Zona o uomo, la sostanza è la stessa: si prende gol
Il pareggio di Genova somiglia a quello di coppa, eppure strategie e modalità sono cambiate. Restano pure le difficoltà nella costruzione dal basso
C'è qualche sinistra somiglianza tra la partita di Genova che è costata il posto a Daniele De Rossi e il pareggio di giovedì con l’Athletic Club che è costato invece solo la partenza col freno a mano tirato nell’avventura europea di questa stagione. Il pareggio con i baschi non è un risultato disprezzabile in assoluto ancorché guadagnato con un formidabile primo tempo, portato progressivamente dalla parte giusta attraverso un’applicazione feroce dei principi di gioco richiesti da Juric, e a dispetto di un secondo tempo assai meno brillante con il progressivo sfilacciamento della squadra che è andato purtroppo di pari passo con l’impoverimento del tasso tecnico, soprattutto per le uscite di Dybala e di Baldanzi che nei primi 45 erano stati i principali ispiratori di ogni manovra offensiva insieme con quel demone di Angeliño che ormai sta alla Roma di oggi come Kolarov stava a quella di qualche anno fa.
Così uguali, così diversi
A voler trovar le somiglianze di due partite simili forse nello sviluppo seppur condotte da due allenatori piuttosto diversi, si può pensare che questa squadra, come del resto aveva denunciato tempo fa anche Mourinho, sia naturalmente portata ad innalzare le sue barriere di protezione dopo aver conseguito un vantaggio e la circostanza finisca in realtà per dar più forza agli avversari soprattutto dopo aver mancato l’occasione di chiudere l’incontro. E anche in questo caso, proprio come a Genova (lì a sbagliare fu Dovbyk), è arrivato l’errore di Soulé a tenere il risultato così aperto. Tatticamente, però, nonostante la formuletta numerica simile, la Roma di Genova è stata molto diversa da quella dell’Olimpico, nella filosofia così come nell’esecuzione delle idee dei rispettivi tecnici. Nel cammino verso la conoscenza delle idee del nuovo allenatore la Roma ha già fatto vedere come si possono adattare alcune esigenze di marcature personalizzate laddove una squadra, come ad esempio l’Athletic Club, rinuncia aprioristicamente alla costruzione dal basso negando dunque la possibilità di sfruttare i vantaggi di pressioni alte così come piacciono al nuovo allenatore della Roma. Andarsi ad accoppiare uomo contro uomo nella propria metà campo diventa complicato perché si rischia di perdere i riferimenti di reparto. Così sui rinvii lunghi del portiere basco, Juric ha preferito mantenere compatta la linea della difesa con i due esterni pronti ad abbassarsi, ma mentre nel primo tempo sulle seconde palle e sulla riproposizione in transizione si è fatto un ottimo lavoro, anche per una migliore gestione del palleggio, nel secondo la quantità di fosforo è diminuita, il dinamismo di Koné si è un po’ spento anche a causa del cartellino giallo rimediato prima dell’intervallo e davanti Dovbyk e Soulé non sono più riusciti a tenere un pallone giocabile.
I cross sul secondo palo
La rinuncia della proposta giallorossa non ha coinciso peraltro con il dominio degli avversari che da parte loro si sono limitati piuttosto a mandare dentro l’area diversi palloni sia sulle palle inattive sia nello sviluppo ordinario, con particolare cura di calciare le parabole verso il secondo palo, dove evidentemente secondo Valverde la Roma appariva più vulnerabile. Neanche la presenza di Nico Williams, stella della Spagna campione d’Europa, ha realmente cambiato gli equilibri. Valverde dopo una decina di minuti dal suo ingresso ha preferito peraltro spostarlo centralmente, forse nel tentativo di sfruttare i potenziali vantaggi di una marcatura apparentemente squilibrata che vedeva Cristante sulle tracce del talento basco. Alla fine Svilar è rimasto quasi inoperoso e il caso ha voluto peraltro che il pareggio si sia concretizzato proprio nell’occasione in cui la difesa giallorossa si era fatta trovare almeno numericamente coperta. Sulla lunga parabola verso il secondo palo, infatti, sono andati a saltare, contro il solo Unai Nunez, Angelino ed Hermoso (colpevoli forse di correre all’indietro senza dare reale slancio al salto) senza riuscire ad impattare il pallone e, sulla torre, Aitor Paredes ha fregato sul tempo sia Cristante sia Mancini, deviando nella porta sguarnita il gol dell’uno a uno.
Lo studio degli avversari
Ci sono poi alcuni aspetti su cui sono bravi i tecnici delle squadre avversarie a lavorare a conferma che le difficoltà che un gruppo nuove deve affrontare non sono solo quelle autoindotte, ma derivano anche dalle contromosse studiate ad hoc. Ad esempio l’Athletic Club ha puntato su due aspetti che hanno ulteriormente complicato il lavoro di Juric. Del primo abbiamo già fatto cenno nel precedente paragrafo. Non è certamente un caso se i calci piazzati sono stati mirati quasi sempre sul secondo palo. Il caso - o le circostanze - ha voluto poi che gli spagnoli abbiano avuto a disposizione addirittura 10 calci d’angolo oltre a qualche punizione tra cui quella che ha portato al gol del pareggio. Va detto che la Roma non aveva sofferto particolarmente l’iniziativa avversarie fino al gol arrivato a quattro minuti dalla fine tanto che il dato degli expected goal maturato fino a quel momento era di 0,4, quasi niente. Ma ha ragione Juric quando dice comunque in relazione al gol che la Roma non fosse rimasta sorpresa visto che aveva due uomini a duello con Nunez (Hermoso ed Angeliño, che peraltro a dispetto dell’altezza, è un gran saltatore) e altri due sull’autore del gol (Mancini e Cristante, tra i più bravi della rosa a saltare). C’è dunque una forte componente di casualità nella rete del pareggio esattamente come avvenuto a Genova. Ma essendo circostanze ripetute è normale che risuoni d’allarme. Peraltro ad ulteriore paradosso si può notare come Juric abbia anche cambiato la disposizione dei giocatori sui calci d’ angolo: adesso si marca a zona.
La rinuncia alla costruzione
L’altro aspetto, anche se è una caratteristica specifica della squadra basca e quindi, come ha detto alla fine della partita, Juric non ne è rimasto sorpreso, è stata la totale rinuncia alla costruzione dal basso che di fatto ha annacquato una delle caratteristiche migliori delle squadre di Juric: la capacità di pressare alto mettendo in difficoltà il primo fraseggio degli avversari. Quello in cui dovrà sicuramente migliorare la Roma è nella sua propria costruzione dal basso. Perché troppo spesso Mancini e Ndicka, ad esempio, rendono banale la loro trasmissione del pallone per evitare di forzare passaggi che potrebbero apparire rischiosi. Per attenuare o ridurre del tutto il rischio preferiscono quasi sempre rivolgere il proprio corpo all’indietro e ricominciare dal portiere. Con il tempo si potrà lavorare su questi aspetti e migliorare l’uscita. Nel calcio moderno è un fattore imprescindibile.
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