Versione numero quattro, ma non si vede la luce
Modulo variabile, blocco basso, fiducia alle alternative Eppure l’unica consolazione deriva dalla sconfitta contenuta. Serve Dybala
Fosse solo un problema tattico si potrebbe tornare a sperare anche presto. Ma la quarta versione tattica della Roma del 2024 (forse un anno che rischia di passare alla storia tra i più nefasti della gloriosa vita del club) dimostra che non conta tanto la materia specifica del come, dove, quando e perché si debba schierare la squadra in un certo modo, ma il tempo che ci vuole per far sì che l’insieme di questi dettagli arrivi a maturazione. L’unica decisione tra tutte quelle che sono state prese in questo mefistofelico anno che poteva avere una qualche giustificazione razionale è stata la prima, cioè l’esonero di Mourinho, pur nell’irritualità di tempi che avrebbero potuto consigliare ancora pazienza, sia per il calendario che si prospettava per la Roma nelle partite successive all’esonero, sia per l’imminente scadenza del contratto che avrebbe consentito ai proprietari della Roma di rimandare alla stagione successiva ogni scelta.
Tutto quello che è accaduto dopo, invece, non ha alcuna razionale giustificazione, da nessun punto di vista lo si osservi. La conseguenza è che questa squadra, giunta per l’appunto alla sua quarta versione tattica, non riesce proprio ad esprimersi, né in un modo, né in un altro. La certezza è che qualcosa ha funzionato quando la squadra in questi mesi si è trovata nelle migliori condizioni di forma e quando ha avuto in organico Dybala al top per un ragionevole e continuato periodo di tempo. Col blocco basso o con le pressioni alte, con la difesa a tre o a quattro, con gli esterni difensivi o offensivi, con Abraham, Lukaku o Dovbyk, con Svilar o con Rui Patricio, c’è stata un’alternanza tale di prestazioni e risultati da non saper individuare davvero un minimo comune denominatore dei giorni migliori se non quello della forma fisica di tutti e della presenza del campione argentino. Logico che Ranieri oggi non abbia la bacchetta magica per proporre una squadra in grado di reggere con disinvoltura l’urto del Napoli capolista e ribattere colpo su colpo.
Ma accettando di tornare in panchina, il tecnico testaccino si è inevitabilmente esposto alle osservazioni critiche di chi, come ad esempio chi scrive, prova ad analizzare ogni singola partita sullo sfondo magari di un contesto più ampio che però cambia troppo frequentemente. Ecco dunque che in riferimento alla gara di Napoli abbiamo individuato alcune cose propositive da accompagnare con attenzione e altre decisamente meno comprensibili che necessitano quantomeno di altre spiegazioni. Cominciamo allora da quello che ha funzionato.
Gli aspetti positivi
Ranieri ha dimostrato ancora una volta di non essere un dogmatico e di cercare soluzioni a mente sgombra senza farsi condizionare né dal recentissimo passato né dai curricula dei giocatori, ma neanche dalle circostanze o dalle necessità ambientali. Così la sua prima Roma si è vista in tre diversi abiti. Ha cominciato con un centrocampo a quattro più Pellegrini, ora mezzala, ora trequartista, con quattro difensori che poi sono quelli già utilizzati con continuità sia da De Rossi sia da Juric. Doveva essere negli intendimenti un 4411, ma in realtà Pellegrini veniva spesso assorbito nella linea di centrocampisti in fase di non possesso e quindi di fatto è stato più spesso un 451. Pochissimi i palloni toccati dal capitano (appena 13) in un dispositivo che comunque ha retto all’impatto del Napoli mostrando qualche lacuna solo in quelle peraltro leggibili situazioni offensive avversarie di scarico e contro-cross sul secondo palo su cui Napoli lavora molto e che la Roma avrebbe dovuto interpretare meglio. Nel secondo tempo Ranieri è poi passato al 352 fino al 33’, quando è tornato al 442 stavolta vero, con Baldanzi seconda punta.
Altri punti fermi: Koné è sembrato già il vero leader tecnico di questa squadra, la Roma ha evitato le pressioni estreme per non dover rincorrere gli avversari a campo aperto e c’è stata anche una certa reattività in una serie di transizioni che con un po’ più di lucidità avrebbe potuto garantire anche qualche vantaggio in più. Per ultimo, un altro aspetto positivo è stata la ricerca di soluzioni alternative senza preconcetti, tanto da spingerlo a cambiare uomini e schemi con facilità dando spazio anche a giocatori che fin qui ne avevano avuto poco o addirittura niente. Ed è anche indubbiamente confortante che nonostante la differenza di punti tra le due squadre, la partita sia stata tutto sommato in equilibrio e la sconfitta contenuta di misura. C’è anzi pure il rammarico per quelle due occasioni sprecate in un momento in cui il Napoli aveva tirato via i suoi uomini migliori e sembrava anche in difficoltà fisica.
Le perplessità
Per quanto riguarda invece gli aspetti negativi, a parte qualche perplessità sull’impiego di Pisilli esterno a sinistra, il primo c’è sembrato intanto la soluzione tattica adottata all’intervallo: se una difesa a quattro non riesce a coprire bene i cross verso il secondo palo la soluzione non può essere solo quella un po’ banale di allungare il numero dei componenti della terza linea, ma quello di garantire una migliore organizzazione prevedendo meccanismi e scalature migliori di quelli intravisti nel primo tempo. Ogni difesa a quattro ha il problema di coprire tutta l’ampiezza sui cross, ma a seconda dell’idee dell’allenatore si può mandare in copertura da quella parte l’attaccante esterno o magari una mezzala con meccanismi codificati di facile realizzazione.
Oltretutto alla prova dei fatti l’allargamento della difesa non solo non ha risolto la questione, ma ha anzi consentito al Napoli di passare in vantaggio proprio approfittando di maglie all’improvviso troppo larghe, in una combinazione di errori individuali di cui parliamo nelle grafiche accanto. Ranieri dice poi che il passaggio ad un diverso sistema di gioco ha favorito il riequilibrio del possesso palla. Magari ha ragione lui, ma restiamo convinti che a garantirlo sia stato soprattutto il vantaggio del Napoli che ha spinto Conte ad abbassare il baricentro per non esporre la sua squadra a qualche brutta sorpresa. Le sostituzioni, poi, che alla mezz’ora della ripresa hanno portato la squadra ad un 442 stavolta più riconoscibile, con Baldanzi effettiva seconda punta, non hanno convinto del tutto: se la necessità era quella di osare qualcosa in più e attaccare in ampiezza, Soulé è sicuramente meglio di Dahl e magari Zalewski lo è più di Abdulhamid. E se il problema era che non si voleva stringere il campo con le frequenti diagonali interne di Soulé sarebbe bastato metterlo a sinistra invece che a destra e l’argentino sarebbe rimasto sul binario senza cercare gloria verso il centro. Qualche perplessità ce l’ha data anche l’utilizzo di Dybala, messo in campo solo al minuto 88.
A fine partita Ranieri ha detto di averlo messo in campo a 10 minuti dalla fine, evidentemente confuso dall’adrenalina per una partita che gli era sfuggita di mano. Per due minuti o per 10, restano comunque forti le perplessità sull’utilizzo dell’argentino che continua a non avere lesioni certificate ma anche a non dare piena disponibilità ai diversi allenatori che si sono susseguiti su quella panchina. La questione va risolta, in un modo o nell’altro. E data l’emergenza non è più il tempo delle mezze misure.
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