TatticaMente: Mourinho gioca ma Inzaghi vince
L’anno scorso i nerazzurri avevano dominato. Stavolta meglio la Roma, poi penalizzata dalle scelte di Spina e Ibañez
E così, proprio come ha confessato in una delle sue ultime conferenze stampa, Mourinho sta vivendo ora la frustrazione, per la prima volta nella sua carriera, di dover dar conto di risultati alterni non per via di qualche poco attenta applicazione tattica, o per qualche immancabile fatore esterno ("porqué", era solito chiedersi), ma per la qualità tecnica dei suoi giocatori. La partita con l’Inter è stata drammaticamente, almeno sotto il profilo sportivo, segnata da due errori marchiani, analizzati nel dettaglio nelle grafiche qui accanto. Cosa si può rimproverare all’allenatore nello specifico? Niente, questa è l’unica risposta possibile. Niente perché non può essere certo stato lui a far confusione nella testa di Spinazzola quando ha pensato di dover fare un passo laterale per una possibile trasmissione del pallone totalmente priva di connotati di pericolosità verso Darmian piuttosto che continuare a chiudere l’unico vero passaggio pericoloso, quello per Dumfries, che pascolava alle spalle dell’esterno romanista alla ricerca di uno spiraglio che gli si è aperto davanti all’improvviso. E come potrebbe incidere diversamente nella testa di Ibañez, un difensore che ciclicamente ha dimostrato di non saper reggere le pressioni degli incontri più stressanti? Anche in questo caso la risposta di Mourinho in conferenza stampa è stata piuttosto significativa: "C’è poco da migliorare dal punto di vista mentale: quando si commettono troppi errori individuali è un tema che riguarda la qualità tecnica". Nello specifico, peraltro, Roger avrebbe potuto serenamente aprire il gioco verso il suo compagno Cristante, ma un eccesso di autostima, che gli è derivato presumibilmente dall’anticipo appena compiuto nei confronti di Lukaku, lo ha portato ad un eccesso di disinvoltura nella rifinitura successiva che poi non è stato in grado di sostenere dal punto di vista tecnico. E la partita si è chiusa.
L’ottimo piano partita
Ma come se l’era giocata l’allenatore della Roma? Dal punto di vista della strategia di gara, si può dire senza tema di smentita che Mourinho sia stato più incisivo del suo collega più giovane Simone Inzaghi. Se il metro di paragone deve essere la gara con l’Inter all’Olimpico di un anno fa i miglioramenti della Roma sono stati evidenti. Allora la squadra giallorossa si arrese senza neanche combattere alla clamorosa superiorità tecnico tattica degli avversari, lasciando in molti tifosi un senso di impotenza tecnica deprimente. Sabato pomeriggio, invece, la partita è stata decisamente equilibrata e se ci fosse richiesto di premiare per coraggio e attitudine uno solo tra i due tecnici rivali sceglieremmo senza dubbio Mourinho. Con la sua Roma camaleonte, il portoghese aveva deciso infatti di giocarsi la sfida schierando a specchio i suoi giocatori: tre difensori centrali, due esterni, tre centrocampisti e due punte, di cui una a cucire il gioco. Sulla prima impostazione nerazzurra, Mourinho non aveva avuto alcun problema ad alzare le pressioni con la mezzala in uscita sul centrale libero dalle pressioni dei due attaccanti, con il quinto pronto a salire sul dirimpettaio e l’esterno opposto rapido ad abbassarsi in difesa sulla linea dei centrali. Questo meccanismo, opportunamente rodato, aveva consentito alla Roma di giocare con disinvoltura la prima mezz’ora, nonostante le premesse della vigilia parlassero di un impegno quasi improbo per la Roma sfilacciata e incerottata di questi giorni e opposta invece all’Inter nel suo momento di massima forza, chiamata ora a giocare una doppia semifinale di Champions contro il Milan. Ma il campo stava dicendo un’altra cosa fino al primo gol dell’Inter: la Roma copriva il campo con grande concentrazione, il giropalla dell’Inter era basso e senza sbocchi, le pressioni alte della Roma hanno portato a determinare un paio di occasioni propizie per andare in vantaggio. Poi, improvviso, il gol di Dimarco, favorito dal clamoroso errore di Spinazzola.
Il gol non ha cambiato nulla
Il merito principale della Roma è stato allora quello di non cambiare l’impostazione tattica della serata alla ricerca del pareggio che avrebbe potuto probabilmente accontentare tutti. Nella ripresa la Roma ha ulteriormente alzato il baricentro, rischiando in qualche transizione negativa, ma trasmettendo anche allo stadio l’idea di poter compiere un’impresa, magari grazie all’ingresso di Dybala, al 70’. E invece, neanche il tempo di mettersi in campo con il nuovo assetto (con Pellegrini più basso e Paulo a trequarti) che c’è stato il clamoroso errore di Ibañez a indirizzare in maniera definitiva la partita. Ma a ben guardare i numeri soprattutto del secondo tempo sono lusinghieri: la Roma ha tenuto decisamente di più il pallone (60 a 40 nella ripresa, in assoluto 53 a 47), ha avuto una maggior precisione nei passaggi, ha vinto più duelli individuali, ha condotto il doppio delle azioni offensive, ha tirato di più verso la porta (ma di meno nello specchio), ha calciato 12 angoli (a 5) e 5 punizioni (a 0).
Ora il Bayer
C’è da capire ora come Mourinho deciderà di affrontare il doppio confronto di coppa con il Bayer Leverkusen. Quella di Xabi Alonso è una squadra multiforme, tecnicamente di livello inferiore sicuramente a quello di Milan e Inter, probabilmente anche a quello della Roma, e comunque una squadra che nell’ispirazione dell’allenatore dovrebbe essere a trazione anteriore e che invece, all’atto pratico, è spesso chiamata a difendersi e a colpire magari in ripartenza. Anche per loro la Champions League passa solo attraverso un eventuale vittoria a Budapest, il Wolfsburg (che ieri ne ha presi 6 a Dortmund) contende al Bayer il sesto posto e la sfida con la Roma è l’unica occasione residua per dare un senso alla stagione. Tra le due squadre chi avrà la meglio potrà rendere la sua annata indimenticabile, chi sarà eliminata dovrà leccarsi le ferite e gli attacchi a mezzo stampa non mancheranno. La differenza stavolta potrà farla chi siede in panchina: c’è l’allievo di tante battaglie al Real Madrid (ne parla Latini a pagina 7) che vorrà farsi bello al cospetto del maestro. Da una parte la freschezza del novizio e la tranquillità chi deve ancora vivere il meglio della sua carriera da allenatore, dall’altra una concezione filosofica del calcio assai pratica e una voglia incontenibile di lasciare un altro segno indelebile in una carriera ricchissima di soddisfazioni. Budapest per Mourinho sarebbe la sesta finale, le cinque precedenti le ha vinte tutte: attenzione perché l’uomo dei record non è mai sazio.
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