Un altro mouracolo. Ma ora serve di più
Il capolavoro difensivo. Straordinaria l’applicazione dei giallorossi. Ma per resistere meglio agli assalti bisogna pure saper costruire
Analizzando per questa stessa rubrica lo scorso 18 marzo la partita di San Sebastian che diede alla Roma la qualificazione ai quarti di Europa League, ci ritrovammo a riscrivere un concetto che davamo per scontato, ma che poi nella natura estetica delle discussioni sulle partite di calcio per scontato non viene mai dato: «Con le sue teorie applicate, Mourinho ha conquistato finora 26 titoli nella sua fantastica carriera, guidando le squadre più forti del pianeta e qualcuna meno titolata, come la Roma da 21 mesi a questa parte. Potrebbe (il tecnico) avere qualche titolo in più con un’altra filosofia? Potrebbe essere, ma è tutto da dimostrare. Chi vince passando attraverso la bellezza del gioco acquisisce dei meriti che restano scolpiti nella roccia. Ma per chi non è abituato a vincere, è un buon inizio magari riprendere a farlo anche attraverso sistemi di gioco meno brillanti». Contro la Real Sociedad, nello stadio dell’Anoeta, la Roma aveva difeso con le unghie e con i denti il doppio vantaggio conseguito all’andata e nonostante un paio di occasioni davvero pericolose (salvataggio miracoloso di Rui su Oyarzabal e successivo tap-in sulla traversa, e colpo di testa alto di pochissimo da ottima posizione di Zubeldia) avevamo elogiato lo spirito testaccino, o forse mourinhano, dimostrato per l’ennesima volta dalla Roma, protagonista di una partita molto difensiva, ma ordinata, composta, fiera. Sono passati due mesi esatti, la Roma ha eliminato prima il Feyenoord e poi il Bayer Leverkusen senza minimamente cambiare la sua filosofia tattica, il suo credo in un solo (tipo di) calcio, confondendo presumibilmente gli esteti, ma convogliando l’amore, la stima e il rispetto di un’intera tifoseria, e raggiungendo così per la seconda volta consecutiva una finale europea, consolidando la sua recente vocazione internazionale. È un dato di fatto che di finali europee la squadra giallorossa ne ha sommate tre in 95 anni di vita, e due nei due anni con Mou.
Quando incide Mourinho
Altri due dati richiamano però l’attenzione al termine di questo tribolatissimo doppio confronto con i tedeschi: intanto la Roma ha guadagnato la finale segnando zero gol in quattro trasferte nelle gare ad eliminazione diretta. Ma sotto il profilo difensivo, quando si è alzata la posta in palio, la squadra giallorossa ha chiuso ogni linea di passaggio verso la propria porta, raccogliendo appena tre reti in fondo al sacco nelle otto partite ad eliminazione diretta, mentre nelle sei gare della fase a gironi ne aveva subiti sette. Significa che quando il gioco si fa duro, Mourinho comincia ad incidere. E dal fischio dell’arbitro per lui sul campo conta solo un fattore: il risultato maturato in quel momento. La prova sta tutta in quella confessione in conferenza stampa: «Ho fatto scaldare a lungo Paulo, ma l’avrei messo solo se i tedeschi avessero segnato». E dunque il giocatore più importante della sua squadra, quello in grado da solo di cambiare gli equilibri di una partita, sarebbe stato chiamato in causa SOLO per ritrovare la parità, non per difenderla. Chiaro che il motivo principale sia nelle condizioni ancora precarie per la stabilità della sua caviglia mortificata dall’intervento di Palomino, ma comunque la valutazione appena riportato parla chiaro rispetto alla mentalità del tecnico.
Gli errori trascurabili
A Leverkusen serviva difendere il vantaggio e dopo un tiro scagliato da Pellegrini dopo 70 secondi di gioco (sul primo e unico lancio lungo trasformato in azione offensiva di tutta la gara), la Roma è rimasta compatta a guardia della propria porta per tutto il resto della serata, 100 minuti di enorme sofferenza per i tifosi ripagata però dalla gioia scatenata nel finale. Che cosa aveva studiato Mou in sede di preparazione? Di evitare di lasciare spazio da percorrere vuoto ai velocissimi esterni e ai due trequartisti, di evitare di lasciare facili conclusioni all’attaccante scelto (Azmoun, dopo il flop di Hlozek all’Olimpico), di evitare di farli avvicinare all’area senza un bel cordone di accoglienza in prima, seconda e persino terza battuta. Compito assolto con brillantezza dai suoi giocatori, con poche incertezze: nell’occasione della traversa di Diaby è stato lasciato spazio in contropiede per via di un errore in attacco di Abraham e di un mancato fallo rilevato su Belotti che aveva riconquistato il pallone, nell’occasione del colpo di testa di Azmoun era stato Cristante a non marcare bene l’avversario in area, nell’occasione del tap-in dello stesso iraniano erano stati Wijnaldum, Matic e Cristante a non chiudere bene i varchi fuori area sull’assist di Frimpong ad Adli dalla cui conclusione è nato il rimpallo (quasi) letale. Sbavature che con un po’ di fortuna ti lasciano la porta inviolata e con un po’ di sfortuna ti avrebbero portato ai supplementari. Ma all’interno di una partita in cui l’applicazione di tutta la squadra sull’obiettivo è stata massima. E ora la Roma è una delle squadre che difende meglio in tutta Europa.
Si può costruire meglio
Nonostante le percentuali di possesso palla lasciate agli avversari e il blocco di difesa basso, infatti, la Roma non viene “dominata” dalle squadre che l’affrontano, non è mai in loro balia, non costringe Rui Patricio a un bombardamento continuo. Alla Bayarena Rui ha fatto solo quattro parate e nessuna particolarmente complicata e il dato di xg del Bayer si è fermato a 1. Della fase di non possesso, insomma, non ci sentiamo di rimproverare nulla a questa squadra. Semmai si potrebbe obiettare che uno studio più applicato di una fase di possesso palla con costruzione dal basso (completamente azzerata in Germania: nel grafico dei passaggi nelle rotazioni di gioco, tra il portiere e i tre difensori lo spazio è vuoto, come accade a percentuali di passaggio minime) potrebbe consentire a volte alla Roma di allentare la pressione avversaria riducendo comunque al minimo i rischi (nel dubbio, spara via), ma provando a volte anche a costruire qualcosa puntando anche sulle proprie capacità offensive. Nel caotico finale della partita di giovedì, a un certo punto Alonso ha schierato la sua squadra con un 2242 che due o tre volte avrebbe consentito ai giocatori giallorossi di attaccare la profondità con un solo passaggio smarcante che però non veniva neanche ipotizzato dai giocatori stremati sul campo, abituati solo ad allontanare il pallone e a far passare il tempo. Col Siviglia invece qualche sviluppo coordinato dal basso sarà molto utile. Per attaccare, ma pure per allentare le fasi di attacco spagnole.
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