L'analisi tattica di Inter-Roma: e qui, bene o male, si sta crescendo
Giusto pretendere qualcosa in più, ma quello dei giallorossi è un progetto in evidente evoluzione. E passa anche attraverso la vittoria di San Siro
Rischia di essere la discussione insieme più appassionante e più inutile della storia della Roma di Mourinho: quanto è giusto chiedere alla Roma di giocare meglio di quanto non stia facendo e che significa, nel calcio moderno, giocare bene (ovviamente in rapporto alle potenzialità della squadra)? La materia appassiona e annoia al tempo stesso: perché se da un lato è giusto sollecitare ogni allenatore a far sempre meglio, dall’altro finché la squadra vince come ha fatto a Milano e comunque continua a crescere diventa inutile chiedersi se venga e quanto appagato il (preteso) senso estetico di chi la segue.
Non è una Roma difensiva
Per entrare nella sfera tattica, se fino a qualche anno era naturale stimolare discussioni o dibattiti sui vizi e le virtù tra giochisti e risultatisti, inquandrando il tema nel più largo contesto della crescita generale del nostro movimento calcistico, adesso il dibattito deve necessariamente trasferirsi su altri livelli. Non esistono più, infatti, squadre che giocano male almeno per come il termine veniva inteso 10 anni fa. In pratica, non esistono più quelle squadre di vertice che si affidavano solo al talento dei propri giocatori (neanche la criticatissima Juventus di Allegri lo fa) o squadre di secondo piano che sperano solo di strappare un risultato positivo attraverso una strenua difesa e qualche fortunata ripartenza in contropiede. Oggi anche i risultatisti più accaniti si sono convertiti alla costruzione dal basso, all’aggressività nelle pressioni, all’innalzamento di una linea difensiva almeno oltre il minimo dignitoso riconoscibile, alla ricerca del palleggio. Oggi anche una strategia di baricentro basso o di concessione del possesso palla nasconde comunque un fine offensivo. Anche squadre rigidamente impostate a uomo, sull’onda gasperiniana delle esaltanti affermazioni dell’Atalanta, pensano offensivo e per questo magari rischiano di prendere imbarcate, come accaduto sabato dal Torino a Napoli, perché vanno in pressione alta con i propri difensori centrali sugli attaccanti o sui centrocampisti avversari fin quasi nell’area avversaria, cosa che nella vecchia concezione del calcio all’italiana era scientificamente bandita. Così, allo stesso modo, non esistono più squadre di concezione puramente difensiva. E al di là dei deliri di qualche commentatore sconnesso con la realtà dei fatti, non lo è certamente la Roma di Mourinho: contro l’Atalanta, ad esempio, la squadra giallorossa ha messo le tende nella metà campo avversaria senza alcun timore, ha alzato le pressioni e la linea di difesa e ha messo alle corde un avversario che ci aveva abituati in queste stagioni ad affrontare ogni partita all’arma bianca, senza mai farsi schiacciare da nessuno. La stessa Roma, nella lunga cavalcata europea della scorsa stagione, era solita attaccare con convinzione fino a raggiungere il risultato positivo, per poi inevitabilmente abbassare il baricentro e concedere qualcosa agli avversari, ma con attenzione e cattiveria di reparto e individuali tali da esaltare l’autostima e non intaccare lo spirito aggressivo che poi ha portato fino alla vittoria di Tirana. Mourinho, insomma, è un camaleonte che si sente stretto dentro ogni tipo di etichetta, anche se probabilmente non ne disdegna una: quella di chi sa trasformare anche un gruppo di imberbi pischelli in una masnada di bucanieri pronti a sacrificare anche la propria vita pur di compiacere il comandante.
Ed è una Roma in crescita
E qui torniamo alla domanda di partenza: come ha giocato a Milano la Roma di Mourinho? E ancora, ripetendo queste stesse prestazioni, è possibile immaginare che la squadra possa raggiungere nuovi esaltanti obiettivi? La risposta ce l’ha chi riesce a valutare esattamente il punto in cui si è arrivati nell’innegabile processo di crescita della squadra. La sintesi è mirabilmente rappresentata dall’espressione un po’ torva di Mancini quando, dopo il gol del vantaggio segnato da Smalling in un momento della partita in cui regnava grande equilibrio, urla ai suoi compagni che si uniscono all’abbraccio "Siamo più forti, siamo più forti". Forse non è così, forse non è del tutto vero che la Roma sia più forte dell’Inter, ma qualcosa sta germogliando nelle teste di un gruppo di giocatori che nelle ultime stagioni si erano quasi rassegnati all’inevitabile mediocrità e oggi invece alzano la testa per guardare la distanza che li separa dalla vetta.
I punti di forza
Quali sono, dunque, i fattori che proiettano la Roma verso il vertice del calcio italiano e quali invece quelli che ancora potrebbero frenarne le ambizioni? Cominciamo dai primi. Indubbiamente il tasso tecnico con l’arrivo di Dybala, la maturazione di Pellegrini e il nuovo corso di Zaniolo, è cresciuto. Le potenzialità offensive della squadra si sono moltiplicate tanto che nessuno ha trovato assurdo che nella partita più importante di questo scorso di stagione Mourinho decidesse di privarsi del centravanti che mai era stato tecnicamente discusso nei precedenti tredici mesi di gestione. Non sono molte le squadre della Serie A che possono permettersi scelte così numerose e di tale qualità. Meno profondità di rosa, ma grandi interpretazioni del ruolo riguardano invece gli altri due reparti. Il centrocampo ha indubbiamente risentito dell’infortunio di Wijnaldum, l’elemento individuato per dare un passo diverso al settore e invece subito perduto. Ma Cristante e Matic sono due elementi di grande affidabilità e l’apporto che potrà dare Pellegrini abbassando un po’ il suo raggio d’azione sarà un altro punto di forza per Mourinho. Dietro crescono Camara (entrato con un bel piglio nel complicato finale di San Siro) e Bove. Stessa cosa per la difesa: Smalling è il leader assoluto di un reparto che ha trovato in Ibañez un altro punto di riferimento mentre Mancini è un modello per interpretazione e carica agonistica.
I margini di miglioramento
Indubbiamente però la Roma può e deve fare di più per essere protagonista attiva delle partite. Lo ha detto anche Mancini a fine partita: "Con il mister avevamo preparato pressioni più aggressive, ma non siamo riusciti a farle nella prima mezz’ora". E in effetti il dato dei passaggi concessi per azione difensiva nel primo tempo è stato mediamente troppo alto. Su questo Mourinho può fare di più. Per fare il passaggio definitivo verso il gruppo dei migliori team italiani e poi europei è necessario salire un ulteriore gradino.
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