La partita perfetta per raccontare Mourinho
Il portoghese è uno dei pochi allenatori di Serie A che scelgono il piano gara sull’avversario. E anche stavolta l’ha spuntata lui
In fondo dovrebbe essere considerato un gran bel pregio per una piazza se alcuni tifosi storcono la bocca di fronte a una vittoria complicata come quella di domenica con il Monza. In una piazza abituata al bel calcio si è particolarmente esigenti e dunque non basta vincere ma bisogna anche convincere per avere il plauso della critica. Forse però qualcosa è cambiato da quando c’è stata la radicalizzazione delle opinioni, da quando cioè non basta più esprimere un parere, pronti magari a cambiarlo di fronte a nuove evenienze, ma bisogna sempre argomentarlo in termini che diventano definitivi se immortalati sui social. Così oggi le due fazioni - di cui quella dei sostenitori è molto più folta di quella dei detrattori - si fronteggiano dopo ogni partita senza che nessuno ravvisi l’opportunità di cambiare idea magari perché convinto da qualche ragionamento un po’ più approfondito.
Un altro pianeta
In questa rubrica, però, proviamo sempre a capire innanzitutto i punti di vista degli allenatori della Roma, a prescindere dai gusti estetici di chi scrive. Quasi sempre in passato abbiamo sostenuto quei tecnici giallorossi, e a volte persino quelli delle avversarie della Roma, capaci di proporre un gioco brillante e propositivo. Poi però è arrivato Mourinho e all’improvviso è apparso chiaro, e non solo a noi visti i due anni di sold-out consecutivi, che il portoghese è proprio un’altra roba. Non è un giochista, non è (solo) un risultatista, non è un difensivista, non è un offensivista. È Mourinho, è una categoria a parte. Solo lui al mondo ha quel mix di carisma, conoscenze e intelligenza sfacciata che ne fanno davvero uno special one.
Per esempio ha l’umiltà che pochi hanno in serie A di considerare enormemente le qualità dell’avversario prima di decidere il proprio piano strategico. Ecco perché pur condividendo alcune delle critiche che gli vengono rivolte per il gioco poco brillante, mettiamo certe valutazioni in secondo piano. Di più, riteniamo che nessun allenatore al mondo oggi possa fare meglio di lui sulla panchina della Roma. E ci sale un magone lungo così al pensiero di vederlo alla guida dei giallorossi solo per altri sette mesi, gli ultimi del suo contratto.
La sintesi del Mourinhismo
La partita col Monza è una summa molto accurata del Mourinhismo. Di fronte c’era una squadra meno dotata sul profilo tecnico, ma sicuramente provvista di quella vis agonistica tipica delle squadre allenate secondo i principi Gasperiniani. Sono maestri nel contro gioco, provano a vincere pensando prima di tutto ad annullare ogni tua velleità con marcature asfissianti e pressioni inesauribili, colmando con l’attitudine dinamica ogni eventuale gap di tipo tecnico. Per affrontare queste squadre, ad esempio, a uno come Mourinho non viene proprio in mente di fare un braccio di ferro per imporre il proprio gioco e in qualche modo correre il rischio di consegnarsi alle transizioni avversarie. No, lui non ha nessuna remora nel chiedere alla squadra di difendere con il blocco basso, di lasciare palleggiare gli avversari anche col baricentro alto (sa che, contro difese schierate, non sono così brillanti offensivamente) e di aspettare nella propria tre quarti campo l’occasione giusta per poter colpire senza prendersi rischi. Il primo tempo della sfida è andato esattamente così, il Monza palleggiava ma non tirava in porta, la Roma invece un paio di volte ha trovato il varco giusto per passare in vantaggio, grazie proprio alle qualità tecniche dei giocatori, ma Di Gregorio si è opposto due volte alle conclusioni (non proprio ineccepibili) di Aouar e Belotti. Sia chiaro, la Roma è stata sin troppo remissiva e si è mossa poco, anche per lo standard atletico decisamente insufficiente.
Poi però il Monza ha dovuto giocare tutto il secondo tempo in inferiorità numerica per la corretta decisione dell’arbitro di mandare anzitempo negli spogliatoi D’Ambrosio, reo di due falli plateali proprio contro Belotti. Solitamente le squadre che giocano alla gasperiniana maniera vanno in difficoltà in inferiorità numerica perché perdono proprio la possibilità di annichilire l’avversario con i duelli individuali. E invece la Roma si è troppo aperta con i rischiosi cambi offensivi e ha rischiato di perdere in superiorità numerica perché negli spazi concessi alle transizioni avversarie si sono mossi con grande bravura il giovanissimo Vignato, Mota Carvalho e Birindelli. Merito di Palladino averli scelti per il finale di gara. Ma la Roma ha difeso bene con Rui Patricio, ha variato le sue forme offensive, ha tenuto il baricentro altissimo, ha palleggiato per molto tempo nella metà campo avversaria e alla fine è stata premiata con il gol di El Shaarawy nell’ennesimo mischione dentro l’area.
Logico che Mourinho abbia esultato in quella maniera teatrale, un po’ meno logico che abbia perso tempo a schernire la panchina del Monza visto che, come ormai chiaro, a lui gli arbitri non perdonano più nulla e al primo gesto poco convenzionale sono pronti a spianare l’arma del comportamento antisportivo per mandarlo negli spogliatoi. Ciò significa che con l’Inter non sarà al suo posto e a noi sembra una grave perdita, peccato.
Una vittoria meritata
Tornando alla partita i dati statistici ci riportano la realtà di un risultato giusto. Agli expected goal, ai tiri verso lo specchio, al possesso palla, alle occasioni da goal e al baricentro alto non basta opporre la sterile e indimostrabile teoria di chi ha «giocato meglio». Certo, Palladino è bravo e il suo Monza meritava di più, ma i valori in una singola partita del nostro campionato sono ormai livellati, gli unici valori che contano sono quelli che si raggiungono nella classifica finale. La Roma battendo il Monza non ha rubato niente e ha aggiunto altri tre punti a una rincorsa che sta prendendo forma poco a poco. Domenica ci sarà un vero e proprio banco di prova per capire con esattezza la dimensione della squadra di questa stagione. Peccato solo che ancora una volta Mou schiererà una formazione rimaneggiata. Contro il Monza è mancata la spina dorsale titolare (Smalling, Renato Sanches, Pellegrini e Dybala), ma questo fattore non viene quasi più considerato. E invece mai come quest’anno il successo o la delusione della stagione correranno su un confine sottilissimo che dipenderà quasi esclusivamente dal numero di partite che i talenti più fragili riusciranno a giocare.
Quale strategia adotterà la Roma in casa della capolista è difficile dirlo. Nell’unico scontro con le big quest’anno la Roma si è consegnata al Milan attendendo bassa e giocando un po’ come ha fatto la Juventus domenica sera, senza avere però la stessa forza dei contrasti e neanche la stessa fortuna di andare in superiorità numerica sullo 0-0 e nel primo tempo. Ci fossero Smalling e Dybala saremmo più sereni.
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