TatticaMente

Complesso d'inferiorità? La soluzione è sul campo

Il rendimento della Roma in trasferta e contro i top team è insufficiente e l’organizzazione difensiva è carente. Ora bisogna rimediare

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
07 Febbraio 2025 - 06:00

Partendo dall’incrollabile precetto per cui non sarebbe corretto muovere alcun tipo di addebito nei confronti dell’uomo che con il suo buon senso e le sue conoscenze si è rimesso comunque in gioco per dare una mano alla Roma in un momento di estrema difficoltà, vorremmo provare in questa rubrica a richiamare l’attenzione sugli aspetti più puramente calcistici dei problemi palesati dalla Roma anche sotto la gestione di Claudio Ranieri. Sono 75 giorni più o meno che il tecnico di Testaccio lavora con i suoi ragazzi e alcuni dati di fatto meritano riflessioni e sottolineature. Intanto i numeri: Ranieri ha giocato 17 partite finora nelle tre competizioni (11 in serie A, 4 in Europa League e 2 in Coppa Italia), ha ottenuto 8 vittorie, 4 pareggi e 5 sconfitte, 28 i gol segnati, 18 subiti. Scomponendo i dati, possiamo dividere il rendimento tra casa e trasferta ma anche con la Roma opposta a squadre di prima fascia o a squadre di seconda o terza fascia. E allora all’Olimpico la Roma ha vinto 7 partite su 9, pareggiando col Napoli e perdendo con l’Atalanta. 24 i gol segnati, appena 4 subiti. In trasferta c’è stata finora una sola vittoria, 4 le sconfitte, 3 i pareggi. 8 i gol segnati, 13 subiti.  Contro le cosiddette big, il rendimento è deficitario: una vittoria, 4 pareggi e 3 sconfitte, con 9 gol segnati e 12 subiti. Contro non big, ci sono state 7 vittorie e 2 sconfitte, con 19 gol segnati e 6 subiti. Balza in maniera evidente ad una lettura anche superficiale come la Roma sia una squadra dalla doppia personalità: forte con i deboli, debole con i forti, e se gioca in casa è una squadra, quando esce dal Raccordo è un’altra. Al netto di qualche percentuale di casualità che sempre incide nel calcio, sembra difficile non individuare in questo trend un preciso difetto della squadra allenata da Ranieri: con le squadre di prima fascia e in trasferta vive un evidente complesso d’inferiorità che solo le rassicuranti parole di Ranieri non sono sufficienti ad eliminare. La soluzione? Bisogna esercitarsi più tempo sul campo, evidentemente, nella certezza che nessuna squadra è esente da errori, ma di certo se ne può ragionevolmente ridurre l’incidenza.

Perché prima «aspettare»?

Dunque, c’è un problema di mentalità, perché l’organico della Roma, stando almeno al monte ingaggi che ogni anno la proprietà si impegna a pagare, dovrebbe mettere la squadra giallorossa ad un livello per cui dovrebbero essere quasi tutti gli avversari, in casa e fuori, a temerne il confronto. Una squadra moderna, con vocazione internazionale, desiderosa di prendersi gli obiettivi fissati dalla società, dovrebbe avere un piano strategico di gara un po’ più sofisticato di quello suggerito dall’allenatore e candidamente ammesso alla stampa al termine della partita: «Volevamo aspettarli come abbiamo fatto col Napoli, ma senza abbassarci troppo, ribattendo colpo sul colpo». Come abbiamo già visto, in casa questo discorso scorre un pochino più fluido, in trasferta ci sono sempre diversi ostacoli a complicare le cose, spesso anche contro avversari non irresistibili (a Ranieri è capitato per esempio a Como e Alkmaar). Ma perché, però, la strategia del Milan e del Napoli contro la Roma è quella di attaccare dal primo minuto e quella della Roma deve essere quella di aspettare dal primo minuto? Qui torniamo al discorso della mentalità. Sarebbe forse il caso, una volta usciti dall’emergenza dovuta alle scellerate scelte di Friedkin tra settembre e novembre, che la Roma si desse un orizzonte un po’ più ampio e provasse ad aggredire gli avversari anche di primo livello, senza dover necessariamente aspettare prima qualcosa col rischio conclamato che si è concretizzato infatti nelle ultime due partite, e cioè che si prenda un gol e diventi poi davvero difficile ribaltare l’esito della gara.

Non fa bene l’alternanza a 3 e a 4

Ci sono poi questioni più prettamente tattiche che andrebbero affrontate. Ce n’è una di base, di ordine generale: non sarebbe il caso che la Roma scegliesse finalmente una sua strada e decidesse se lavorare con la difesa a tre o la difesa a quattro? Non si potrebbero risolvere se non altro per la forza dell’abitudine il rischio di quelle incertezze evidenti a tutti? E Hummels è in grado di giocare anche a 4? A Milano la Roma ha subito tre gol (e mettiamoci anche quello subito col Napoli) dovuti essenzialmente all’incertezza nelle interpretazioni individuali e nelle letture generali delle iniziative degli avversari. E se Mancini dopo la sfida con gli azzurri e il gol incassato per la penetrazione del suo amico Spinazzola aveva ammesso di aver sbagliato la lettura, ieri è arrivato il mea culpa di Hummels via social. Eppure le colpe ci sembrano più diffuse di quello che potrebbe sembrare. Il primo gol di Abraham, per esempio, può essere inizialmente addebitabile allo spazio lasciato per il tiro a Reijnders, poi alla lenta risalita di alcuni giocatori che hanno tenuto in gioco Theo Hernandez, bravo a cogliere la respinta, e poi indubbiamente alla frettolosa lettura di quattro giocatori che sono andati tutti incontro al giocatore sguarnendo il cuore della difesa, e infine sicuramente all’interpretazione di Ndicka che prima ha preso contatto con l’avversario e poi, proprio al momento decisivo, lo ha lasciato saltare da solo. Nel secondo gol c’è una percentuale di casualità che fa accollare il peso della rete più al fato che alle responsabilità individuali, che pure ci sono. Ma il terzo è un gol quasi inaccettabile a questi livelli, con  quella palla portata blandamente dalla fascia dentro al campo, con la difesa apparentemente coperta, eppure schierata in maniera assai approssimativa fino ad inchiodare i quattro giocatori della linea difensiva su quattro linee diverse al momento del tocco risolutore di Gimenez verso João Félix. Un’interpretazione davvero brutta a vedersi in un momento della partita in cui poteva essere al limite giustificabile un gol magari preso in contropiede a campo aperto per lo sbilanciamento della squadra alla ricerca del pareggio. Aprire le porte in questa maniera a giocatori della qualità dei due nuovi acquisti del Milan è stato un suicidio tattico su cui chiaramente Ranieri è chiamato ad intervenire. E qui c’entra poco anche la questione della difesa a  tre o a quattro. In caso di facile lettura come quella, i quattro difensori avrebbero dovuto disporsi sulla stessa linea coprendo le spalle in tre prima esternamente sull’uscita di Angeliño su Musah e poi internamente  sulla percussione di Jimenez al difensore eventualmente chiamato a fronteggiare direttamente l’avversario. E invece, nella Roma di oggi, questi difetti tornano ad essere ricorrenti, soprattutto in trasferta e contro squadre di primo livello. Il tempo stringe, urge trovare una soluzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI