La rosa di Mou con più Spina: prima punge e poi ti incanta
La squadra è migliorata molto nella gestione della gara. Se ha pure quel po’ di coraggio in più diventa complicato per tutti battere la Roma dello Special One
Non è che alla Roma è difficile fare gol, alla Roma è proprio difficile tirare in porta. Sono due concetti differenti. Ci sono squadre che subiscono, magari esaltano il proprio portiere, ma comunque lasciano spazi alle difese avversarie. La Roma no, ti incanta con il suo flauto magico che sembra quasi accompagnare dolcemente gli avversari verso l’eutanasia. È una sorta di suicidio assistito delle occasioni da gol. Muoiono prima di nascere e ogni volta ricominci sperando di trovare il varco giusto, ma poi il varco non c’è, sbatti contro muri trasparenti, ora vedi lo spazio, ora non c’è più.
Riecco la Roma “camaleonte”
Una Roma “camaleonte” l’avevamo definita dopo la sfida col Verona, perché cambia pelle in base all’avversario, ma alla fine ti costringe a fare sempre la stessa partita, e appena può ti mangia. Neanche a farlo apposta, quattro giorni dopo ecco una squadra con un assetto totalmente diverso rispetto a quello degli scaligeri: 4312 molto propositivo contro 3421 piuttosto chiuso, tutto a zona gli austriaci, tutto a uomo i veneti, e la Roma che si adatta, stavolta difesa in linea e meccanismi perfetti, in campionato uomo contro uomo e soluzioni tatticamente individuali. Eppure vai a guardare i tabellini e ti rendi conto che il Salisburgo ha costruito molto poco, proprio come il Verona. Zero conclusioni pericolose, zero gol, massimo risultato con il minimo sforzo: serviva l’uno a zero in campionato, e il due a zero in Europa. Risultati serviti, avversari salutati, cammino sempre più spedito.
L’Olimpico è stato il fattore comune e chissà se anche quello incide in quella melassa che all’improvviso dilaga tra gli avversari e impedisce loro i più elementari movimenti offensivi. Poi spunta dalla panchina la testa bianca di Mourinho e ti rendi conto che alla fine a muovere i fili è sempre lui, immarcescibile genio delle strategie, numero uno staccato tra tutti i maestri risultatisti, ma non chiuso come gli altri dentro il suo universo mondo, anzi è sempre pronto a convincere tutti che la strada per la gloria si può raggiungere in tanti modi diversi, ma il più semplice è sempre il suo. Dopo la partita con il Salisburgo ha avuto l’accortezza (e l’eleganza) di ringraziare i membri del suo staff, sia quelli della parte atletica, sia quelli della parte medica, sia gli analisti del reparto scouting che gli hanno reso più facile la lettura dell’avversario.
Delusione Salisburgo
Non ci voleva molto, per la verità. A furia di vantarsi per i frutti del loro laboratorio, gli uomini della Red Bull si sono dimenticati che la sostanza nel calcio la danno soprattutto i giocatori di qualità. Puntare tutte le ambizioni su un regista incerto come Gourna-Douath, un trequartista poco brillante come Sucic (entrato nel secondo tempo per dare più sostanza a un gioco che non fluiva), e attaccanti evanescenti come Okafor e Adamu difficilmente può portare risultati nel lungo periodo, almeno non a livello internazionale.
E anche Jaissle dovrebbe provare a valutare un pizzico di mediterranea follia se vuole impensierire colleghi un po’ più navigati di lui. Invece il Salisburgo anche l’altra sera si è limitato a sbrigare il suo compitino, la manovretta con la costruzione dal basso, qualche inserimento dei centrocampisti, qualche rotazione in fase di possesso, qualche contrasto più ruvido del solito… roba insufficiente ad impensierire una Roma mai così matura.
Una rosa con più Spina
Questa consapevolezza ha consentito fino a oggi a Mourinho di portare la Roma là dove meritava di essere. Per ottenere qualcosa in più, però, adesso serve altro. Ad esempio bisognerà cercare di tenere sgombra l’infermeria visto che il ritorno di Spinazzola a questi livelli, l’ambientamento ormai completato da Wijnaldum, l’affermazione di Belotti e il contributo garantito da El Shaarawy (e magari dentro ci mettiamo pure il ritorno del figliol prodigo Karsdorp e la conferma dell’affidabilità all’occorrenza di Zalewski e Bove) conferiscono adesso alla squadra uno spessore che non aveva mai raggiunto in questi 18 mesi di gestione di Mourinho, neanche quando ha vinto la Conference League. In campionato e nel cammino internazionale finora Mou ha raggiunto il massimo. Chissà che cosa accadrà adesso nel prosieguo dell’Europa League dopo l’accostamento con la Real Sociead e in campionato ora che il gioco si sta facendo duro e i duri sono scesi tutti in campo. Anche alla Roma, tutti in fila dietro Mourinho. E la senzasione è addirittura che il bello debba ancora arrivare.
La gestione della partita
Bisognerà ora capire quali forze potrà schierare Mourinho nei prossimi impegni considerando che uno degli attaccanti a sua disposizione può essere impiegato solo in campionato, Solbakken, e che la rinuncia forzata col Salisburgo schiuderà ad El Shaarawy le porte della squadra titolare a Cremona: e magari con il ritorno di Abraham e l’inserimento di Wijnaldum o di Bove a centrocampo il tecnico potrebbe variare addirittura cinque uomini tra centrocampo e attacco, e un sesto cambio sarà obbligatorio in difesa vista la squalifica di Smalling. Comincia insomma a prendere forma una Roma non più dipendente solo dall’estro di Dybala ma in grado di dispiegare le sue armi su più fronti. Dal punto di vista tattico, invece, siamo sicuri che cambierà poco nelle sfide di campionato che vedranno impegnati i giallorossi dopo Cremona con Juventus, Sassuolo e Lazio, con i mezzo la doppia sfida con la Real Sociedad.
Con la sola eccezione della Cremonese, le altre sono tutte squadre che provano a comandare il gioco e a tenere il possesso della palla, compresa la nuova Juventus a trazione anteriore targata di Maria (peraltro grande amico personale di Dybala). Non dovrà cambiare molto, dunque, Mourinho della mentalità che ha impresso ai suoi giocatori. La maturazione che hanno raggiunto ad esempio nella gestione della partita è davvero impressionante. Contro il Salisburgo ad un certo punto è sembrato davvero che si fosse sgonfiato il pallone. E visto che gli austriaci avevano cominciato a perdere tempo già nel primo tempo sullo 0-0, i romanisti non hanno fatto nulla per accelerare le operazioni di recupero del pallone, col risultato che alla fine si è giocato davvero poco, poco più di 45 minuti di tempo effettivo, una decina in meno rispetto alle medie internazionali.
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