Cambi moduli e marcature, tanto poi ci pensa Dybala
La sfida tra Juric e Vanoli con mosse e contromosse L’attacco della Roma in linea con quello delle squadre del passato del croato
Alla fine un allenatore della Roma in cerca di un appiglio deve mettersi l’anima in pace e citofonare a Paulo Dybala. Anche Juric, nella serata più difficile, dopo la cinquina di Firenze e con il fantasma di un altro allenatore ormai alle porte, ha puntato molte delle sue fiches sull’argentino ed è passato soddisfatto alla cassa, capitalizzando al massimo quel gol sopraffino e godendosi l’atteggiamento positivo (quasi teatrale, in qualche caso) di tutti gli altri giocatori in campo. Con Dybala, dunque, ma senza Dovbyk, fermato da uno stato influenzale, e senza pure Cristante e Pellegrini (esclusi, invece, per scelta tecnica) il tecnico croato ha varato una nuova Roma, con meno centimetri e maggior dinamismo, con la fisicità di Koné unita alle geometrie di Le Fée, nuova coppia di mediani destinata a durare a lungo, con la freschezza e la capacità di inserimento di Pisilli e Baldanzi e l’estro proprio di Dybala schierato falso nove, ma vero cervello di ogni iniziativa offensiva. Quando la palla è transitata sui piedi romanisti, con punte del 75% nel primo tempo poi ridimensionate nel secondo, il gioco si è sviluppato armonioso fino alla trequarti grazie agli incessanti movimenti in diagonale e tra le linee di tutti i giocatori, coinvolti uno per uno nella manovra a cominciare dai difensori (con Mancini spesso lanciato in una fascia e Angeliño nell’altra), e senza mai lasciare un punto di riferimento statico ai granata di Vanoli. Fino ai 30 metri, insomma, è stata una bella Roma.
Ancora pochi gol
Il difetto della squadra giallorossa è stato quello di non saper costruire un numero di palle-gol adeguato al numero di azioni proposte, ma questa è una vecchia storia che riguarda da sempre le squadre di Juric, inevitabilmente portate a costruire le proprie fortune sul controgioco e a sfruttare le transizioni, esattamente come è stato fatto proprio contro il Toro, proprio la sua ex squadra. Paradigmatica in questo senso l’azione del gol: la Roma ha perso un pallone sulla trequarti avversaria (Baldanzi ha provato a servire in profondità Angeliño, ma non ha colpito bene il pallone) e dopo aver concesso un paio di palleggi di disimpegni è andata in forte riaggressione, scalando la marcatura di Angeliño che ha lasciato Ricci per pressare Linetty che ha trasmesso il pallone a Vojvoda (su cui è arrivato forte Zalewski) che ha resttuito il pallone al compagno (sporcato proprio da Angeliño) che poi ha cercato di servire Milinkovic-Savic sbagliando però l’impatto col pallone: e lì è arrivato Dybala che già da due passaggi precedenti aveva intuito il possibile punto debole dello sviluppo. Controgioco, transizione, pressione riuscita, gol. Ma quando si tratta di costruire la Roma fa più fatica. Né i numeri di Juric delle passate stagioni sembrano particolarmente brillanti sotto questo punto di vista: è rimasto sempre tra le 36 e le 43 reti segnate, molto spesso il numero di quelle subite è lo stesso o molto simile. Insomma, le sue partite, nella storia della Serie A, terminano mediamente 1-1.
La fase di non possesso
Dal punto di vista delle scelte strategiche, anche il Torino (come ad esempio il Venezia, l’Athletic Bilbao, la Fiorentina e persino l’Inter) ha provato a sfruttare gli uno contro uno in attacco innescati direttamente dal lancio del portiere, quasi a sottolineare la facilità con cui a volte contro la Roma (ora con Juric, ma capitava a volte anche nelle pressioni alte ordinate da De Rossi) si riesce a trovare una rapidissima strada verso la porta avversaria anche in partite apparentemente soporifere. E in una partita così Svilar ha dovuto sfoderare un paio delle sue parate e in un’altra occasione Vojvoda ha sfiorato il gol mandando la palla in diagonale a 1 cm dal palo: come si vede nella grafica, colpevolmente ignorato. Questo è un difetto letteralmente connaturato alla filosofia tattica. Se, insomma, il gioco di Juric fosse una medicina, nel foglietto illustrativo tra le controindicazioni verrebbe sottolineata questa caratteristica: si lasciano spesso liberi i giocatori. Almeno, contro il Toro non è accaduto quello si era invece clamorosamente visto a Firenze, quei ritardi nelle marcature che non solo aumentano il grado di frustrazione dei giocatori, ma che in qualche modo scandiscono anche i tempi dell’azione offensiva avversaria.
La battaglia tattica
Basta poco, se non c’è adeguata concentrazione, a rompere insomma il delicato meccanismo difensivo su cui si basa l’allenatore croato. Il problema è che puntando tutto sui duelli individuali è quasi fatale che a volte si infranga uno dei delicati meccanismi di copertura e questo porti a uno squilibrio tale delle transizioni avversarie che il povero Svilar si ritrovi poi costretto a fronteggiare pericolosi attacchi in solitaria. Vanoli ha cambiato pelle alla sua squadra tre volte nel corso della partita, cominciando con il 352, passando ad inizio ripresa con il 3421, per terminare con il 4231, determinando però stavolta pochi controadattamenti. Come spesso accade contro un 352, per favorire gli accoppiamenti Juric ha dovuto far salire in marcatura uno dei tre centrali difensivi (quello di sinistra, Angeliño) su una mezzala, nello specifico Ricci. Gli altri giocatori, com’era presumibile, si sono accoppiati più naturalmente: i tre attaccanti sui difensori, gli esterni sugli esterni, i rimanenti centrocampisti sui dirimpettai di metà campo e gli ultimi due centrali sulle due punte del Toro. Con il cambiamento di inizio ripresa poco è cambiato nelle marcature, mentre quando si è passati poi al 4231 la Roma si è messa più bassa in campo e ha sostanzialmente rinunciato alle pressioni più alte e quindi agli accoppiamenti estremi, difendendo quasi di reparto.
Avanti con Juric
Resta asfittica la produzione offensiva ma a Verona dovrebbero tornare sia Dovbyk (con Dybala che potrebbe partire dalla panchina), sia Pellegrini. Non ci stupiremmo, invece, se a restare ancora fuori fosse Cristante: la formula più dinamica con giocatori di passo più svelto anche se di minor muscolatura in questo momento sembra preferibile. Juric insomma ha tutto il diritto di continuare il suo percorso nella Roma giocandosi tutte le sue carte. Questo non significa che il tecnico conserverà il suo posto e arriverà fino alla fine della stagione. Le voci, anzi, rimbalzano e si infittiscono. Ma è chiaro che se dovesse inanellare una serie di risultati positivi (ora a Verona e a Bruxelles) la situazione potrebbe cristallizzarsi e continuare con lui potrebbe essere considerata una soluzione plausibile. L’unica cosa che appare ormai chiara a tutti è che in nessun caso sarebbe richiamato Daniele De Rossi. Se le cose dovessero precipitare si seguirà una terza via.
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