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TatticaMente - L'analisi di Sampdoria-Roma: la cultura del calcio offensivo

Dentro il progetto, ecco dove può arrivare Di Francesco. La Roma è a metà del guado: tornare indietro non si può. Davanti c’è un destino nobile, adesso bisogna insistere

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
26 Gennaio 2018 - 08:18

La metafora del pugile può forse aiutarci a capire qualcosa di più della Roma, dell'obiettivo del suo allenatore e del tipo di campionato che questa squadra sta facendo. Dei partecipanti al challenge chiamato campionato di serie A, la Juventus sembra quel pugile fortissimo e pieno di gloria, abituato a schiacciare gli avversari dall'alto della sua superiorità tecnica, che dà due pugni da ko all'inizio del match e se l'altro resta in piedi poi sta comunque buono buono fino all'ultimo round, sapendo di aver comunque perso. Questo pugile è il migliore, ma a volte sembra conoscere un po' l'usura del tempo. Ma alla lunga tutti sanno che è lui il pretendente principale alla cintura più nobile. Il Napoli è quel pugile di gran talento cresciuto in palestra a suon di allenamenti e grazie al lavoro quotidiano è arrivato ad insidiare il re, ma tutti pensano che da un momento all'altro possa crollare, magari non nella corsa di avvicinamento alla sfida finale, ma proprio nel confronto diretto. La Lazio è quel pugile che tutti hanno sottovalutato e che però resta tra i più insidiosi, perché raramente accetta il confronto diretto a pugni e basta, si nasconde e colpisce, e, quando lo fa, lo fa forte e fa male anche perché approfitta sempre dei punti deboli degli avversari. E a forza di farlo si è talmente convinto di essere forte che ci sta prendendo gusto e adesso osa anche di più. Poi c'è l'Inter, pugile un po' suonato che ha appena cambiato coach e il lavoro diverso a cui si è sottoposto sta dando i suoi frutti, ma alla lunga rischia di non essere più all'altezza di prima.

L'IDEA BELLISSIMA

Infine c'è la Roma, che sul piano dei valori tecnici partiva con maggiori possibilità rispetto alla Lazio, che come talento poteva vantare persino qualche credenziale in più rispetto al Napoli, ma che si è messa a lavorare in palestra solo da poco tempo e lì sta coltivando un'idea bellissima: battere gli altri puntando solo sull'attacco a viso aperto, senza mai chiudersi alle corde, subendo per questo a volte colpi pericolosi, che la fanno barcollare, a volte cadere, ma che comunque la portano ad imparare ogni volta una cosa nuova. E a tratti sa essere bellissima. Propone un pugilato nuovo, meno calcoli e più spettacolo. Eppure, la Roma oggi è quel pugile a metà del guado che comincia a dubitare che la strategia scelta sia quella giusta a forza di sentire i mormorii di quelli che la sanno sempre più lunga degli altri, gli espertoni che non capendo il lavoro straordinario studiato in laboratorio e rifinito in allenamento provano alle prime difficoltà a consigliarti di mollare tutto, di cambiare strada, «perché così non vincerai mai». Li avesse ascoltati Sarri nei due anni di percorso fatto per arrivare sin qui, il Napoli non sarebbe diventato mai così bello e comunque così competitivo. Ecco perché riteniamo che Di Francesco debba continuare su questa strada. Andare oltre. Il calcio ha bisogno di spinte nuove, culturalmente rivoluzionarie rispetto alla coscienza di un paese abituato non solo nello sport a vincere sfruttando solo l'errore dell'altro, a tenere la testa bassa e alzarla solo quando gli altri non vedono, ad applaudire l'altro solo se è un amico, e ci conviene, oppure ad applaudirlo solo se è vincente (non importa come) sperando di potergli diventare amico.

LA SPINTA PODEROSA

E questi concetti vanno ribaditi con maggior forza dopo partite come quella di Genova, quando una squadra in fortissima difficoltà psicologica, in grande imbarazzo fisico e con gli uomini contati è scesa in campo contro la sesta forza del campionato senza fare calcoli e giocando tutta la partita all'attacco. A tratti, nel secondo tempo, ammirando la spinta potente della squadra giallorossa che non s'è mai esaurita nonostante le punture di spillo avversarie dopo ogni pallone perso, è sembrato commovente lo sforzo compiuto dall'allenatore così come abbiamo ammirato la sua ostinazione culturale. Guardate, ad esempio, i dati dei tiri in porta scomposti per quarto d'ora: paradossalmente l'unico momento in cui la Roma ha ridotto un po' la sua spinta è stato subito dopo aver incassato il gol, nei primi quindici minuti del secondo tempo. Mentre la Sampdoria, che su questo stesso terreno le aveva suonate dure alla Juventus, ha tirato con maggior frequenza solo nel quarto d'ora finale, quando la Roma ha intensificato la sua poderosa spinta e ha lasciato varchi pericolosi: giovi ricordare però che nel conteggio ci sono pure due punizioni nel recupero.

IL PRIMO E L'ULTIMO

Ed è significativo che a confezionare l'azione del gol siano stati il più forte dei suoi giocatori e l'ultimo arrivato, Dzeko e Antonucci, che nella scala dei valori tecnici di questa squadra per l'attacco era solo l'ottava scelta. Quando si attacca con tanti uomini e con giocatori di valore come quelli della Roma una cosa perfeziona l'altra, si attacca meglio e si cresce tecnicamente, anche se la rifinitura a volte è approssimativa, anche se non c'è sempre continuità nella partita e nel tempo, anche se la concentrazione periodicamente si sfilaccia. Ma la strada è giusta. E a Di Francesco andrebbe dato tutto il supporto possibile per arrivare a raggiungere magari tra un anno il livello più alto. Il massimo livello.

 

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