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Perché Juric ha ragione ad essere soddisfatto

Nel suo percorso appena avviato, la partita con gli svedesi avrebbe potuto dare risposte peggiori. I risultati se si lavora bene arriveranno

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
05 Ottobre 2024 - 06:30

Come si spiega tutta questa (teorica) distanza tra la partita che hanno visto centinaia di migliaia di appassionati della Roma e quella descritta a fine partita non solo da Juric ma anche da capitan Pellegrini? Può esserci un punto d’incontro tra il disfattismo assoluto della tifoseria giallorossa dopo la sconfitta in Svezia nel Borgo degli Elfi e l’ottimismo mostrato dai due rappresentativi interpreti dello stato d’animo dello spogliatoio della Roma? Paradossalmente l’unico che potrebbe mettere tutti d’accordo in queste brevi ore di vigilia prima della sfida di Monza in campionato può essere Dan Friedkin se con un altro dei suoi teatrali colpi di scena decidesse di rimuovere pure Juric dal suo incarico. Lo diciamo per provocazione, sia chiaro. Ma dopo la scellerata decisione di allontanare De Rossi niente ci stupirebbe di più. Solo così, recita il paradosso, ci si potrebbe ritrovare tutti insieme, a piangere sull’ennesimo ferita in battaglia e a voltare pagina nel più breve tempo possibile magari con de Rossi - la provocazione va fatta bene altrimenti è inutile - oppure, chessò, strappando Ranieri alla sua pensione o magari andando a cercare qualche altro dimenticato interprete di qualche altro nuovo sistema di gioco che gli analisti di Topolinia avranno individuato come panacea di tutti i mali. Ma stavolta non sarà così e giustamente, almeno stavolta, da Trigoria proveranno (chi?) a far fronte comune con l’allenatore, e comprendendone le difficoltà operative, magari proveranno a portare a Trigoria presto qualcuno che capisca di calcio e che abbia la voce un po’ più ferma di quella di Florent Ghisolfi

Perché essere soddisfatti

Torniamo quindi alla domanda iniziale: a fine partita Juric era magari stordito per il freddo improvviso o  è lo stordimento dei tifosi a determinare questa allucinazione collettiva alla base di tanto pessimismo? Proviamo a calarci nei panni dell’allenatore che, supponiamo, in preparazione della partita avrà fatto la sua breve analisi video sugli Elfi guidati dal suo vecchio allievo Hiljemark, e avrà ipotizzato un turn-over ragionato che gli consentiva di risparmiare qualche energia in vista della fondamentale sfida di Monza e anche di presentare una squadra teoricamente autorevole per contrapporsi agli avversari di giornata. Il rischio che sapeva di correre era quello di avere una squadra incapace di giocare con autorevolezza e di mantenere il possesso del pallone e magari anche di limitare per quanto possibile le iniziative avversarie. Logico che dal suo punto di vista sia invece assolutamente soddisfatto della risposta data dalla squadra, almeno sotto il profilo della proposta di gioco. Le statistiche gli danno ragione in questo senso. Un allenatore non può prevedere certo ogni singola combinazione offensiva che possa portare al gol ma deve preparare il terreno per far sì che queste occasioni si presentino continuativamente. Poi si può certo lavorare sul campo per migliorare la fase di finalizzazione, ma per quello che accade negli ultimi 30 metri il calcio resta una materia imperscrutabile. Insomma la Roma non è stata dominata dall’avversario come accadde alla squadra di Mourinho tre anni fa, non ha lasciato il pallino del gioco agli avversari, non si è smarrita cercando il bandolo della matassa. La Roma ha avuto infatti una nettissima supremazia territoriale, gestito un numero di palloni quattro volte superiore a quello dei avversari, non ha mai abbassato il suo baricentro, non si è trovata in difficoltà nella gestione dell’iniziativa degli avversari almeno quando è partita dal portiere. Le difficoltà della Roma sono state rappresentate dalla sciagurata contrapposizione di tre o quattro specifiche azioni di ripartenza alla base delle quali c’è stato forse sì qualche piazzamento sbagliato (Hermoso...) ma che è stato principalmente favorito dalla buona predisposizione al palleggio dei giocatori in maglia gialla. 

Shomurodov al posto di Suarez

Il problema, dunque, non è aver concesso quelle due o tre ripartenze: se ci seguite nel paradosso, anche il Barcellona dei tempi belli, la squadra più forte che si sia mai vista su un campo di calcio, concedeva un paio di ripartenze a campo aperto agli avversari. La differenza è che il possesso palla garantiva agli uomini di Guardiola sette, otto, dodici palle-gol a partita che venivano quasi sempre trasformate in reti. Eccola, dunque, la nota dolente: la scarsa efficacia offensiva riscontrata dall’attacco giallorosso. Mettete Soulé di questi giorni al posto di quel Messi, Shomourodov al posto di Suarez e Abdulhamid al posto di Dani Alves e probabilmente i tifosi blaugrana avrebbero festeggiato assai meno di quello che hanno fatto in quegli irripetibili anni. 


Il contributo dei singoli

Dunque il problema è irrisolvibile? La risposta più banale è che la rosa della Roma dispone anche di altri giocatori, i migliori dei quali (Dybala e Pellegrini) giovedì sera erano in panchina proprio per risparmiare le forze. Dove invece se fossimo in Ivan Jurić ci concentreremmo, è sulle esercitazioni offensive. Shomurodov, ad esempio, può essere un’arma utile quando si può lanciare qualche ripartenza a campo aperto date le sue caratteristiche dinamiche, ma contro i dispositivi chiusi è quasi un non senso puntare su di lui. Continuando con i paradossi, ad esempio, non sarebbe stata una pessima scelta tattica e strategica lasciare un po’ di iniziativa agli avversari per provare a giocare con un po’ più di campo davanti, evitando le pressioni estreme che hanno sì portato la Roma a controllare il gioco per 70 minuti ma che hanno poi rappresentato l’ideale terreno di coltura per i semi delle ripartenze opportunamente distribuiti da Hiljemark. Non è solo un caso, insomma, se dopo l’ingresso di Pellegrini, Dybala e Dovbyk la produzione offensiva sia sensibilmente migliorata grazie alle sponde garantite dall’ucraino e indubbiamente alla migliore predisposizione negli spazi intasati garantita dai due trequarti titolari. Che poi Dybala in questo periodo sia piuttosto lontano dallo straordinario giocatore che ci siamo abituati ad apprezzare è un altro discorso. E se qualcuno mette in correlazione il suo rendimento insufficiente con la coincidenza delle chiamate in nazionale forse non fa solo un semplice esercizio statistico. Dal punto di vista invece delle altre interpretazioni individuali riteniamo che i carneadi schierati in terra svedese non siano andati così male, né Çelik nell’inusuale ruolo di terzo difensore centrale, né il povero Abdulhamid, chiamato all’esordio dal primo minuto e tolto dal campo nel suo momento migliore per far spazio ad un El Shaarawy che nel ruolo di esterno destro perde parecchio del suo potenziale offensivo. Semmai le perplessità derivano dalle prove di Paredes ed Hermoso. Entrambi sono più a loro agio in un altro tipo di calcio, ma adesso devono fare i conti con il calcio di Juric. È bene che si adeguino in fretta.

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