovuto garantire 11 reti (10,97 per l'esattezza) e avrebbe dovuto subirne 5,49. In realtà ne ha fatte 5 e ne ha subite 5: significa che ha preso esattamente tutti i gol che meritava di prendere, ma ne ha segnati meno della metà. Nel dettaglio avrebbe dovuto vincere 3-2 col Torino, 2-1 con la Juventus, 1-2 a Genova, 4-1 con la Lazio: sarebbero 12 punti, ne ha fatti 4. Oggi la classifica sarebbe questa: Juventus e Inter 48 punti, Roma 47, Lazio 44 (con la gara col Verona ancora da recuperare). Basta e avanza per avere il rimpianto per quella che avrebbe potuto essere già a questo punto la stagione romanista, non per autorizzare qualcuno a mollare proprio adesso.
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