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Ranieri, promessa mantenuta: ora è vera Roma anche fuori

L’orgoglio del tecnico a fine partita rivela la scommessa vinta. Dal Portogallo è tornata una squadra più consapevole delle proprie potenzialità

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
15 Febbraio 2025 - 07:00
 
 
 
 
 
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Dal Portogallo la Roma non è tornata solo con un pareggio che apre piene prospettive di qualificazione per gli ottavi di Europa League, una competizione nella quale la squadra giallorossa è stata protagonista negli ultimi due anni (finale di Budapest e semifinale con l’allora imbattuto Bayer Leverkusen), ma con una consapevolezza tutta nuova per lo meno in questa stagione: che in trasferta si possa giocare con la stessa mentalità che spinge la squadra in casa, quando il vento dell’Olimpico trascina i giocatori a dare il meglio di loro stessi in ogni minuto in cui si sta in campo, contro ogni avversario e con qualsiasi risultato maturato sul campo. Era il maggior cruccio di ogni osservazione critica (comprese quelle elevate in queste pagine), ma in qualche modo era il cruccio anche di Claudio Ranieri, che giustamente alla fine della partita del do Dragao l’altra sera si godeva la sua soddisfazione: «Voi volevate vedere la Roma giocare come all’Olimpico, ma lo volevo anche io.

E piano piano, con il lavoro ci stiamo riuscendo», ha detto sogghignando, con la stessa espressione con la qualche nella risposta precedente aveva incenerito Rosetti per la designazione dell’arbitro Stieler. L’orgoglio del tecnico rivela dunque una scommessa vinta: dal Portogallo è tornata una squadra più consapevole delle proprie potenzialità. Tutti i numeri della sfida con il Porto stanno lì a testimoniarlo: in particolare gli expected goal (1,25 contro 0,75 dei padroni di casa), i calci d’angolo, i tiri totali, i tiri da dentro l’area. Finché si è rimasti in parità numerica non c’è stata gara: l’unico rilevatore statistico a favore dei portoghesi è stato il possesso palla, ma in zone del campo in cui non si è avvertita mai una corrispondente pericolosità offensiva. Basti pensare come la larga maggioranza dei tiri sferrati verso la porta sia maturata solo dopo l’espulsione di Cristante. La scelta di Ranieri una volta rimasti in dieci è stata quella di schierare la squadra lasciando i cinque difensori, inserendo Paredes al centro della seconda linea affiancato a destra da Pisilli e adattando Soulé nel ruolo di mezz’ala sinistra e lasciando al solo Baldanzi il compito di tenere alto il pallone per il maggior tempo possibile. Tolto Dovbyk non c’erano molte speranze di conservare il possesso con i rilanci alti, così ad un certo punto la Roma ha provato ad uscire in palleggio corto e il tentativo è riuscito. 

Il primo tempo dominato

Analizzando la partita nei 73 minuti in cui invece si è giocati undici contro undici, emerge soprattutto un evidente cambiamento rispetto ad altre esibizioni  in trasferta: la volontà di tenere alte le pressioni offensive, riducendo quindi la capacità degli avversari di guadagnare campo progressivamente e quindi mantenendo il proprio baricentro sempre piuttosto avanzato. Ranieri ci è riuscito portando Pellegrini ad affiancare Dybala sulla linea dei trequartisti e delegando loro la prima marcatura sui braccetti della difesa a tre (Otavio per l’argentino e il quasi romanista Djalò per il capitano), destinando invece Dovbyk all’impostazione di Neuhen Perez, tenendo pronti i quinti sui quinti avversari (Angeliño su Joao Mario e Saelemaekers su Francisco Moura), chiedendo a Cristante e Koné lo sforzo di marcare a uomo i dirimpettai di metà campo (rispettivamente Eustachio e Varela) e alzando fin dove si spostavano i tre difensori sui tre attaccanti (Celik su Mora, l’attentissimo Mancini su Samu Agehowa e Ndicka su Borges).

Ne è nata una partita di duelli individuali con i compromessi ranieriani, quelli cioè che non esponevano la squadra alla condanna di una marcatura saltata (il “dramma” che ai tempi di Juric favoriva quelle transizioni a campo aperto), ma che consentivano in qualche caso di recuperare una posizione più prudente attraverso una scalatura di un compagno vicino. Piano strategico riuscito a perfezione, rischi ridotti al minimo (praticamente nel primo tempo il Porto ha avuto una sola occasione da gol attraverso un giro palla sulla trequarti bene elaborato, con intervento finale risolutorio di Cristante), vantaggio ottenuto con una riconquista del pallone alta (Baldanzi, attivissimo da quando è entrato a sostituire Dybala) e realizzato addirittura dal terzo centrale (Celik) in percussione profonda, a tempo di recupero del primo tempo ormai scaduto.

Decisiva l’espulsione

La Roma era partita bene anche nel secondo tempo, tenendo presente che l’unica azione pericolosa dei portoghesi (su una palla in profondità per Francisco Moura quando non era trascorso neanche un minuto di gioco) non era stata interrotta come si sarebbe dovuto fare per il fuorigioco proprio dell’esterno di Anselmi: al 99% se dall’azione fosse scaturito il pareggio (Svilar ha contenuto il tiro), il Var avrebbe annullato tutto. Non può esserci certezza ma la semplice revisione dell’azione è sufficiente per rendersene conto. Niente invece è cambiato per la Roma nonostante le dolorose rinunce (anche forzate) con cui ha dovuto fare i conti Ranieri nel secondo tempo: tenute fuori inizialmente due colonne come Paredes e Hummels per scelta tecnica, la Roma ha perso progressivamente anche Dybala per infortunio e poi gli ammoniti Saelemaekers e Koné all’intervallo per ridurre i rischi di qualche provvedimento che pareva davvero nell’aria (poi arrivato a condannare Cristante). Nella ripresa, insomma, la Roma non aveva cinque dei giocatori da tutti considerati punti fermi della formazione tipo di Ranieri, eppure sul campo non c’è stato alcun passo indietro. Anzi, la Roma ha continuato ad attaccare e ha sfiorato il gol del 2-0 che avrebbe mortificato le ambizioni dei portoghesi e probabilmente chiuso la questione della qualificazione.

E invece sull’ennesima percussione romanista (un sinistro fuori misura di Angeliño in seguito ad azione di calcio d’angolo) è nata la ripartenza letale, grazie alla sveltezza di un raccattapalle (che ha rimesso in campo immediatamente il pallone) e alla precisione del lancio di Diogo Costa verso Pepe. Ma anche sulla dinamica del gol c’è stata una certa componente di casualità, sia perché Baldanzi aveva apparentemente annullato la minaccia, sia per la deviazione ad ingannare Svilar sulla conclusione di Francisco Moura. Il resto l’ha fatto l’espulsione di Cristante (giusta, peraltro, anche se ai più era sfuggita la prima ammonizione). È un dato di fatto, insomma, che la Roma in trasferta abbia cambiato passo: dopo la doppia vittoria in campionato tra Udine e Venezia è arrivata la quasi vittoria del do Dragao. E ora, dopo l’ultimo sforzo domenica a Parma, il calendario prevede quattro partite consecutive in casa, ammesso che si passi col Porto: dopo i portoghesi, Monza, Como e l’andata degli ottavi di Europa League. Avanti col vento in poppa.

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