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Costruzione ed esterni: dove sono le soluzioni?

Non si può delegare ad un solo giocatore lo sviluppo del gioco. Il derby ha evidenziato i difetti di una squadra che non studia abbastanza

Dybala in campo contro la Lazio

Dybala in campo contro la Lazio (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
12 Gennaio 2024 - 08:00

Si attendevano conferme tra derby e trasferta di Milano, il primo appuntamento è stato clamorosamente mancato, le buone impressioni destate dalle recenti sfide con Napoli, Juventus e Atalanta svanite nell’Olimpico decolorato. Il tonfo è troppo grande per far finta di niente, la mancata qualificazione alle semifinali di Coppa Italia riduce e di molto le aspettative per agguantare un trofeo e accorcia almeno di tre mesi la speranza dei tifosi: se non arrivasse una perentoria svolta in campionato e se la Roma mancasse anche l’appuntamento con il play-off di Europa League si corre il rischio che a fine febbraio la stagione si possa considerare conclusa, proprio come ai tempi bui delle varie “romette” senza ambizioni che abbiamo sofferto negli anni. Ma se è ancora presto per esprimere giudizi definitivi sull’intera stagione non possiamo evitare di affrontare nella maniera più pragmatica possibile l’analisi della brutta sconfitta di mercoledì sera e le conseguenze che ne possono derivare. Stavolta cominciamo con le attenuanti che vanno considerate perché fanno parte della cronaca, ma nello specifico non rilevano nulla nel negativo giudizio finale che la brutta partita ci ha ispirato. Però non era inimmaginabile considerare qualche passaggio a vuoto dovendo affrontare in pochi giorni avversari di livello. E il grande dispendio di energie della bella partita con l’Atalanta (giocata meglio per la diversa disposizione degli avversari, più spudorati e più esposti della Lazio) è costato più del temuto.   

Dybala inutile nel primo tempo
Però proprio la considerazione sulle condizioni fisiche e atletiche da gestire nell’emergenza avrebbero dovuto indurre Mourinho a calcolare preventivamente vantaggi e svantaggi di uno schieramento o di un altro. Invece il portoghese ha ragionato, come ha confessato lui stesso in sala stampa al termine della partita, solo sull’effetto iniziale che la presenza di Dybala avrebbe potuto-dovuto indurre nella Roma e sperabilmente negli avversari: «Giocare senza Paulo, come si è visto anche nella partita con la Cremonese - ha detto - avrebbe potuto significare lasciare il controllo del gioco agli avversari, con le immaginabili conseguenze». Vero, ma proprio la gara con la Cremonese dimostra che la presenza dell’argentino è stata fondamentale nel momento in cui è stato necessario imporre la svolta alla partita quando maggiormente contava, nel secondo tempo. Stavolta, invece, la presenza della Joya dall’inizio non ha inciso nel primo tempo, lo ha fatto pesantemente la sua assenza nel secondo. Nell’ottica della prestazione da garantire potenzialmente per 120 minuti e a maggior ragione pensando anche agli eventuali calci di rigore) sarebbe stato il caso di preservare all’inizio l’argentino dando magari fiducia ad Azmoun (in partenza per la Coppa d’Asia) e puntare magari strategicamente e consapevolmente sullo stallo tattico che invece con Dybala la Roma ha subito. 

Quali linee di passaggio?
E qui entriamo anche nel vivo della questione che riguarda la Roma. Da queste colonne e dalle frequenze di Radio Romanista abbiamo costantemente elogiato il lavoro di Mourinho all’interno di un recinto che abbiamo sempre dato per assodato, senza portare strumentalmente la questione su argomenti che dentro quel recinto non ci stavano. Diventa inutile, in pratica, contestare dopo ogni sconfitta lo sviluppo di un gioco non brillante a un allenatore che punta evidentemente su altri fattori e meno sulle potenzialità di quello sviluppo di gioco. Fatta questa doverosa premessa riteniamo però che di certi limiti il tecnico non se ne debba far vanto e questa volta non possiamo evitare di considerare come la presenza o meno di Dybala non debba ogni volta giustificare una vittoria o una sconfitta. Dire, ad esempio, che quando ha dovuto sostituire il suo miglior giocatore all’intervallo ha immediatamente percepito dall’umore dello spogliatoio che le cose sarebbero peggiorate significa di fatto autoaccusarsi di non essere in grado di garantire lui poi le possibile alternative, pur nella consapevolezza del grande contributo tecnico che l’argentino può dare. Riteniamo che due grandi problemi evidenziati ad esempio nella partita di mercoledì della Roma si possano parzialmente risolvere attraverso una più razionale distribuzione dei compiti. Ci riferiamo evidentemente alla costruzione di gioco nello sviluppo dal basso e alle rifiniture degli esterni. Nel primo caso non si sono evidentemente studiate con la dovuta attenzione le modalità di ricerca delle linee di passaggio tali da  consentire alla squadra di uscire anche quando di fronte si trova una formazione addestrata come quella biancoceleste a chiudere ogni possibile corridoio. Troppe volte Paredes e Cristante non si sono mossi nei tempi giusti per fare da sponda e da leva per le verticalizzazioni necessarie a mettere in difficoltà una squadra che in fase di non possesso si chiude a testuggine con due linee da cinque giocatori. A volte restavano immobili, a volte faticavano a coprire i metri che li tenevano lontani dai compagni.

Agli esterni manca il tempo
Quanto agli esterni se qualcuno ritiene che Marusic, Luca Pellegrini, Lazzari e Hysaj siano decisamente superiori al reparto di esterni in dotazione alla Roma è molto lontano dalla realtà. Come si spiega allora che nelle poche rifiniture venute dal fondo i biancocelesti abbiano determinato sempre qualche occasione pericolosa e la schiacciante maggioranza di quelle dei romanisti siano state quasi dilettantisticamente consegnate al primo avversario? Forse con la mancata codifica di alcuni sviluppi che la Lazio cura invece con maggiore attenzione. Ci sembra meno centrato invece puntare il dito solo contro la qualità dei giocatori,  come se non contassero i tempi di smarcamento, le codifiche addestrate, gli sviluppi provati e riprovati in allenamento. Detto, dunque, con chiarezza che non sarà la sfida dell’Olimpico di mercoledì a farci cambiare idea in assoluto su Mourinho (restiamo convinti che sia l’allenatore migliore per portare avanti il progetto romanista a meno che dal cilindro dei Friedkin non esca fuori un sostituto di livello adeguato, e ne contiamo due o tre in tutto il mondo) riteniamo che ci sia ancora margine per poter riprendere la stagione, a patto però che si faccia in fretta tesoro dei numerosi errori commessi e che si sfrutti tutto il tempo che ci sarà nei mesi di gennaio e febbraio per lavorare meglio su certe situazioni. Non sono certo due linee di passaggio in più a garantirti il successo di un trofeo, ma sono esattamente quegli ingredienti che a volte mancano per garantire digeribilità ad una torta che a volte non può essere curata dal migliore dei tuoi chef.

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