De Rossi masterclass: come ti stendo il Milan
El Shaarawy a destra e, in non possesso, 4-4-2 come a Rotterdam. Non è cambiato Paredes, ma la squadra tutta intorno
La masterclass di Milano firmata Daniele De Rossi ha la sua origine nella partita di Rotterdam, lo scorso 15 febbraio, quando neanche un mese dopo aver preso in mano la squadra, l’allenatore si presentò al cospetto del Feyenoord difendendo con il 442, con Bove a destra e Zalewski a sinistra, con in mezzo Paredes e Pellegrini, e Cristante in panchina. Si giocò cinque giorni dopo la sconfitta con l’Inter e la Roma tenne il campo con disinvoltura, andò in svantaggio immeritatamente a fine primo tempo e poi riequilibrò il risultato nel secondo.
Mentre scrivevamo di una Roma in evidentissima evoluzione, con tanti progressi sia in fase di possesso sia di non possesso, con le mutazioni che partivano dalle pressioni (Slot fu sorpreso dalle scelte specifiche di De Rossi come è successo a Pioli) e arrivavano ad una più fantasiosa fase di possesso, la Gazzetta definiva quella Roma “svagata, arruffona e confusionaria”. Un po’ come il Corsport che invece dopo Lecce ha scritto che per De Rossi era “finito il gioco”. Avvoltoi che svolazzano su una squadra seria e un allenatore talentuosissimo e che cercano il minimo pretesto per normalizzare una storia che ancora una volta invece ha assunto accenti epici. Come diversamente definire la storia di un allenatore che, dopo aver patito le frustrazioni per - citando testualmente - «le numerose porte sbattute in faccia quando speravo in un ingaggio», ha accettato la proposta di Friedkin di sostituire Mourinho (straordinaria intuizione che va riconosciuta al presidente americano) e si è gettato a capofitto nell’impresa di restituire fiducia ad una squadra ormai spenta ottenendo i risultati che ha ottenuto? Otto vittorie, due pareggi e una immeritata sconfitta con l’Inter in campionato, due qualificazioni consecutive, con la straordinaria serata contro il Brighton, in Europa League prima della strepitosa vittoria di giovedì in casa del Milan: un cammino quasi incredibile che neanche lui stesso, in uno dei suoi sogni più belli negli emozionanti giorni dell’accordo, poteva aver la presunzione di concedersi. E invece è tutto vero. E la masterclass di Milano è stata solo l’ultima conferma di una realtà ormai innegabile: Daniele De Rossi ha le stimmate per diventare uno dei migliori allenatori del mondo. Niente di meglio poteva capitare alla Roma, niente di meglio poteva capitare a lui.
Il doppio lucchetto sulle fasce
A Rotterdam, dicevamo, i prodromi della strategia vincente adottata giovedì a Milano. Per fermare squadre che puntano su doppi rapporti di forza sulle fasce con lo sviluppo in palleggio prolungato con sofisticate rotazioni nelle diverse catene, niente di meglio di un doppio presidio che preveda sincronismi per non rendere piatto il centrocampo (mai dunque i due mediani sulla stessa linea in non possesso) e collaborazione tra dentro e fuori per non rimanere mai in inferiorità numerica. Esempi pratici? Celik ed El Shaarawy non dovevano sbagliare mai i tempi di uscite e chiusure per non mettersi in difficoltà vicendevolmente nelle coperture su Theo Hernandez e Leao, letteralmente annullati dall’applicazione perfetta con il contributo da “dentro” di Cristante, mediano di parte dedicato ora alla marcatura di Reijnders ora alla copertura degli spazi eventualmente rimasti sgombri. Stessa cosa dall’altra parte, con Pellegrini e Spinazzola ad inibire le iniziative di Calabria e Pulisic e Paredes disponibile ad ogni sacrificio. Nello specifico Pellegrini è stato inevitabilmente penalizzato dall’occupazione di uno spazio esterno soprattutto in non possesso che solitamente non gli appartiene e che lo ha esposto in molti casi a sfiancanti corse all’indietro che ne hanno progressivamente minato la freschezza atletica. Ma nel compito è stato aiutato dal solito movimento interno di Calabria - ormai scoperto da ogni avversario del Milan - che porta il capitano rossonero a toccare un numero di palloni persino esagerato considerando che non è Modric o De Bruyne.
La metamorfosi di Paredes
Chi ha massimamente beneficiato della nuova Roma targata De Rossi è Leandro Paredes, plastica dimostrazione di come un giocatore delle sue caratteristiche ha bisogno intorno di una squadra che si muova in maniera dinamica per rendere al meglio. Non date retta alle favolette di chi vuole raccontare che i giocatori sono cambiati con De Rossi perché non volevano più giocare con Mourinho. Stupidaggini. Paredes, Pellegrini, Spinazzola, El Shaarawy non sono fuoriclasse alla Dybala, a cui basta un metro di spazio per disegnare magie in ogni zona del campo (e anche lui, in ogni caso, è oggi decisamente più incisivo di prima). Paredes ricopre un ruolo decisivo per la geometrica visione del calcio sia nelle uscite dal basso, sia nell’impostazione verticale, sia nel palleggio stretto a metà campo: ma ha un dinamismo limitato negli istanti in cui riceve il pallone che rischia di fargli rallentare l’azione se non riesce immediatamente ad individuare lo sviluppo successivo. E con una squadra che si muove armonica e con i tempi giusti negli spazi progressivamente occupati per lui diventa tutto più facile. Se poi addirittura può scegliere tra la soluzione uno (magari l’appoggio facile laterale) e la soluzione due (la verticale nel tempo in cui il compagno sta per occupare lo spazio) spesso sorprende con la scelta meno facile e più spettacolare. E più gli riescono le giocate più acquisisce consapevolezza, fino a diventare decisivo anche nella fase di non possesso, dopo aver limato quei difetti su cui De Rossi ha lavorato dal primo giorno (ad esempio, il temporeggiamento al posto dell’uscita forte ma scoordinata).
Gli impazienti inglesi
Se poi si vogliono individuare altri motivi per concedersi ad un po’ di ottimismo in vista di questi 45 giorni finali di stagione, Smalling ed Abraham ce ne danno ampia possibilità. Il primo, quando è in forma, resta il più forte difensore della Roma, superiore persino allo straordinario Mancini che stiamo apprezzando ogni giorno di più.
Per esperienza, tempismo, classe, virtù atletiche e forza mentale è davvero un valore aggiunto e a Milano l’ha dimostrato interamente, reggendo l’impatto di 90 minuti di altissima intensità senza neanche una sbavatura (nel doppio colpo di testa di Giroud respinto da Lukaku nel primo tempo era a terra dopo essere stato tirato giù dall’avversario). Per il finale di stagione è un acquisto fondamentale proprio come Tammy che al netto di certe svagatezze (nel non rigore reclamato da Pioli va comunque scoordinato su quel pallone, e a Milano sarebbe stato recidivo) può rappresentare alternativa e complemento al meraviglioso Lukaku ammirato a San Siro.
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