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L’indimenticabile festa dell’ultima dell’anno

De Rossi è rimasto deluso dal comportamento dei suoi giocatori e ne farà tesoro nella costruzione della squadra del futuro

Daniele De Rossi al Castellani di Empoli

Daniele De Rossi al Castellani di Empoli (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
28 Maggio 2024 - 08:01

Se la sconfitta di Empoli assumerà un valore con il tempo lo si deve ad un solo motivo: che resterà lì molto  a lungo a monito di tutto quello il prossimo anno bisognerà evitare. Ciò che non serve, invece, è dividerci sull’unico punto di riferimento certo e infrangibile che da un anno all’altro ci portiamo dietro Daniele De Rossi. Se qualcosa manca al ragazzo che si è fatto un uomo è solo l’esperienza, e non gliene si può certo fare una colpa. Ma se è vero che nel calcio o vinci o impari la lezione di Empoli - insieme, per motivi ovviamente diversi, a quelle di Bergamo e Leverkusen - sarà tra quelle che nel corso accelerato di questi cinque mesi resteranno più impresse all’allenatore della Roma. Che ci sia rimasto male se ne sono accorti tutti quelli che erano dalle parti della panchina domenica sera e poi quelli che hanno potuto ascoltare le sue parole nel post. Ma una conferma è arrivata anche ieri ai premi Ussi, di cui parliamo in altra parte del giornale. A fare risultato a Empoli ci teneva. Nulla contro Nicola o il presidente Corsi, anzi, il fatto che poi i toscani si siano salvati potrebbe aver rappresentato un piccolo motivo di conforto. Ma ci teneva per la sua squadra, per i tifosi della Curva Sud (che tra l’altro gli avevano anche chiesto una prestazione attenta per gli “amici” dell’Udinese che poi per salvarsi non hanno avuto bisogno della Roma), ci teneva in maniera particolare per Eusebio Di Francesco a cui è particolarmente legato, ma soprattutto perché la serietà dei comportamenti è un esempio di cui a Trigoria c’è perennemente bisogno. La invocava quando giocava e vedeva cose che i dirigenti sottovalutavano anche dei suoi stessi compagni di squadra, la pretende ora che a comandare è lui e che da lui in buona parte discenderanno le fortune prossime della Roma.

La morbidezza indigesta

Ma quello che ha visto dispensato qua e là nella gara e soprattutto nel finale della partita non gli è piaciuto per niente e da quello che ha annunciato a fine partita non se lo dimenticherà neanche facilmente. Troppo arrendevoli i suoi giocatori nella conduzione delle ripartenze in superiorità numerica che avrebbero potuto garantire un esito diverso nel secondo tempo, quando Nicola ha aumentato disperatamente il numero degli attaccanti e la sua squadra ha perso l’equilibrio, troppo morbidi nelle contrapposizioni agli avversari sulla trequarti e in area di rigore, troppo superficiali nella gestione dell’azione decisiva, con il mancato contrasto di testa di Lorenzo Pellegrini (entrato da poco, e quindi pienamente disponibile in ogni sua energia al compito richiesto dall’allenatore), troppo larghi gli spazi in quella verticalizzazione con le marcature preventive affidate al caso, troppo approssimative le chiusure di Mancini e persino di Svilar, forse la sorpresa più bella della stagione, un patrimonio che ci ritroviamo quasi per caso e che da solo attutisce la botta dei mancati incassi della Champions League almeno nell’ottica degli investimenti da fare. Della didattica del due contro due, di cui abbiamo già parlato in altre occasioni e che anche con Mourinho veniva spesso ignorata, siamo sicuri che si parlerà molto nelle esercitazioni future degli allenamenti della Roma. Quando si vaneggia a proposito dei modelli da seguire, ora che è tornata di moda nuovamente l’Atalanta, ci si dimentica troppo spesso dei concetti tattici principali che a Zingonia non sottovalutano, ed è proprio nella capacità di non perdere riferimenti - da lontano e da vicino - quando si fronteggiano coppie di giocatori. Si ricominciasse da lì, dalle basi, dalla capacità di prevenire uno dei sette modi possibili per venir fuori senza danni da un due contro due in velocità. Anche domenica Cancellieri, che con tutto il rispetto non è Vinicius, e nemmeno Lookman, ha saltato tre giocatori che guardavano altrove con un semplicissimo dai e vai. Inaccettabile. 

Testa, pancia e baricentro

Ciò che invece la sconfitta di Empoli non dovrà fare è sporcare di fango tutto quello che di buono De Rossi in tempi strettissimi aveva saputo costruire ereditando una squadra che a gennaio sembrava precipitata nel burrone della sua stessa superbia. Perso Mourinho - un mito della panchina che per quanto ci riguarda andrà sempre ringraziato per ciò che ha fatto nei suoi due anni e mezzo di gestione ma che non dovrebbe mai essere sbandierato in contrapposizione a De Rossi o a ogni altro allenatore eventualmente successivo, almeno se si vuole il bene della Roma - è arrivato De Rossi che ha lavorato sulla testa e sulla pancia dei suoi giocatori, e ovviamente sul baricentro, alzandolo decisamente. Ha riportato la cultura della difesa a 4, della costruzione dal basso, delle rotazioni dei centrocampisti, delle funzioni più che dei ruoli, e la squadra l’ha seguito, traendo risultato dopo risultato maggior convinzione sino ad esaltarsi disputando partite memorabili, vincendo molte gare consecutive, passando turni di Europa League contro squadre più strutturate (e favorite per i bookmakers). Poi, verso la fine della stagione, mollati gli ormeggi, si è avuta la conferma che il baricentro alto da solo non basta, se dalla mente non arrivano gli impulsi giusti o se le gambe non sono in grado di recepirli. Proprio le feroci motivazioni che avevano fatto resuscitare una squadra dalle sue stesse ceneri sono mancate all’improvviso, i muscoli già usurati non sono stati sufficienti a sostenere l’impatto delle ultime sfide.

Come ripartire

In qualche partita, e ne abbiamo parlato approfonditamente, anche De Rossi ci ha messo del suo, forse pretendendo troppo nella condivisione delle informazioni tattiche da trasferire al gruppo. Alcune scelte strategiche magari non perfettamente provate in allenamento hanno aumentato le difficoltà della squadra in determinate partite. Ma fa parte tutto di quel bagaglio di conoscenze e di esperienze che l’allenatore sta riempiendo e che un domani gli servirà per non trovarsi impreparato a sopportare le temperature più estreme di una città in perenne inquietudine. Sarà molto utile il lavoro che farà con Ghisolfi per la costruzione della rosa e, soprattutto, quello sul campo durante la preparazione della stagione. La base da cui ripartirà sarà probabilmente ancora quella del 433, vista la pervicacia con cui insiste nella richiesta di esterni offensivi di gamba e qualità. Resta convinto che la squadra che ha allenato era «forte», ma che per esserlo realmente avrebbe avuto bisogno di alternative vere e non teoriche. E a Empoli se n’è convinto una volta di più.

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