L’utopia voluta da Juric travolta dalle evidenze
Dall’illusorio 3-0 con l’Udinese al tracollo col Bologna i 12 tentativi di digestione di marcature a uomo a tutto campo e alte pressioni
«La prima fase di Daniele, che è durata per un bel periodo, vedeva una Roma molto aggressiva, e mi aveva dato l’idea di poterlo fare. Sicuramente va un po’ ripreso questo discorso, perché più che un fatto di forza fisica e di corsa, credetemi, è una questione di posizione, di conoscenze. Anche a Torino ho avuto giocatori non adatti che poi hanno fatto benissimo grazie alle conoscenze che assumevano. Da questi primi giorni ho capito che sicuramente ci vorrà un po’ di tempo, ma sono convinto che la squadra lo possa fare, può pressare alto, può accettare certe situazioni, magari non tutta la partita, però la mia idea è che questa caratteristica che a me piace tanto possa rimanere». Con questo entusiasmo si era presentato a Trigoria Ivan Juric 53 giorni prima del suo esonero, quando è apparso chiaro anche ai meno attenti match analyst privati di Dan Friedkin, gli stessi che con grande sollecitudine avevano portato al capo le stampelle statistiche per liberarsi di Daniele De Rossi lo scorso 18 settembre, che tutto quello che Juric aveva pensato di poter fare con i giocatori della Roma non solo era impraticabile, ma rischiava di trascinare la squadra giallorossa nella lotta per non retrocedere. A causa soprattutto della cecità di chi in quel momento nella Roma contava qualcosa, Juric è stato chiamato a prendersi un impegno più grande di lui ed ha finito per bruciarsi, andando via con il diritto ad incassare un consistente bonifico per altri sette mesi, ma anche con l’etichetta di allenatore non ancora adatto ad una grande squadra.
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I numeri parlano chiaro
Il problema più evidente nasce proprio dalla incompatibilità tra il tipo di gioco proposto e le caratteristiche dei giocatori della Roma. Al contrario di quello che aveva assicurato in quella prima conferenza stampa Juric, l’utopia della marcature individuali a tutto campo, delle pressioni altissime, delle scalature impossibili si è svelata in tutta la sua drammatica evidenza, a maggior ragione se la squadra chiamata ad interpretare questa filosofia dimostra di non crederci al 100%. E questo, al di là delle valutazioni morali che di questo gruppo di giocatori ognuno potrà maturare, è stato un altro errore di valutazione commesso in primis da chi ha voluto il tecnico croato su quella panchina e poi proprio dall’allenatore stesso. Dopo essersi presentato bene nei tesissimi giorni dell’esonero di De Rossi, deve aver perso il controllo dello spogliatoio probabilmente dopo aver rimproverato la squadra per l’assenza di mentalità vincente.
Che detto a un gruppo in cui ci sono anche dei campioni del mondo da uno che finora ha allenato Crotone, Genoa, Verona e Torino non è proprio il massimo. I numeri invece inchiodano proprio Juric: alla Roma è rimasto per 12 partite, 8 di campionato e 4 di Europa League, collezionando alla fine quattro vittorie, tre pareggi e cinque sconfitte contro avversari decisamente non di primissimo livello (con l’esclusione dell’Inter). In campionato ha totalizzato 10 punti in 8 partite, con tre vittorie, un pareggio e quattro sconfitte, per una media punti di 1,25 a partita. La proiezione su 38 giornate dà 47,5 punti: tanto per avere un’idea, nello scorso campionato questo punteggio avrebbe garantito il 12° posto, subito dopo il Genoa e davanti al Monza. «La storia dimostra che abbiamo sbagliato», ha risposto Ghisolfi al termine della partita con il Bologna alla domanda specifica sulla ragionevolezza dell’esonero di De Rossi. Sì, è certificato proprio. Basti pensare che sommando le pere dello scorso campionato con le mele di questo, De Rossi ha totalizzato comunque 37 punti nelle sue 22 partite, per una media di 1,68 punti. La proiezione fa 64 punti, uno in più dei 63 totalizzati lo scorso anno dalla Roma. Ma separando mele e pere, Ddr nello scorso campionato ha tenuto un ritmo da Champions, addirittura con una media di due punti fino all’inutile ultima giornata di Empoli. Ma anche conteggiando la sconfitta in Toscana, la media è stata di 1.88 punti, 71,4 di proiezione, buoni per un terzo posto in campionato. Ma qualcuno dopo sole quattro giornate ha pensato di mandarlo a casa...
L’utopia di Juric
La partita con il Bologna è stata l’ultima imbarazzante prova della Roma sotto la gestione Juric. Come si vede nelle grafiche accanto, agli avversari dei giallorossi basta(va)no pochi secondi per trasformare semplici possessi apparentemente inoffensivi in clamorose occasioni da rete con ricchissimi parametri di expected goal. E questo è accaduto perché i giocatori della Roma non sono riusciti a conciliare l’esigenza di marcare stretti ognuno il suo avversario dando solidità alla fase di non possesso, con l’altra necessità di attaccare a pieno organico e in maniera convincente. Di tutte le 12 partite giocate solo la prima, contro l’impreparata Udinese di Runjaic, ha fornito un’impressione convincente. Tutte le altre, nessuna esclusa, sono state prove insufficienti: le sconfitte contro Elfsborg, Inter, Fiorentina, Verona e Bologna, i pareggi contro Athletic Club, Monza e Union Saint Gilloise, persino le risicate vittorie contro Venezia, Torino e Dinamo Kiev. A volte, è vero, la Roma ha controllato il gioco e il possesso, ha costruito più azioni da gol e arrivata più al tiro, ma poi è mancata la sostanza del risultato.
In più non ha mai convinto l’applicazione tattica: senza scomodare l’improbabile prestazione di Dybala alla caccia di Bastoni per tutto il campo (eppure nella stessa conferenza stampa di presentazione, a precisa domanda, Juric aveva risposto così: «Sappiamo tutti le sue qualità, io lo vorrei far giocare attaccante destro, e ho visto che fa entrambe le fasi benissimo: è chiaro che non dovrà fare rincorse di 100 metri, ma il lavoro difensivo lui lo fa con molta attenzione, quindi non vedo nessun problema»), le ripetitive applicazioni a seconda dello schieramento avversario sono apparse presto stucchevoli. La difesa a 4 contro l’Inter (proprio come fece due volte col Torino l’anno scorso, ovviamente tre sconfitte), l’accoppiamento comodo solo contro il 343 o un po’ troppo offensivo contro il 433 (con i due esterni alti di centrocampo sui terzini), il sacrificio di un centrocampista sul trequartista avversario contro il 4231 (tipo Pisilli su Freuler con il Bologna, per una sorta di 3412), sono tutte cose da mandare a memoria che finiscono con il togliere certezze alla fase di possesso. Tollerabile nell’esperienza al Torino, meno per una squadra che voglia proporsi in maniera autorevole. Come (era) la Roma.
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