L'analisi di Roma-Napoli: Mourinho va al massimo ma manca l'attacco
La differenza in un’azione: Zaniolo liberato da Karsdorp non tira in porta. Osimhen liberato da Politano nella stessa zona decide partita e primato
Avrebbe voluto giocarsela con Zalewski esterno a destra, Wijnaldum in mezzo al campo e Dybala davanti, non importa con quale modulo, del resto ha sempre dato più importanza ai calciatori che non ai sistemi di gioco. L’occasione che invece il campionato ha fornito a Mourinho di attaccare la capolista del campionato per proporsi quale credibile alternativa al successo finale è capitata invece nel giorno in cui non solo non ha avuto a disposizione i due più importanti acquisti del mercato (tre con il terzino che sarebbe stato titolare, Celik), ma anche il ragazzino che avrebbe potuto tenere più lontani dalla porta i palleggiatori del Napoli magari concedendo qualcosa in più in non possesso di quanto non abbia fatto Karsdorp con Kvaratskhelia. Così la Roma ha retto solo un tempo, nel corso del quale Mourinho provato a costruire il suo capolavoro, con una squadra mai arrendevole, molto aggressiva, fantasiosa nelle soluzioni in possesso e in non possesso (con Pellegrini a schermare la prima impostazione di Lobotka e poi rapido a scalare da intermedio sullo sviluppo avversario), solidissima nella propria trequarti fino al punto di schermare ogni tipo di conclusione avversaria, costruendo anche qualcosa di potenzialmente interessante senza però mai trovare la porta.
Il calo della ripresa
L’intervallo della sfida di domenica sera dell’Olimpico si è consumato dunque nello stupore di chi non immaginava che la Roma potesse reggere così dignitosamente l’impatto con la squadra più forte del campionato, la meravigliosa creatura plasmata da Spalletti in tante settimane di lavoro, mai banale sul campo e sempre più moderna nell’applicazione dei principi tattici. Eppure in quei primi 45 minuti la Roma ha normalizzato la capolista, ha reso meno marziani Lozano, Lobotka, Kvaratskhelia, ha tenuto Osimhen lontano dalla porta, ha impedito ai terzini di rendersi pericolosi. Ci sono state poche conclusioni, nella prima frazione, è vero, ma non si è mai percepita l’effettiva differenza di classe tra le due squadre. Poi però c’è stato il secondo tempo e piano piano quelle differenze sono emerse, sia nella profondità della rosa (basti pensare che Spalletti non ho avuto neanche bisogno di inserire Raspadori e Simeone, ad oggi semplici alternative al titolare Osimhen), sia nella qualità degli interpreti. Semmai la bravura di Spalletti va misurata sui progressi mostrati da un giocatore che a Roma tre anni fa era bollato come finito e che a Napoli sta vivendo invece una seconda giovinezza: Juan Jesus. Quel che è accaduto nella ripresa domenica sera l’ho spiegato con dovizia di particolari Mourinho a fine partita, rivelando, peraltro, come non sia stata una sua scelta quella di abbassare il baricentro della squadra, ma solo una conseguenza della stanchezza che ha cominciato a farsi sentire una volta che si è esaurita la spinta propulsiva iniziale dell’entusiasmo e dei buoni propositi tattici. Quando con i cosiddetti quinti di centrocampo non riesci ad arrivare con i tempi giusti sull’impostazione dei terzini avversari è fatale che la tua squadra perda metri rispetto agli avversari. La stanchezza accusata da Karsdorp e Spinazzola, più le ammonizioni che hanno seccato i propositi più bellicosi dei centrocampisti romanisti hanno determinato quell’eccessiva concessione di spazi al Napoli e si è manifestata nella parte centrale del secondo tempo, fino al goal decisivo di Osimhen.
Due azioni, due misure
La lettura dell’azione merita una particolare sottolineatura: l’errore di valutazione di Smalling ha cambiato il risultato della partita, ha indirizzato il campionato in questa fase e chiaramente complicato il cammino della Roma verso la Champions League, anche se c’è ancora tutto il tempo per recuperare. Eppure l’inglese anche stavolta aveva scelto coraggiosamente la strada più efficace per fermare l’avversario, fino a quel momento annichilito. Stavolta però Chris ha evidentemente sottovalutato le potenzialità del nigeriano, gli ha consentito di prendere tempo e spazio utili a guadagnare la posizione ideale per battere a rete e non ha neanche percepito l’imminenza del pericolo esattamente come il suo collega tra i pali Rui Patricio: entrambi, allo scoccare del tiro di Osimhen, sono sembrati sorpresi e, a quel punto, spettatori come tutti gli altri. Naturale mettere a fuoco due particolari che possono aver deciso la partita e comunque inciso parecchio sul giudizio finale degli addetti ai lavori: nel primo tempo, una bella palla aggirante di Karsdorp ha mandato Zaniolo in corsa contro Olivera e Juan Jesus, con Nicolò che è rimasto davanti ai suoi avversari, ma poi al momento di concludere si è perso il pallone tra i piedi, condizionato anche dalla possibile battuta col destro, non il suo piede preferito, e alla fine non è arrivato neanche un tiro in porta. A dieci minuti dalla fine, invece, una bella palla aggirante calciata da Politano, più o meno dalla stessa mattonella di quella calciata nel primo tempo da Karsdorp, ha mandato in porta Osimhen con Smalling che pareva in netto anticipo: ma il nigeriano è stato furbo a sbilanciare con il corpo l’avversario, e concreto al momento della terrificante conclusione. Da una parte nulla di significativo per le statistiche, dall’altro gol e primato di campionato: ma l’azione è stata identica.
Lo squinternato finale
Meriterebbe poi un approfondimento a parte la scelta di José di affrontare i restanti minuti di partita più recupero con una squadra irrazionalmente sbilanciata in avanti, con Viña terzino destro, El Shaarawy terzino sinistro, Cristante e Matic mediani di un centrocampo totalmente consegnato agli avversari per via del mancato filtro dei quattro giocatori offensivi schierati tutti insieme, da destra sinistra Zaniolo, Pellegrini, Belotti e Shomurodov. Onore poi al merito di Spalletti. Nella sua analisi post partita ha fatto capire quanto nello studio settimanale dedicato alla Roma sia stata prodotta particolare attenzione sulle qualità migliori degli attaccanti giallorossi, quelle che fanno riferimento alle velocissime transizioni nelle quali Pellegrini, Abraham e soprattutto Zaniolo sono degnissimi interpreti: missione perfettamente compiuta. Resta il rammarico di non aver potuto vedere all’opera contro un avversario così forte Dybala e Wijnaldum, i due giocatori che Mourinho aveva individuato quest’estate come in grado di imprimere l’attesa svolta per i destini sportivi della Roma. Se ne riparla al ritorno.
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