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Pregi e difetti in una gara ma da qui si può ripartire

Contro Gilardino si è rivisto il “vorrei ma non riesco”, ma anche la solita capacità di reazione. Servono più dinamismo e qualità

Paredes in azione contro il Genoa

Paredes in azione contro il Genoa (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
21 Maggio 2024 - 08:15

Se serviva qualche conferma di quello che poteva funzionare meglio nella stagione ma anche di quello che alla fine le risorse di questo gruppo di giocatori è stato in grado di garantire, la partita con il Genoa ha dato l’ulteriore e forse definitiva testimonianza dei pregi e difetti di questa Roma 2023-2024. Unire nel giudizio le due diverse gestioni tecniche è sicuramente sbagliato, ma sostenere che c’è stato un minimo comun denominatore nelle difficoltà, soprattutto dinamiche, per tutto l’anno soprattutto nei momenti di calo di forma non è offensivo per nessuno. Che poi la scelta strategica sia quella di tenere il blocco basso, come ha fatto Mourinho nei due anni e mezzo della sua gestione, oppure di alzare il baricentro trasferendo magari il problema alle spalle della linea difensiva, cambia poco. O meglio, cambia per chi crede nell’estetica calcistica. E quindi è stata sicuramente più appassionante (e più redditizia stando almeno alla media punti decisamente migliorata) la traiettoria seguita da De Rossi piuttosto che quella tratteggiata da Mourinho negli ultimi sei mesi della sua storia romanista.

Una squadra europea

Su un punto i due tecnici si sono ritrovati d’accordo: alla fine il valore della squadra è pressoché quello indicato dal piazzamento finale degli ultimi tre anni, visto che alla fine sono sempre state  cinque le squadre che hanno fatto meglio in campionato. Né ci sembra casuale che invece la Roma, opposta alle migliori tra le squadre di seconda fascia d’Europa, sia arrivata in fondo tutte e tre le volte, con il non trascurabile dettaglio della vittoria in Conference del primo anno, della sconfitta in finale nel secondo e dell’uscita in semifinale nel terzo. Probabilmente in tutte e tre gli anni la squadra giallorossa ha fatto il massimo di quello che poteva fare, dimostrandosi comunque assai più pronta nei trofei in cui ci si gioca tutto in 90 o 180 minuti piuttosto che nei gruppi all’italiana: e l’ulteriore prova deriva dal fatto che nei tre gironi giocati ad inizio competizione ogni volta si è rischiata la precoce eliminazione. Roma-Genoa, dunque, come paradigma dell’intera stagione. Vediamone i motivi.

I difetti da migliorare

Tatticamente, come sempre ha fatto con De Rossi, anche contro la bella squadra di Gilardino, la Roma è partita a spron battuto, senza curarsi troppo delle conseguenze nella convinzione, tipica di chi ama questo tipo di calcio, di poter risolvere in avanti le incongruenze tattiche piuttosto che cercando solo di limitare il passivo. Ecco dunque che senza neanche un momento di indugio, e a dispetto di una condizione fisica sotto al livello di guardia, De Rossi ha ordinato pressioni altissime, mettendo Pellegrini e  Lukaku ad infastidire l’impostazione di Vasquez e De Winter, e alzando Bove sul terzo centrale, Vogliacco, delegando Baldanzi alle cure del regista Badelj. Inevitabili gli altri accoppiamenti con Paredes e Cristante ad occuparsi di Frendrup e Strootman, con i terzini altissimi sui quinti avversari e l’inevitabile due contro due in difesa con Llorente e Ndicka su Ekuban e Retegui. Ma il Genoa è bravo a costruire soprattutto con studiati ed efficaci movimenti sulle catene laterali e su ogni pressione un po’ in ritardo della Roma ha trovato il modo di uscire dalle marcature con eleganti manovre a liberare il terzo uomo. Esemplare, in questo senso, l’azione che al minuto 30 ha portato Badelj a liberarsi dalla prima marcatura di Baldanzi (non ha funzionato, nello specifico, lo scambio di uomo con Lukaku), e a servire lungo Frendrup che è sfuggito a Paredes e che ha poi crossato verso Retegui che ha calciato al volo di sinistro sopra la traversa. Bellissima azione cadenzata più dalle pressioni sbagliate romaniste che dalla reale capacità tecnica dei giocatori del Genoa.

Ci può stare, in ogni caso, subire ogni tanto queste percussioni con i giocatori costretti a scappare all’indietro nei pericolosi duelli in parità numerica a patto che però l’iniziativa in fase di possesso sia costante ed efficace, due qualità che sono invece mancate ai giallorossi anche a causa delle distanze tenute sempre troppo lunghe in fase di costruzione della manovra. Quando la Roma partiva, infatti, i due terzini si andavano a posizionare molto alti perché sia Baldanzi sia Pellegrini cercavano di prendersi il pallone tra le linee in posizioni centrali e questo dispositivo offensivo obbligava Bove e Cristante (in seconda costruzione) ad aprirsi sulle fasce. Risultato? La Roma aveva una linea quasi di cinque attaccanti orizzontalmente dislocati ma in mezzo al campo la superiorità numerica dei centrocampisti del Genoa era evidente. Così invece di palleggiare con dinamismo si cercavano sempre scorciatoie con lanci forzati o inutili tiri da lontano.

La capacità di reazione

Ma tra le qualità incontestabili dei giocatori della Roma c’è anche una grande capacità di adattamento alle difficoltà, tipo l’espulsione di Paredes. Al netto delle responsabilità dell’argentino (ci sembra assai più deprecabile il comportamento di Manganiello che non ha sanzionato la lunga trattenuta di Thorsby sul romanista), la Roma si è ricompattata in pochi minuti e ha alzato immediatamente il tasso agonistico per reagire all’ingiustizia e piazzare l’ultimo sprint della stagione. Non è un caso se dopo l’espulsione sono arrivati i pericoli maggiori per la porta di Martinez. Pochi secondi prima del gol, infatti, Angeliño aveva piazzato un sinistro dei suoi all’incrocio dei pali, respinto in volo plastico dal portiere spagnolo, e subito dopo la Roma aveva riconquistato la palla con una feroce pressione, che ha portato al bel cross di El Shaarawy da destra e alla lucida incornata di Lukaku all’angolino. Poi si è giocato solo col cronometro, pensando soprattutto a difendere il vantaggio più che a portare verso la porta avversaria. Così si spiega anche l’uscita di Dybala appena 28 minuti dal suo ingresso in campo. L’argentino non l’ha presa bene, ma De Rossi aveva bisogno di qualche centimetro in più per difendere e così ha inserito Kristensen, decisivo in un paio di chiusure diagonali da quinto, piuttosto che tenere El Shaarawy nella posizione di terzino.

Ghisolfi a disposizione di De Rossi

Adesso si pensi al futuro, le idee sembrano chiare: un altro difensore alto e tecnico, uno o due centrocampisti dinamici e col piede vellutato, almeno due esterni di dribbling e gamba solida. Il resto dipenderà dalle scelte che si faranno su Lukaku e Dybala. Il contratto di tre anni al tecnico testimonia la volontà della proprietà di assecondare le sue idee. Ghisolfi si dovrà mettere a sua disposizione (e non il contrario), siamo sicuri che il concetto a Friedkin sia ben chiaro.

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