L'analisi di Roma-Juventus 1-1: Claudio il trasformista, ma la squadra è imperfetta
Il tecnico ammette: «Abbiamo un gap di qualità sulle rose». Contro le grandi i difetti emergono, lui prova a sorprenderle con i cambi tattici

(GETTY IMAGES)
Il pareggio di domenica con la Juventus si presta ad una doppia chiave di lettura. Da una parte c’è la delusione di chi, soprattutto nei 20 minuti iniziali della partita, si deve essere convinto che in fondo davvero tra la Roma e le prime del campionato quest’anno sussista un gap incolmabile, mascherato per molte settimane solo dal clamoroso cammino intrapreso nel 2025, soprattutto per merito del lavoro di Ranieri. Dall’altra la consapevolezza di una squadra comunque dura a morire e capace, a dispetto delle difficoltà tattiche iniziali (parzialmente spiegabili anche con le assenze di giocatori dall’elevato tasso tecnico come Dybala, Pellegrini, Saelemaekers e Paredes, almeno inizialmente), di rientrare in partita, ribaltare l’inerzia e pareggiare ad inizio secondo tempo, mostrando un atteggiamento che ha anche intimorito la Juventus.
L’ibrido di Ranieri
La Roma in fondo è un po’ entrambe le due cose. Che sia una squadra imperfetta, lo hanno evidenziato le difficoltà iniziali, prima quelle affrontate da De Rossi, poi quelle assai più preoccupanti emerse con Juric. Il lavoro di Ranieri ha mascherato i difetti, ma è chiaro che senza i suoi elementi migliori questa squadra non sia all’altezza delle prime della classe. Lo dirà con maggior chiarezza proprio questo finale di campionato con la squadra giallorossa obbligata a confrontarsi con le squadre più forti per un finale appassionante che aiuterà a determinare i veri valori e a smistare le varie squadre nelle coppe europee del prossimo anno. Capire che forma tattica abbia oggi la Roma non è facilissimo anche per via dei continui cambi e dei progressivi assestamenti che l’allenatore infonde anche nella stessa partita. Domenica, ad esempio, ha cambiato tre sistemi di gioco, mantenendo sempre comunque una forma ibrida tra fase di possesso e fase di non possesso che toglie riferimenti certi agli avversari e a volte può minare anche qualche certezza della squadra giallorossa. Ci sono dei giocatori che non sembrano sempre perfettamente a loro agio nei vari passaggi di ruolo, pensiamo a Soulé, ad El Shaarawy, lo stesso Shomurodov, ma anche a Celik e Angeliño che alternano momenti in cui è fondamentale il loro apporto difensivo ed altri in cui è necessario che liberino la loro fantasia attaccando le fasce avversarie.
La mossa tattica
Domenica almeno inizialmente la Juve ha sorpreso la Roma con un carico di aggressività decisamente superiore mentre la Roma si è abbassata ed è rimasta timida anche per l’eccessiva cautela nelle contrapposizioni uomo su uomo. Tudor apriva e alzava spesso Kalulu sulla destra costringendo El Shaarawy ad abbassarsi tanto e lasciando troppi metri da coprire in pressione offensiva a Dovbyk con inevitabili ripercussioni anche nelle zone di Soulé. Risultato? Nel dubbio i giocatori andavano all’indietro, lasciando tanto spazio ai giocatori della Juventus. E qual è stata la mossa tattica capace di cambiare l’inerzia della partita? Quella di Cristante e Mancini che a un certo punto hanno chiesto a Svilar di evitare di insistere nella costruzione dal basso che non permetteva mai alla Roma di uscire pulita nella manovra e rifilare invece un calcione ben assestato al pallone ad ogni ripresa del gioco. Puntando sui contrasti vincenti sulle seconde palle, la Roma si è ritrovata a giocare in zone del campo più confortevoli, e meno rischiose. Appoggiandosi su Dovbyk è riuscita anche a costruire la più clamorosa delle palle-gol, sprecata malamente da Cristante. Il paradosso è stato che mentre nei 20 minuti di sofferenza iniziale la Roma non aveva praticamente quasi mai consentito alla Juventus di trovare una soluzione offensiva pulita, quando ha alzato il proprio baricentro si è maggiormente esposta alle ripartenze bianconere e così prima è arrivato il miracolo di Svilar sul colpo di testa di Nico Gonzalez e poi il gol di Locatelli.
La differenza dei cambi
Il calcio è strano. Anche nel secondo tempo diventa difficile trovare un nesso di casualità tra le scelte strategiche dell’allenatore e il risultato maturato sul campo. È vero che la Roma si è presentata con una veste più offensiva all’inizio del secondo tempo, quando l’attaccante Shomurodov ha preso il posto del difensore Hummels. Ma poi il gol è arrivato su un calcio d’angolo nel quale Ndicka ha sfruttato le indecisioni della squadra bianconera sulle palle inattive e poi, sulla respinta del portiere, Shomurodov ha approfittato dell’unica incertezza di Kalulu nella partita per sfilare alle sue spalle e rimettere in porta il pallone dell’1-1. Di sicuro, dopo il vantaggio, Ranieri ha tirato di nuovo i remi in barca, puntando sulla certezza del punto piuttosto che sull’incertezza di ulteriori avventure offensive col rischio di contropiedi indigesti. Così la partita si è avviata stancamente verso la fine senza regalare troppe emozioni. Certo è che i cambi hanno detto in maniera chiara quali siano almeno sulla carta le potenzialità di una rosa rispetto a un’altra. Nella Juve Tudor ha potuto inserire tutti insieme Koopmeiners, Kolo Muani e Cambiaso mentre Ranieri ha risposto con Paredes, Gourna-Douath, Nelsson e Baldanzi: una bella differenza.
Con la difesa a 4 si attacca di più
La scelta di Ranieri, insomma, sembra ponderata. Come ha ammesso proprio alla fine della partita con la Juventus, la Roma ha un gap di qualità rispetto ad altre rose. Ecco perché contro la Juventus ha blindato la difesa con tre centrali + più due esterni come Celik e Angelino, rinunciando all’opzione Soulé a tutta fascia che poi si è giocato nel secondo tempo, quando ha cambiato per la prima volta, il sistema di gioco, tenendo più basso, il turco e mettendogli in verticale, e mai al fianco, almeno per il primo quarto d’ora, l’argentino. Sarà un caso, ma in quel frangente abbiamo visto una Roma più propositiva, anche a costo di rischiare qualcosa. E così è arrivato il gol del pareggio, o meglio, il calcio d’angolo da cui è scaturita la carambola giusta. Poi, al 16’, altri due cambi: e con Gourna-Douath al posto di El Shaarawy si è tornati ad una più definita difesa a tre (infatti Soulé è scivolato spesso al fianco di Celik e non più solo in verticale), con un regista (Paredes), due mezze ali e due attaccanti, un 352 che ha blindato il pareggio fino alla fine: «Quando non riesci a vincere, è un bene riuscire a non perdere», la sentenza finale di Ranieri. Che succederà ora con la Lazio? La squadra di Baroni non è abituata a speculare, e questo potrebbe indurre Ranieri a scegliere ancora una volta, una linea conservativa. All’andata fu 3421 con Pellegrini e Dybala alle spalle di Dovbyk e Saelemaekers esterno a destra.
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