TatticaMente

L'analisi di Inter-Roma 0-1: la miglior difesa è la pressione alta

Nessun complesso, nerazzurri battuti con coraggio. Mezzeali sui centrali, Shomurodov su Calha e Soulé alle spalle di Dimarco

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
29 Aprile 2025 - 06:30

Se Claudio Ranieri dovesse portare la Roma in Champions League l’impresa equivarrebbe in termini di straordinarietà (non, purtroppo, in termini di riconoscimento popolare) a quella compiuta quando guidò il Leicester alla conquista della Premier League, che in Italia è come un po’ se lo scudetto fosse vinto quest’anno dal Bologna. Se la Roma si dovesse accontentare invece dell’Europa League si potrebbe essere autorizzati a parlare di miracolino, nell’accezione intesa da Lello Arena nella esilarante discussione con Massimo Troisi, in cui si disquisiva dei miracoli di serie A e quelli di serie B. Ma sempre nel campo delle visioni divinatorie siamo. La velocità di crociera tenuta dalla Roma nel 2025, e sono ormai quattro mesi, autorizza insostenibili rimpianti: perché se è vero che poche squadre nella storia della Serie A hanno tenuto per un intero campionato il ritmo della Roma in questi quattro mesi, è altrettanto vero che le potenzialità della Roma tra settembre e novembre erano state clamorosamente sottovalutate non da chi questa rosa l’aveva allestita (e chissà quanto staranno fischiando le orecchie al povero De Rossi), ma da chi non ha lasciato lavorare il primo allenatore di questa stagione e che a settembre ha combinato quel pastrocchio che ha rischiato di affossare la Roma, salvo poi intervenire quasi fuori tempo massimo con l’illuminata scelta di Ranieri. La premessa serve per dire che per far funzionare le cose a Roma non è necessario chiamare l’uomo forte in grado di comandare tutti dall’alto della sua (presunta) superiorità caratteriale, ma semplicemente un bravo allenatore di buon senso capace di fare davvero gli interessi della società che lo paga: e quindi capace di ricavare da ciascun giocatore il massimo del suo potenziale. Questa è l’impresa che sta compiendo Ranieri, senza guardare in faccia nessuno in particolare e quindi guardando e responsabilizzando ciascun giocatore con la limpidezza e quest’uomo può vantare. Tutto il resto viene dopo, compresi gli schemi tattici, i sistemi di gioco, le intuizioni geniali, tipo quella che lo ha ispirato nella settimana che ha portato alla sfida di domenica, convincendolo che non avrebbe avuto senso attendere l’Inter frastornata e distratta di questo periodo con un blocco basso ma che sarebbe stato assai più utile alzare la linea di pressione, il baricentro e soprattutto i quinti, costringendo i nerazzurri a guardarsi alle spalle, più che a riversare i propri uomini nella metà campo giallorossa. Vediamole, dunque, queste scelte.

Il piano tattico perfetto

Da tempo il tecnico aveva rivelato di essere solleticato dalla prospettiva di affiancare Shomurodov a Dovbyk sapendo che l’unica vera grande controindicazione risiedeva nelle ridotte possibilità, a gara in corso, di aumentare l’impatto offensivo avendo già impiegato nella formazione titolare gli unici due veri centravanti a disposizione. Ma nelle ultime giornate, ogni volta che nei secondi tempi delle partite provava la formula, si rendeva conto come entrambi gli attaccanti rendessero meglio condividendo l’onere e gli onori del presidio delle zone più alte del campo anche nelle contrappposizioni ai difensori. Partendo da questo assunto ha cominciato a immaginare la Roma di Milano sapendo di poter approfittare della condizione fisica e mentale in cui si trova in questo periodo l’Inter e, quindi, si è imposto di non commettere l’errore di impostare una partita difensiva. Ecco dunque la necessità di trovare un ruolo a uno tra Pellegrini e Saelemaekers sfruttando in qualche modo lo spazio che a volte gli azzurri concedono alle spalle di Dimarco chiedendo una partita di sacrificio a Soulé nelle due fasi. Per far sì che una struttura di questo tipo funzionasse, nella visione immaginata a tavolino in settimana della partita, ha immaginato di dover supportare il centrocampo con un interprete tattico sopraffino come Cristante, ma senza perdere dinamismo nella prima impostazione: da qui la scelta di Koné in cabina di regia, di Cristante mezzala e di Pellegrini a cucire il gioco tra centrocampo e attacco, con il compito condiviso proprio con Bryan di sporcare la prima impostazione dei due braccetti di difesa proprio con l’obiettivo di tenere alto il baricentro della squadra.

E Calhanoglu? Eccola, l’intuizione: sulle tracce del turco, un po’ appannato recentemente, sarebbe forse bastato destinare il sacrificio di Shomurodov, attaccante generoso, dinamico e dalle lunghe leve, pronto a soddisfare qualsiasi bisogno della squadra, grazie alla voglia sfrenata di potersi affermare in un club importante come la Roma. Il più, in questa maniera, era fatto. Al resto avrebbero dovuto pensare Mancini, Celik e Ndicka, tappando quei buchi che qualche pressione sbagliata avrebbero potuto aprire all’improvviso. Compito realizzato perfettamente dalla squadra giallorossa, unita e compatta come poche altre volte si era visto, determinata e feroce, dinamica è sempre brillante nelle scelte di reparto e individuali. Una masterclass preparata a tavolino da un allenatore ispirato e interpretata con serietà da un gruppo di ragazzi ormai maturi grazie anche ad anni di buona scuola.

Le ipermotivazioni sui corner

Soulé è stato l’artefice del successo, grazie alle sue naturali qualità, esaltate come sempre succede dalla stima e della fiducia finalmente tangibili di compagni e allenatore e, in generale, dell’ambiente giallorosso tutto.  Ecco perché  non siamo mai stati d’accordo con chi sostiene che un pubblico particolarmente esigente, e quindi rabbioso quando le cose vanno male, aiuti per la crescita di un giocatore. La cosa più difficile per una tifoseria è trovare il punto di equilibrio tra la responsabilizzazione e la pressione “terrorizzante”. Ecco perché preferiamo sempre il sostegno fiero della Curva Sud, soprattutto nei momenti difficili, alla denigrazione dei tribuni sui social.

Ma a Milano sono stati tutti perfettamente concentrati sul pezzo. La cartina di tornasole sulle ipermotivazioni è stata l’attenzione quasi inedita che hanno avuto i giocatori nei quattro calci d’angolo battuti dall’Inter. Ranieri non ha cambiato il dispositivo di difesa, preferendo continuare a lavorare sulle marcature individuali piuttosto che sull’organizzazione di reparto, ma non ci sono state incertezze nell’interpretazione e l’unico rischio davvero serio corso è stato su quella spizzata di Lautaro tirata poi in curva da Arnautovic. Anche in quel caso, però l’attenzione messa nelle marcature ha impedito ai due giocatori di colpire in libertà, A volte tanto basta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI