Le linee di passaggio: è questo quello che manca
Se si lascia l’iniziativa agli avversari diventa nodale una costruzione più brillante soprattutto nella fase di transizione
Non c’è statistica, non c’è episodio, non c’è giocatore, non c’è fase di gioco, non c’è un solo elemento salvabile della partita che ha causato alla Roma il clamoroso peggioramento delle probabilità di qualificarsi come prima del girone G di Europa League nei novantotto minuti giocati all’Eden Arena di Praga giovedì sera, inducendo peraltro l’ambiente a virare verso il pessimismo l’atmosfera di questa cortissima vigilia di derby. Quando l’ottimo arbitro francese Letixier ha fischiato l’avvio delle partita la squadra giallorossa covava la speranza di poter conquistare i tre punti per rimandare così di quattro mesi ogni altra valutazione legata all’attività internazionale (essendo a quel punto prive di significato le due partite residue del girone), poi la gara si è sviluppata e alla fine del primo tempo ci si è convinti che anche il pareggio sarebbe potuto andar bene, perché avrebbe rimandato la questione qualificazione di un turno, ma avrebbe comunque tenuto lontana l’ipotesi del playoff riparatore contro una terza di Champions, poi la Roma si è ritrovata sotto di un gol e si è stratificata la consapevolezza di provare almeno a portare a casa la sconfitta di misura che avrebbe tenuto la squadra sulle spine fino alla sesta e ultima giornata del gruppo, ma avrebbe in ogni caso lasciato il vantaggio del gol in più negli scontri diretti a indirizzare nel senso giusto il primato del girone. Ma alla fine si è dovuto prendere atto della sconfitta con lo stesso risultato della gara dell’Olimpico, che ha restituito invece ai cechi il vantaggio della differenza reti generale che ora indica tre gol in più a loro. Bel capolavoro, verrebbe da dire. Così a freddo si può provare solo a dare una forma concreta alla fumosa questione delle recriminazioni. Quale prevale, se se ne dovesse individuare solo una, rispetto alle mille cose che non hanno funzionato giovedì sera?
Il coraggio di Trpisovsky
Se dovessimo scegliere noi non avremmo dubbi: la Roma avrebbe avuto bisogno, come altre volte ci è capitato di sottolineare, di migliori linee di passaggio per poter essere più incisiva in tutte le occasioni in cui si trova a gestire un pallone, quasi sempre sotto la pressione avversaria. Visto che capita spesso di lasciare l’iniziativa agli altri si dovrebbe trovare il modo di rendere loro la vità più complicata. La scelta di Trpisovsky, ad esempio, è stata chiara: aggredire alta la squadra di Mou in ogni zona del campo, lasciando in difesa l’uno contro uno di due dei tre centrali schierati, alzando il terzo (Masopust, l’autore del secondo gol) in pratica come terzino e a volte persino mezzala, spingendo molto con gli esterni di centrocampo, facendo convergere al centro i due mediani (tra cui il veloce ed estroso Zafeiris) e i tre attaccanti (Jurecka, Provod e Chytil) alla ricerca di qualche ficcante trama interna. In questa maniera l’allenatore ceco si è preso dei rischi che però la Roma non ha saputo sfruttare, e alla fine ha imposto la sua idea di gioco senza mai subire quella degli avversari.
L’aspetto fondamentale
E qui entriamo nel campo dei principali demeriti giallorossi. Perché senza voler con questo contestare la filosofia calcistica di Mourinho (ognuno ha diritto di scegliere la propria, soprattutto se i risultati sono convincenti come quelli raggiunti dal portoghese) riteniamo che la squadra giallorossa potrebbe semplicemente lavorare meglio sulle uscite dal basso sulle pressioni avversarie, individuando qualche meccanismo in più utile a liberare linee di passaggio meno prevedibili di quelle solitamente praticate. Anche contro lo Slavia, infatti, si è ridotto lo spazio di sviluppo all’uscita sul quinto di centrocampo col lancio lungo verso Lukaku, risorsa utile (e a volte sollecitata con vigore da Mancini e Svilar di fronte magari alle riluttanze di Celik), ma alla prova dei fatti troppo prevedibile. Soprattutto Paredes in qualche pigra interpertazione, ma anche Bove e l’impalpabile Aouar avrebbero dovuto garantire più fantasia negli sviluppi magari attraverso corse in diagonale o in contromovimento che invece non si sono proprio viste, o attraverso tocchi più rapidi. Oppure avere maggior lucidità nel capire che di fronte ad una pressione a più uomini in zona palla, può bastare a volte semplicemente uno scarico o un cambio di gioco quasi al buio per ribaltare il fronte e attaccare in buon numero il lato debole della retroguardia avversaria.
Nelle grafiche accanto abbiamo riportato ad esempio uno sviluppo rimasto solo potenziale in una transizione sullo 0-0 che avrebbe potuto portare El Shaarawy ad attaccare la metà campo dello Slavia senza avversari sul campo. Ma vale anche per qualche scambio mancato tra gli attaccanti nella zona di rifinitura: curiosa, in questo senso, la scelta di Celik sull’1-0 di non servire Lukaku dopo una bella incursione personale che sarebbe stata resa più preziosa dall’assist al compagno piuttosto semplice da realizzare. Questa è in fondo l’unica leggera variazione sul tema che si potrebbe richiedere a Mourinho senza voler intaccare le sue convinzioni, costruite peraltro su anni di carriera vincente. Non sappiamo quanto tempo venga dedicato nel lavoro quotidiano a Trigoria a questa ricerca di uscite con i difensori, o alla necessità di palleggiare con maggior qualità nella metà campo avversaria, ma dall’evidenza dei fatti sembra non abbastanza.
Quanto servirebbe Chris
Non riteniamo invece che si possano fare troppi appunti in senso più generale sull’organizzazione della fase di non possesso. Gli errori che portano la squadra a subire gol sono spesso legati ad una superficiale attenzione individuale, come nel caso di Belotti incidentalmente in marcatura di Jurecka sull’azione del primo gol (e, come mostriamo in grafica, poi incomprensibilmente assente al momento dell’esito del cross), o come nella disposizione troppo schiacciata verso la porta in occasione dell’azione del secondo gol. È chiaro che in queste situazioni manca in maniera significativa la figura del leader del reparto, Chris Smalling, alle prese con un’infiammazione che non consente ancora neanche di programmare una data di rientro.
Ma è un fatto che senza di lui si perda una parte significativa della qualità difensiva della Roma. Qualche segnale di miglioramento in questo senso è arrivato da Ndicka, anche se sconta sempre qualche leggera incertezza nelle marcature più strette e non sfrutta come dovrebbe la libertà di manovra che gli viene concessa dagli allenatori avversari, con una frequenza tale ormai che non può essere considerato un caso. Se si fidasse di più del suo primo istinto e non ripensasse ogni volta ad un passaggio diverso forse la manovra comincerebbe già più fluida.
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