De Rossi dura tre anni, la Roma va fatta prima
Il problema principale da risolvere è l’assortimento del centrocampo. Svilar fa il regista, ma occhio agli schemi degli avversari
Potremmo cavarcela così: la proprietà è assente e silente, il direttore sportivo è inadeguato e l’allenatore scarso e presuntuoso. Tanti gli argomenti (più o meno ponderati, che vuoi che sia) sarebbero a sostegno di questa teoria, potremmo farne un elenco sterminato con sostegni solidi riferibili quasi a ciascun giocatore della rosa, passeremmo per il non gioco del primo tempo con l’Empoli e l’isterismo del secondo, porteremmo dati e statistiche che in giorni come questi volano sulle chat di ogni cellulare (72% di possesso palla e perdi con l’Empoli, meglio catenaccio e contropiede!, 26 tiri verso lo specchio e solo 6 in porta!, e il baricentro troppo alto, e le cinque punte della ripresa, ecc.ecc.), e non mancherebbe il riferimento finale all’avventura di De Rossi alla Spal, senza ovviamente saperne niente, né del prima, né del durante e né del dopo, e senza averne vista mai neanche una partita. Potremmo, e avremmo il nostro popolo di cliccatori entusiasti. Dei like ce ne potremmo vantare con gli amici e magari da qualche centro-media arriverebbe un bannerino pubblicitario in più, perché oggi senza una visualizzazione massiccia pensi di non avere un posto nel mondo. Potremmo, ma non lo faremo. Lasciateci così, nel brodo primordiale dei sognatori solo un tantino amareggiati, che non sguainano la spada per ferire ma il microscopio per capire.
Lasciamogli del tempo
Cercare di capire oggi a beneficio del colto e dell’inclita il motivo per cui la Roma si ritrova a fine agosto dove l’avevamo lasciata a metà maggio è impresa impossibile, almeno per chi scrive. A vedere il primo tempo con l’Empoli poteva sembrare che il tempo non fosse mai passato, che rispetto all’ultima gara, quella immonda del Castellani sempre con l’Empoli, ci fosse stato in mezzo solo un allenamento e pure pigro e svogliato. In realtà il calcio è governato da troppi fattori imponderabili per rispondere a schematizzazioni severe e superficiali semplificazioni. Per questo partiremo da un assunto: avendo affetto (romanista) e stima (professionale) per chi guida la Roma e immaginando che il suo percorso appena cominciato dovrà durare altri tre anni, ci sentiremo in grado di fare una valutazione adeguata solo dopo un periodo di tempo congruo, che sia tre mesi, sei o diciotto la sostanza non cambia. Oggi no, non ancora. Per quanto ci riguarda oggi non è il giorno delle sentenze, semmai delle prime osservazioni assai generiche. In attesa che il lavoro porti frutti.
L’assortimento del centrocampo
Per stessa ammissione dell’allenatore - che come è noto parla a nome suo ma rappresenta in qualche modo anche diverse altre aree della società - la squadra è ancora largamente incompleta e dunque dall’analisi dobbiamo per forza evitare il giudizio complessivo sul mercato, nonostante il campionato sia già partito e i punti lasciati sul tavolo contro squadre destinate a lottare per non retrocedere siano già cinque, esattamente come l’anno scorso, quando nelle prime tre giornate è maturato il divario che la Roma non è stata più in grado di colmare. Speriamo che in questi quattro giorni, almeno, si trovi soluzione a quello che ai nostri occhi profani resta il problema principale: lo scarso assortimento del centrocampo. Paredes, Cristante e Pellegrini possono funzionare insieme ad altissimi livelli solo quando si trovano tutti e tre nella loro condizione migliore, quando la partita non arriva in mezzo a un altro ciclo terribile di impegni, o magari quando le temperature non sono bollenti come domenica sera, o quando gli avversari non sono particolarmente dinamici e tecnici. E quest’ultimo è l’unico tema su cui la partita con l’Empoli non concede sponde. Di fronte non c’era il Manchester City ma una squadra carica a dovere e ben preparata soprattutto nella fase di non possesso.
Il marcamento a uomo sui corner
Questa è stata la prima preoccupazione di D’Aversa e Sullo: chiudere ogni spazio soprattutto nelle vie centrali grazie al lavoro sotto palla degli attaccanti e dei centrocampisti ed evitare l’aggiramento sulle fasce grazie ai continui raddoppi tra quinti e difensori centrali. Bloccata in questa maniera ogni fonte di gioco, negli spazi larghi concessi nelle transizioni (altro vecchio difetto non ancora sistemato) l’Empoli ha trovato spazio per spaventare la Roma, innervosire e caricare di responsabilità gli avversari e cominciare a spostare così il quadro psicologico della gara. In più sono arrivati alcuni schemi particolarmente efficaci e ben studiati che hanno messo a nudo (questo sì) le carenze sulle palle inattive da parte dei giocatori della Roma. Riguardate nella pagina accanto il movimento di Gyasi che lo ha portato a sfiorare il gol sullo schema da calcio d’angolo: tutti a marcare in area, attaccanti pronti a spostare come un fascio di rondini i rispettivi marcatori e l’esterno che parte da trequarti per attaccare sul secondo palo a raccogliere l’invito: goal sfiorato, e in effetti solo rimandato.
Svilar il regista
Ad ogni transizione, l’Empoli si è ritrovato a rovesciarsi con troppa facilità verso l’area romanista. Capita, quando cerchi di impostare l’azione con Svilar sulla trequarti campo, allarghi magari Paredes e Ndicka, e Mancini va in fascia come terzino aggiunto, con Celik ala e Dybala dentro al campo: l’idea è ambiziosa, ma tecnicamente non puoi permetterti di sbagliare un appoggio e alla Roma in questo periodo questa lucidità non c’è. Sulla costruzione empolese, invece, la Roma accettava l’uno contro uno in ogni zona del campo per evitare l’inferiorità numerica nelle prime combinazioni, con i tre attaccanti sui tre centrali difensivi, un terzino alto sul quinto più basso, un centrocampista a prendersi il trequartista loro, gli altri a uomo sulla metà campo. Rischioso, ma perlopiù efficace. Anche l’Empoli ha provato ad alzarsi in pressione sulla rimessa dal fondo, poi se con il palleggio Svilar riusciva ad uscire con i piedi fuori area, i toscani si ritraevano più indietro e chiudevano ogni linea di passaggio con una concentrazione che non sempre i romanisti hanno avuto.
I cambi di sistema
Nell’ultima, convulsa ora finale De Rossi ha messo in campo prima un 352 con Angeliño terzo centrale, poi un 325 che ha finito - grazie alla nevrile qualità delle giocate e allo spirito di rivincita della squadra - per schiacciare i toscani nella loro metà campo. Ma è chiaro che si è trattato di una soluzione d’emergenza. Niente che serva per la Juve.
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