L'analisi tattica di Real Sociedad-Roma: Mou sa come si fa, il resto è teoria
Nel primo tempo del doppio confronto con gli spagnoli, i giallorossi avevano dominato e segnato due volte: giusto cambiare strategia e ridurre i rischi
Sarà capitato anche a voi di avere qualche collega di fede, o magari di fede avversa, che in queste ore abbia provato a stemperare il sorrisone che ci si è dipinto sul viso al termine della sfida contro la Real Sociedad con qualche considerazione più razionale: «Però che brutta partita, però che catenaccio, però così non andremo (con la variante “andrete”) lontano». Per non dire delle stilettate della Gazzetta, lo stesso giornale che ha accompagnato le avventure della Juve di Allegri negli anni: «Mourinho dovrà riflettere sull’ingiustificata rinuncia totale a giocare». Magari no, ma dopo una stagione in cui la Roma da favorita ha vinto la sua bella coppa internazionale (pareva facile, no? E invece non a tutti riesce) mettendo in fila tutte le avversarie più o meno attrezzate che le si sono parate di fronte, è una bella sensazione arrivare ora tra le migliori otto dell’Europa League, con la prospettiva di affrontare adesso prima il Feyenoord e poi nel caso una tra Bayer Leverkusen e Union St.Gilloise per puntare dritto magari alla finale di Budapest del 31 maggio. Ma qui vogliamo discutere anche del modo attraverso il quale questo diritto è stato acquisito perché è nella natura stessa di questa rubrica.
Tutti giochisti alla Roma
Partendo però da un presupposto che ormai riteniamo acquisito: è inutile e decisamente poco interessante ripartire ogni volta dalla discussione sulla filosofia di base di José Mourinho. Con le sue teorie applicate, il portoghese ha conquistato finora 26 titoli nella sua fantastica carriera, guidando le squadre più forti del pianeta e qualcuna meno titolata, come la Roma da 21 mesi a questa parte. Potrebbe avere qualche titolo in più con un’altra filosofia? Potrebbe essere, ma è tutto da dimostrare. Diamo così almeno questo dato per acquisito, altrimenti ogni approfondimento diventa superfluo. Chi vince passando attraverso la bellezza del gioco acquisisce dei meriti che restano scolpiti nella roccia. Ma per chi non è abituato a vincere, è un buon inizio magari riprendere a farlo anche attraverso sistemi di gioco meno brillanti. Senza dimenticare che alla Roma negli ultimi anni di giochisti ne sono passati tanti, e più o meno tutti sono stati salutati dalla tifoseria senza rimpianti, dopo aver lasciato in bacheca lo stesso numero di trofei che avevano trovato.
Il dominio dell’andata
Partiamo dunque da un dato: con la pressione alta e la difesa ragionata del primo tempo e con la barricata eretta davanti alla porta del secondo Mourinho ha raggiunto il suo obiettivo, perché la porta non è stata violata e la Roma ha portato a casa la qualificazione. Che cosa sarebbe potuto accadere con un atteggiamento tattico diverso? Nessuno può avere la risposta, ma è certamente possibile ipotizzare ogni risposta, dalla più funesta (Roma eliminata già ai tempi regolamentari dopo aver lasciato troppi spazi per lo sviluppo di gioco della Real Sociedad) alla più eccitante (Roma in grado di qualificarsi dopo aver imposto il proprio gioco costringendo Alguacil a difendersi anche a casa sua). Ma è pura teoria, dunque aria fritta. Molto meglio provare a capire che cosa ha cercato di fare Mourinho, che cosa gli è riuscito e che cosa no. Il portoghese a San Sebastian ha giocato solamente il secondo tempo di una partita che nel primo lo aveva visto dominare l’avversaria, resa inoffensiva dal doppio vantaggio dell’Olimpico.
Per quanto riguarda la formazione schierata, di sicuro, se avesse avuto a disposizione Matic (messo ko proprio alla vigilia da un problema gastrointestinale), lo Special One avrebbe rinunciato a Wijnaldum (che invece a questo punto è probabile che riposerà al derby) per schierare il serbo accanto a Cristante, chiedendo uno sforzo difensivo anche migliore rispetto a quello in cui si è prodotto Pellegrini per chiudere i varchi intermedi in non possesso e garantire almeno la parità numerica in una zona assai pericolosa come quella davanti all’area di rigore romanista. Dovendo fare di necessità virtù, Mou ha chiesto invece all’olandese di dedicarsi soprattutto alla schermatura delle linee di passaggio dirette a David Silva, il più pericoloso tra gli spagnoli per le sue caratteristiche tecniche che ne fanno un po’ il Dybala basco. Gli accoppiamenti in pressione venivano poi garantiti da alcuni meccanismi che variavano in base alla posizione del pallone: quando la Real attaccava a destra, Spinazzola usciva sul terzino, Ibañez rompeva la linea per uscire sull’attaccante di zona palla che andava incontro (solitamente Sorloth), Pellegrini si abbassava su Brais Mendez, Wijnaldum prendeva in cura al solito Silva, Smalling o Mancini si dedicavano a Oyarzabal e dall’altra parte Karsdorp si stringeva al centro per rendere meno perforabile la linea difensiva da eventuali inserimenti di Zubimendi o Merino. E dall’altra parte si scalava al contrario, supportando magari le uscite in avanti di Karsdorp su Rico e di Mancini su Oyarzabal. Meccanismi affinati da ormai tanti mesi di lavoro rifinito nel dettaglio tra campo e sedute video. Poche volte la Roma difende in parità numerica e questo riduce ovviamente le possibilità di ripartire con un numero adeguato di giocatori. Ecco perché poi si lascia spesso il possesso palla agli avversari e perché ci si abbassa progressivamente sul campo quando si comincia a giocare anche con il cronometro, come accaduto nel secondo tempo.
L’analisi dei rischi
Vero, in un paio di occasioni la Roma ha rischiato di prendere il gol che avrebbe potuto cambiare le sorti della qualificazione. Ma analizziamole. A differenza di quanto accaduto in altri episodi europei con altre versioni di Roma più offensive negli anni più recenti, la squadra giallorossa all’Anoeta non è stata presa d’assalto dagli avversari proprio perché è più abituata a reggere l’impatto di certe onde. A sfiorare il gol è stata la Roma nel primo tempo con Dybala e il suo tiro deviato e poi con Smalling, che con un centimetro più di rincorsa avrebbe potuto segnare di pancia e non di gomito, nell’occasione del suo gol annullato dal Var. Per il resto ha lasciato colpire di testa Sorloth, Zubeldia (partito lungo, bravo Mancini a rendergli la conclusione più conplicata del previsto) e soprattutto Oyarzabal sfuggito su calcio d’angolo alla marcatura personalizzata di Wijnaldum. Occasioni vere, certo, ma non figlie di un assedio che in realtà è stato assai contenuto. Episodi dettati da errate interpretazioni individuali. Per battere Mourinho in Europa bisogna fare di più. Avanti un altro.
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