L'analisi tattica di Roma-Torino: se abbondano i tiri ma difetta la mira
Contro la squadra chiusa di Mazzarri, ai giallorossi è mancata la brillantezza nelle rifiniture e nelle conclusioni. Sarà necessaria con la Juve
Non c'è un solo modo di vincere le partite, come di perderle. A leggere freddamente i numeri, qualcuno potrebbe pensare che ci sia una curiosa analogia tra la sconfitta casalinga della Roma col Torino e l'altra, unica in campionato fino a sabato, quella con l'Atalanta (curiosamente con lo stesso risultato di 0-2): e cioè la disposizione tattica degli avversari con il 3-4-2-1. E invece si può facilmente sostenere che non c'è alcun punto di contatto, almeno dal punto di vista tattico, con quella sfida. I bergamaschi, pur senza dominare la partita, furono superiori quel giorno negli expected goal, nel possesso-palla e nei tiri, in virtù di uno schieramento assai più offensivo, di uno scaglionamento difensivo diverso, di scelte tattiche sostanzialmente figlie di tutta un'altra mentalità.
Domenica invece la Roma ha controllato quasi tutta la partita, lasciando qualche spazio di troppo al Torino nel primo tempo solo nelle circostanze descritte nelle grafiche e nel secondo per l'inevitabile squilibrio che a poco a poco si è venuto a creare con la Roma alla ricerca del pareggio. Questo spiega il divario piuttosto contenuto degli expected goal che è peraltro anche "drogato" da due valutazioni: l'occasione del palo di Belotti del primo tempo assume un punteggio alto per gli xg, ma se il Gallo avesse fatto gol, il Var avrebbe annullato per il precedente fuorigioco attivo di Berenguer (vedi grafiche); e poi c'è il rigore che da solo vale circa lo 0,79. Ecco perché la forbice è solo di un punto: e in ogni caso, anche secondo gli xg la gara avrebbe dovuto vincerla la Roma 3-2.
C'è poi il dato dei tiri verso la porta. Fonseca ha parlato di 31 tiri nella conferenza postpartita, il nostro fornitore di dati Wyscout ne considera 30: la sostanza cambia di poco. Ciò che invece sembra attutire la rilevanza della statistica è la destinazione finale di quei tiri: più della metà (16) sono finiti fuori dallo specchio, 5 sono stati respinti e solo 9 sono finiti tra i pali, per meglio dire sulla sagoma di Sirigu che è stato non per niente il migliore in campo. Su quei 16 tiri finiti fuori però si può lavorare: dev'esserci un margine di miglioramento per evitare che tanti tiri finiscano così lontani dai pali messi nel mirino.
Se manca la lucidità
Che cosa dunque non ha funzionato nella partita giallorossa tanto da arrivare a determinare la terza sconfitta stagionale (quarta in assoluto, con il ko di Moenchengladbach) contro una squadra in crisi come il Torino e oltretutto priva di otto giocatori della rosa? Certa superificialità nelle conclusioni ha indubbiamente inciso, così come la serata non esattamente brillante dei trequartisti, per non dire di quella decisamente poco ispirata di Dzeko. Il giocatore che ha avuto la percentuale più alta di azioni riuscite è stato Smalling (con appena il 75%) e non è certo lui il giocatore designato alla costruzione del gioco giallorosso, Veretout si è fermato al 73%, Zaniolo e Pellegrini appena al 57%. Quanto ai tiri, Dzeko ha inquadrato la porta 2 volte su 5, Pellegrini addirittura 2 volte su 8, Kolarov una volta su 5. Al di là delle conclusioni però è mancata la capacità di costruzione della manovra con quella velocità e quell'efficacia che avevamo ammirato ad esempio a Firenze.
Nel gioco di Fonseca la conquista degli spazi nei tempi giusti è elemento irrinunciabile a garantire l'efficacia. E invece domenica il giro palla non sempre è stato veloce, la lucidità nella rifinitura a volte è mancata (si pensi all'occasione del primo tempo di Pellegrini dopo lo scivolone di Nkolou, con il fiacco tiro immediato invece dell'apertura verso Perotti e Dzeko, in attesa in posizione favorevolissima) e le occasioni a volte davvero propizie non sono state opportunamente trasformate: in questo senso gli errori di Dzeko (caduto da solo a tu per tu con Sirigu nel primo tempo e poco reattivo in area anche nel secondo), di Pellegrini e Mkhitaryan nel cuore dell'area, di Veretout da fuori e di Kalinic nel finale reclamano vendetta. Poi qui non parliamo poi dell'arbitro: ma l'elenco delle sue malefatte è piuttosto lungo e ne abbiamo parlato altrove.
Quali prospettive
A fine partita Fonseca ha detto che la sconfitta con il Torino rispetto alle prospettive della squadra non ha cambiato niente. Però domenica all'Olimpico arriva la Juventus capolista e non sarà certo una partita facile. Ieri i bianconeri, tanto per confrontare gli indicatori di qualità, hanno tirato verso la porta del Cagliari 15 volte, di cui 11 nello specchio e quattro volte hanno segnato. La metà dei tiri sommati dalla Roma col Torino sono bastati alla Juve per vincere di goleada con la solida squadra di Maran: qualcosa vorrà dire. Ciò che non cambierà è presumibilmente la struttura della squadra giallorossa. Nel finale della partita di domenica Fonseca ha fatto vedere anche qualcosa di nuovo, ma di difficile riproposizione a stretto giro: prima Mkhitaryan sulla linea dei mediani, poi Kalinic accoppiato a Dzeko in un attacco a due punte centrali e infine Ünder al posto di Zaniolo. Sono tre opzioni possibili, ma solo dettate dall'emergenza: l'armeno ha innalzato il livello della qualità generale, ma ha sbagliato un gol che sembrava fatto, neanche il serbo ha avuto fortuna al cospetto del portiere (col risultato ormai già compromesso) e il turco è stato utilizzato negli ultimi secondi solo dopo la resa di Zaniolo.
Quel che è certo è che ormai il tecnico portoghese ha trovato la quadratura del cerchio con questa squadra e anche con questi giocatori. Andrà ovviamente valutato l'inserimento di Cristante quando sarà recuperato al cento per cento e potrà far tirare il fiato alla coppia di centrocampo Diawara-Veretout (titolari nelle ultime otto partite della Roma), il resto al momento non è neanche ipotizzabile. Né è pensabile un cambio modulo (opzione utilizzata solo per la partita con l'Atalanta e subito abortita). Del resto la difesa a 3 è storicamente un espediente tattico utilizzato da allenatori che pensano come prima opzione a difendersi (e quindi a coprire i sette metri davanti alla porta con tre giocatori, facendo scalare e allineare gli esterni) e assai raramente (e tra queste eccezioni si può ad esempio inserire Guardiola quando ha spinto le sue squadre a rinunciare realmente a un difensore per aggiungere magari un trequartista offensivo, utilizzando comunque sulle fasce elementi offensivi, non difensori) è stato utilizzato da chi ha una mentalità prettamente offensiva. E il portoghese non è tipo da mettere in discussione i suoi principi.
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