TatticaMente: Ludogorets-Roma. Se la coperta è corta va tirata in avanti
È difficile pensare che Mourinho rinunci ai tre difensori. È necessario il cambio di marcia tattico: non paga lasciare l’iniziativa agli avversari
Si definiscono paradossi, ma poi realmente nel calcio non lo sono. È la seconda volta consecutiva, infatti, che la Roma termina la partita lasciando l’amara sensazione ai suoi tifosi di averla combinata davvero grossa. Ma per la seconda volta consecutiva i numeri poi autorizzano anche interpretazioni diverse, magari in linea con le giustificazioni trovate a fine partita dall’allenatore che ha sottolineato come questo sia un periodo in cui alla Roma "sta andando tutto storto". Di Udine abbiamo detto: brutta partita ma influenzata in maniera decisiva da due regali che hanno portato l’Udinese sul doppio vantaggio. Quella di giovedì e invece è un’altra storia, ma è innegabile che sotto il profilo delle occasioni da rete la Roma avesse meritato molto più di quello che ha poi raccolto. Lo testimonia anche il dato degli expected goal: 0,61 a 2,40 per la Roma, praticamente due gol di scarto a vantaggio dei giallorossi. Numeri migliori sono stati registrati anche per quanto riguarda il possesso palla, soprattutto nel secondo tempo, e poi la precisione dei passaggi, la distribuzione dei lanci lunghi (la Roma ne ha fatti di meno), la percentuale dei duelli vinti, decisamente superiore, e le azioni offensive per minuto.
Lunga e senza pressioni
Dove la Roma è mancata in maniera piuttosto evidente è soprattutto nello scollamento che si è notato tra i reparti (picchi di lunghezza di 61 metri nel primo tempo e di 54 nel secondo) e soprattutto, vecchia nota dolente, nell’intensità del pressing. Quando è cominciata la partita la Roma ha concesso fino a 32 passaggi per azione difensiva all’impostazione avversaria per poi risalire gradualmente nella seconda parte della gara fino all’assalto finale dove, non a caso, la Roma ha costruito le sue migliori occasioni.
Dicevamo che è un dato ricorrente perché spesso quando la Roma alza il ritmo e alza anche il suo baricentro riesce ad ottenere quello che cerca. E appare chiaro, infatti, come la struttura di questa squadra sia naturalmente portata ad attaccare, con giocatori abili nelle geometrie in possesso, negli inserimenti, nelle verticalizzazioni e nei tagli offensivi, e meno abili nei disimpegni difensivi. Per ridurre al minimo le possibilità di subire le iniziative dell’avversario, dunque, questa squadra dovrebbe trovare in modo di avere il pallone tra i piedi per il maggior tempo possibile e questo si ottiene attraverso l’affinamento di due diverse capacità: quella di pressare alto alla ricerca di una riconquista immediata e quella di ruotare i giocatori in mezzo al campo in maniera tale di poter garantire un numero di linee di passaggio sempre crescente.
Mourinho ha lavorato sin qui invece soprattutto su un aspetto: conferire maggior solidità generale alla squadra (da cui l’adozione sistematica della difesa a tre) affidando alle ripartenze in spazi larghi le principali possibilità offensive della Roma. Indubbiamente questo atteggiamento ha pagato, soprattutto nelle coppe, mentre non ha dato grandi riscontri in campionato anche per la qualità probabilmente maggiore rispetto agli avversari di coppa delle squadre che hanno preceduto la Roma al traguardo dell’ultima giornata della serie A. Poi si può discutere se sia meglio difendere a tre o a quattro (tanto è un dibattito che si sviluppa sempre solo sull’onda del risultato, mai sulle effettive necessità della squadra), sulla posizione più o meno alta di un giocatore, sulla presenza di un titolare piuttosto che di un altro. Ma il pallino del gioco contro squadre tecnicamente inferiori andrebbe sempre tenuto.
Che guaio se prendi gol
Lasciare l’iniziativa ad avversari più scarsi diventa un boomerang quando poi si ritrovano in vantaggio magari per aver sfruttato l’episodio favorevole. È successo a Udine, si è ripetuto a Razgrad. E forse non è un caso che entrambe le partite siano terminate con una sconfitta. Quando non sei abituato a dominare il gioco, se poi sei costretto a doverlo fare all’improvviso non sempre riesci a gestire la situazione con la necessaria lucidità. Tanto per fare uno degli esempi più alti possibili, il Manchester City non ha nessuna difficoltà ad attaccare se va in svantaggio di uno o due gol, (ne ha vinte già due su quattro di partite in rimonta) perché il suo atteggiamento è lo stesso sia quando la squadra si ritrova in vantaggio sia, appunto, quando un episodio gira contro. Si parla di diverse concezioni di calcio, chiaro.
E sarebbe ingeneroso criticare quella di Mourinho prendendosi i vantaggi quando arrivano i trofei come la Conference League dello scorso 25 maggio e rifiutandone le controindicazioni quando si perde qualche partita. Non è però necessario che Mourinho diventi Guardiola per richiedere magari un’attitudine più offensiva. Se la coperta della squadra è corta, forse è il momento di tirarla un po’ più sul davanti piuttosto che abbassarla ulteriormente davanti alla porta. Se è difficile pensare che oggi Mourinho sia pronto a rinunciare ai tre difensori, con lo squilibrio tattico che ne potrebbe derivare, riesce più facile immaginare di poter cambiare un’impostazione tattica anche all’interno dello stesso sistema di gioco.
Pellegrini è l’anima
Un capitoletto a parte merita infine la prestazione di Pellegrini. È indubbio che abbia perso tanti palloni l’altra sera e lo testimonia l’insoddisfacente percentuale di riuscita delle sue azioni (44%). Ma non si può pretendere che sia lui a far vincere la Roma da solo. Altrimenti si commette lo stesso errore che si faceva con De Rossi: quando le cose andavano male era il primo a finire sulla lista degli imputati. Se ci si fissa sul gol sbagliato a pallonetto, ad esempio, si dimentica che in quell’azione era partito da centrocampo, aveva attaccato da seconda punta, aveva provato a servire (male) Belotti e sulla riconquista del pallone avversario era andato in pressione da solo, poi quando la Roma ha recuperato il pallone ha atteso il servizio per Dybala per andare ad attaccare due centrali con tempismo perfetto, sull’assist dell’argentino ha stoppato perfettamente il pallone e, sul rimbalzo, ha tentato in quel momento la strada che gli sembrava tecnicamente più sicura, quella del pallonetto, mancando il bersaglio di pochi centimetri.
E anche nell’azione del gol è partito trequartista, si è andato a prendere la palla come una mezz’ala, l’ha scaricata per riattaccare il fondo come un’ala, ha rincorso l’assist di Bove fino all’ultimo centimetro possibile e ha scucchiaiato dolcemente il pallone depositandolo sulla testa di Shomurodov. Anima tifosa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA