L'analisi di Empoli-Roma: la rivoluzione di Ranieri, ognuno ha due scelte
I giocatori sono messi nelle condizioni ideali per rendere e nello sviluppo del gioco hanno sempre un’opzione principale e una secondaria

(GETTY IMAGES)
Immaginate un po’ quale sarebbe stato il tenore dei commenti della partita della Roma a Empoli se Kouamé avesse dato una traiettoria imprevedibile e più centrata al suo colpo di testa all’ultimo secondo della sfida del Castellani, rendendo inutile anche lo sforzo di Svilar (che, ricordiamo, era comunque sulla traiettoria se quel pallone fosse stato indirizzato all’interno e non all’esterno dei pali). In questa rubrica avremmo comunque esaltato la prova autoritaria della Roma e sarebbe stato semplicemente più elevato il rammarico per le numerose occasioni sprecati per il 2-0 della cosiddetta sicurezza (ma non è vietato vincere 1-0, sia chiaro). In altri contesti, probabilmente, si sarebbe gridato allo scandalo, all’inadeguatezza di Shomurodov e forse anche di Dovbyk, all’imprecisione di Pellegrini, e magari sarebbero finiti sotto inchiesta pure i cambi di Ranieri e a quella gestione cauta del secondo tempo. Insomma, da un mezzo capolavoro a un mezzo disastro, tutto per la mira su un colpo di testa. Questo è quello che intendiamo quando diciamo che il dibattito calcistico in Italia è reso tossico da chi immerge il pennino dei commenti solo nell’inchiostro annacquato dei risultati estemporanei. Per fortuna è andata bene e l’unico rischio serio corso nei 96 minuti di partita è rimasto tale. Così possiamo serenamente valutare la prestazione della Roma per quello che è stata: una partita dominata e in totale controllo molto confortante sia in assoluto (perché anche con squadre in difficoltà come l’Empoli non è mai facile dominare la scena come è stato fatto) sia in rapporto al calendario, incastonata tra due impegni così importanti come quelli con l’Athletic Club in Europa League.
Una rosa finalmente ricca
Il terzo fattore che fa ben sperare riguarda la ricchezza della rosa giallorossa: nonostante il massiccio ricorso al turn-over, con nove cambi rispetto alla formazione di giovedì scorso, il rendimento della squadra non ne ha affatto risentito grazie soprattutto alla presenza carismatica in mezzo al campo di giocatori come Paredes, Pellegrini e Koné che per scelta tattica o per squalifica erano stati inizialmente lasciati fuori con il Bilbao. E qui entriamo nel campo delle geniali intuizioni di Claudio Ranieri. Può essere solo figlio del buon senso dimostrato dall’allenatore nella gestione degli uomini l’unico segreto di questa Roma così autorevole? Non siamo forse ingenerosi quando diciamo che Ranieri è bravo (solo) a rassicurare gli animi inquieti? E al di là dell’evidente bravura nella gestione delle forze - che passa comunque attraverso una conoscenza specifica che non deriva solo dall’esperienza, altrimenti qualsiasi allenatore anziano avrebbe i riconoscimenti che gli vengono tributati - non sarà pure che dal punto di vista tattico, magari con il tempo, zio Claudio ha raggiunto delle conoscenze più sofisticate che dovrebbero farci rivedere il giudizio sempre un po’ troppo frettoloso che diamo delle sue capacità? Sia chiaro, non siamo tra quelli che ritengono che Ranieri debba essere confermato come allenatore della Roma anche il prossimo anno perché può essere molto utile come dirigente in una società che ha dimostrato troppe lacune da questo punto di vista, però ci chiediamo, sempre più frequentemente, se non sia il caso di riconoscere i suoi meriti anche per quello che la squadra dal punto di vista della costruzione del gioco e della solidità difensiva sta facendo vedere.
A ognuno il meglio
Intanto, un po’ come capita a Mourinho, Ranieri presso i giocatori gode ormai di una straordinaria credibilità che deriva dall’esperienza ma anche dai risultati che ha raggiunto in tutta Europa, firmando anche un’impresa che non sarà mai superata da nessuno (a meno che la Roma non vinca l’Europa League…): la Premier League vinta con i carneadi del Leicester. In fondo, proprio come accadde in Inghilterra il vero segreto sta nel fatto che riesce a far rendere la squadra secondo le proprie potenzialità e questo è un merito che gli va riconosciuto e che non tutti gli allenatori possono vantare. Per farli rendere al meglio, zio Claudio ha la grandissima capacità di metterli in condizioni di non fargli mai percepire di doversi troppo sacrificare. Paulo Dybala, ad esempio, oltre a godere di un lavoro specifico sotto il profilo fisico che, ne siamo sicuri, un giorno verrà raccontato nei convegni universitari di preparazione atletica, non ha mai caricato di troppi significati il ruolo che l’argentino ha nella fase di non possesso. Angeliño dà il meglio di se dalla metà campo in su, ma ha polmoni e disponibilità fisiche per correre anche all’indietro fino a linea difensiva? Benissimo lo sfrutto lì e non lo impiego mai da difensore centrale. Celik, al contrario, dà il meglio nella metà campo bassa piuttosto che in quella alta? Perfetto, lo uso come terzo centrale, visto che sul mercato non ne ho potuti reperire altri. E ancora, Ndicka è un gran difensore, ma non può essere il leader centrale di una difesa a tre? Come non detto, fa il braccetto a sinistra e non gli chiedo troppi sforzi più concettuali. E Dovbyk, e Shomurodov, e Pellegrini («gli ho detto di rimanere più in piedi nei contrasti perché è cambiato l’arbitraggio»)e tutti gli altri, si potrebbe allungare la lista per ogni singolo giocatore della rosa.
Ogni cosa è collegata
Poi c’è la parte tattica, però. E su questo il dibattito stenta a decollare. Ma se guardate bene i movimenti dei giocatori della Roma in ogni situazione di gioco è evidente come ogni elemento abbia sempre una soluzione principale e una soluzione di riserva e questo è il vero grande segreto per far sì che una squadra funzioni dal punto di vista tattico. È il significato della parola stessa: tattica significa scelta. In qualsiasi situazione oggi i giocatori della Roma sono rassicurati dal fatto che c’è una strada principale ed una strada secondaria in ogni situazione di gioco. Si tratti di uscire dal basso, girando da destra a sinistra o andando in verticale, che si tratti di giocare corto o andare lungo, verticalizzare tra le linee o di scaricare sul compagno che arriva da dietro, di crearsi lo spazio per il tiro o di crossare in area, di mandare l’attaccante nel taglio o lungo sul secondo palo, ogni giocatore sembra non conoscere lo stress della strada senza uscita. Le grandi squadre che hanno scritto pagine indelebili nella storia del calcio mondiale e che hanno lasciato un segno dal punto di vista tattico sono proprio le squadre che sembravano giocare con naturalezza, con grande capacità di trovare soluzioni affrontate sempre con la testa sgombra, senza la complessità del problema insolubile da risolvere. E qui torniamo alla capacità di Ranieri di mettere a proprio agio i giocatori nello svolgimento della loro professione. Ogni cosa è collegata, ce lo ricordano spesso gli scienziati. E anche se la parola nel calcio è utilizzata ormai solo come forma di sberleffo, la complessità del Sistema Ranieri, meriterebbe di essere studiata in qualche aula universitaria.
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