Bene con le transizioni ma per il resto che si fa?
Funziona la fase di non possesso con tutte le pressioni, preoccupa la fase di possesso. Se non si inventa qualcosa Dybala, manca l’idea
Cambia la Roma senza cambiare mai. E la sensazione è che non sia precisamente una bella notizia. Sono diversi i giocatori schierati da Juric anche con la Dinamo Kiev con diverse funzioni, tipo Pisilli spostato dalla mediana di centrocampo alla trequarti per assecondare le innate doti di inserimento offensivo che già nella Primavera avevano portato tanti vantaggi, o Celik riportato tra i centrali o Angeliño rialzato da esterno. Stavolta a rifinire era stata chiamata l’inedita coppia formata con Tommaso Baldanzi, in netto miglioramento rispetto al giocatore spaurito che si era intuito nella finale della scorsa stagione, entrambi alle spalle di Dovbyk, l’ariete ucraino che continua a segnare (cinque reti il suo tranquillizzante bottino in questo primo scorcio di stagione).
Solo per Paredes e Hummels non sembra esserci spazio, ma il tecnico dice che non c’è alcun pregiudizio dietro: il primo è finito dietro nelle rotazioni dei centrocampisti (per questioni di diverso dinamismo), il secondo al momento è l’alternativa a Ndicka e dunque anche per lui si prospettano altri giorni d’attesa. Crescono invece Koné e Le Fée, aldilà di qualche errore di sufficienza che può essere loro perdonato soprattutto nelle partite in cui si torna a casa con i tre punti. Ciò che non cambia mai è l’atteggiamento tattico della squadra giallorossa, impostata in fase di non possesso secondo contrapposizioni individuali e poi lasciata alla libertà di movimenti meno codificati negli sviluppi offensivi, di fatto assai poco incisivi. Nella sfida di giovedì di Europa League la qualità è stata garantita solo nel finale e in particolare con qualche combinazione dove il mancino di Dybala ha fatto la differenza, una volta di tacco per Shomurodov, un’altra nel tentativo di chiudere un assist dell’uzbeko e infine nell’azione più bella della serata con lo scambio sopraffino con Pellegrini e relativo assist geniale ancora per Shomurodov, purtroppo malamente sprecato dall’attaccante.
Buona la fase di non possesso
Quali prospettive può avere oggi la squadra giallorossa nella gestione di Ivan Juric? Capirlo non è facile almeno se limitiamo l’osservazione a una delle due fasi in cui si sviluppa una partita. Quando infatti la palla ce l’hanno gli altri, alla Roma sembrano sapere ormai tutti quello che devono fare, anche se bisognerà fare in modo di rifinire meglio i meccanismi che possono consentire a Dybala di non concentrarsi sulla marcatura di un avversario che allunga il suo raggio d’azione fino nell’area romanista. Domani bisognerà fare i conti con la Fiorentina di Palladino, rinfrancata dalla larga vittoria colta a Sangallo e capace comunque di segnare 10 gol nelle ultime due partite.
Palladino è un ex gasperiniano convertito al 4231 (a San Gallo Bove ha fatto il trequartista dietro la punta centrale) e a una fase di non possesso diversa (non a uomo). Con lo schieramento richiesto da Juric la Roma finisce per spegnere quasi tutte le velleità di una squadra avversaria già in partenza di azione, anche se concede ancora troppo spesso quelle due o tre occasioni pericolose in cui gli avversari corrono verso la porta di Svilar in pericolosa parità se non addirittura superiorità numerica. Ma questo rischio si corre sempre quasi per definizione, essendo una controindicazione tipica delle squadre che difendono a uomo soprattutto quando non sono sorrette da una condizione fisica soverchiante. All’Atalanta è capitato spesso di vedere questo tipo di “ricchezza” atletica, e nel tempo la rosa è stata spesso corretta in questo senso. È quindi un processo che richiede tempo. Logico che se si concedono occasioni tipo quella lasciata a Lautaro domenica scorsa diventa poi difficile conservare i risultati positivi. Su questo Juric dovrà lavorare ma è, paradossalmente, solo un dettaglio.
Fase realizzativa da migliorare
Dove invece riteniamo ci siano margini di crescita assai più significativi è nella gestione del possesso palla e nella costruzione di una manovra offensivamente efficace. Juric non è tipo che ama partire dalla costruzione dal basso, non vuole correre rischi inutili e con il Torino spesso il portiere rinviava lungo. Con Svilar la tendenza si è attenuata, anche per assecondare le caratteristiche quasi naturali di palleggio dei giocatori giallorossi, portiere compreso, addestrati negli ultimi mesi da De Rossi al riguardo. Juric vuole una Roma da battaglia, non a caso ha invocato le «bestie» in riferimento al comportamento che i giocatori devono avere sul campo alla spasmodica ricerca di una vittoria. L’applicazione c’è, anche se certi errori sono sempre dietro l’angolo e troppo grandi i rischi che si continuano a correre: anche con la Dinamo Le Fée stava per regalare un gol sin troppo facile agli avversari.
Non ci sembra sia invece troppo curata la fase di finalizzazione, lasciata spesso alle singole iniziative di giocatori in grado di garantire qualche giocata in più. Dovbyk continua ad essere servito molto spesso spalle alla porta, l’assistenza dalle fasce con i cross è ancora approssimativa (5 cross riusciti su 19 tentativi, praticamente il 26%)e la qualità in rifinitura dei giocatori non è sempre garantita. Così Dybala resta l’uomo della provvidenza: nelle azioni pericolose del secondo tempo della sfida di giovedì c’è stato sempre il suo zampino e la sua sola presenza è in grado di attirare l’attenzione dei difensori lasciando inevitabilmente qualche spazio in più agli altri giocatori del reparto offensivo.
Le incongruenze
Restano i dubbi su alcune scelte del tecnico anche in prospettiva futura. Alla rinfusa: l’idea che Hummels sia preso in considerazione solo come alternativa a Ndicka che al momento viene visto come centrale dei tre dopo una carriera intera da “braccetto” sinistro; Angeliño che viene considerato migliore da centrale che da esterno (e però viene riproposto in fascia); Celik che viene alternato nei due ruoli senza specializzazione né in un ruolo né nell’altro; Zalewski impiegato sulla fascia destra; Pisilli alternato tra centrocampo e trequarti; Soulé escluso dalle rotazioni offensive; Paredes ormai fuori dai giri e presumibilmente messo in uscita nella finestra invernale di mercato. E di fondo desta qualche perplessità l’immutabile idea di un calcio immutabile, fondato esclusivamente sulle marcature individuali e dunque organicamente quasi incapace di pensare ad una costruzione propria: «Il momento ideale per far male agli avversari - ha detto il tecnico negli spogliatoi al termine di Roma-Dinamo - è quando gli rubi la palla». Ma questo accade cinque, otto o magari anche venti volte. Ma negli altri ottanta minuti la Roma che tipo di calcio vuole proporre?
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