E se osi e non vinci c'è crisi di identità
La Roma appare ancora alla ricerca di se stessa. E ora in emergenza contro l’Inter servirebbe un coniglio dal cilindro: Mourinho sotto pressione sa fare la differenza
Il problema di certe dichiarazioni avventate è che se le fai da allenatore della Roma ti ricascano sempre addosso. Sembra lontano il tempo delle fantastiche intuizioni che spinsero una celebre azienda di carte di credito a promuovere il suo brand proprio con Mourinho come testimonial, in una scena ormai famosa in cui il portoghese prima apriva l'ombrello e poi cominciava a piovere. Con un po' di fluido positivo ancora addosso, negli spogliatoi dell'Olimpico al termine della sfida col Torino José aveva solleticato lo spirito testaccino dei tifosi della Roma con una frase che era piaciuta quasi a tutti: «Preferisco di gran lunga vincere 1-0 come oggi che 5-0». Detto, fatto. Anzi: fatto, subìto. Come la Roma aveva battuto i granata di misura prima sfruttando una disattenzione e poi resistendo bene in difesa, ma delegando agli avversari il controllo del gioco per gran parte della partita, così tre giorni dopo la squadra giallorossa ha lasciato la vittoria al Bologna, con mille rimpianti per le occasioni sprecate e l'assoluto dominio della manovra. In questo caso, il dato degli expected goal, rovesciato rispetto alla sfida col Toro, risuona beffardo: la Roma avrebbe dovuto segnare 1,24 gol in base alle conclusioni effettuate, il Bologna 0,31. Insomma c'era tutto un gol di scarto, ma a favore della Roma, non certo del Bologna. Basti pensare che solo in questa stagione la squadra giallorossa ha vinto otto partite tirando in porta meno volte di quanto non sia accaduto mercoledì al Dall'Ara. Dunque, andando alle cose certe: la sconfitta è stata sicuramente immeritata, con un pizzico di fortuna (ma si può chiamare anche precisione nel tiro, concentrazione, decisione, bravura, spirito di sacrificio ecc. ecc.) sarebbero arrivati i tre punti, ancora una volta l'arbitro non ha svolto bene il suo compito e ancora una volta sbagliando qualcosa non l'ha fatto certo a vantaggio della Roma. Questi sono dati di fatti, non opinioni di chi scrive. Ma è altrettanto certo che la sconfitta di Bologna è stata la settima sconfitta in 22 partite stagionali e la sesta su 15 gare di campionato. E dopo comunque 100 giorni di partite c'è la sensazione che non sia ancora chiara l'identità di questa squadra.
L'equilibrio in avanti
La morale che in questa rubrica avevamo tratto dalla partita vinta con il Torino domenica era che, apprezzato lo spirito testaccino con cui si erano portati a casa i tre punti, si sarebbe dovuto comunque per il futuro prendere in considerazione l'ipotesi di osare di più per vincere le partite anche con lo schieramento (più difensivo) del 352. Filosoficamente chi si schiera con la difesa a tre, o a cinque come ama definirla Mou, lo fa, con rarissime eccezioni, per difendere con più uomini. Sul possesso alto avversario, infatti, ogni squadra schierata a tre in realtà difende a cinque con due esterni, dalle caratteristiche più o meno difensive, che comunque si prestano a chiudere gli spazi come dei terzini. A questa conclusione era giunto Fonseca quando, dopo il lockdown dello scorso anno, si era reso conto che la squadra era troppo esposta alle ripartenze avversarie, e per un po' ne ha tratto evidente beneficio. A questa considerazione è giunto Mourinho quando si è reso conto che l'innesto di un centrale difensivo in più non solo gli aveva risolto l'emergenza terzino sinistro (con la brillante intuizione di schierare nel ruolo un attaccante esterno come El Shaarawy) ma gli aveva fatto quadrare meglio i conti anche a centrocampo e in attacco. In sostanza la Roma ha acquisito all'improvviso quella solidità che da ottobre in poi le era mancata. Bisognava dunque solo trovare il modo di mantenere un assetto equilibrato spostando però di qualche metro in avanti quel baricentro che ad esempio contro il Torino era stato così radicalmente abbassato. Per scelta strategica, stando almeno alla versione di Mourinho. E infatti a Bologna contro una squadra sulla carta più forte di quella granata l'atteggiamento tattico della Roma è stato decisamente differente: i giallorossi hanno fatto la partita, hanno alzato le pressioni, hanno tenuto il baricentro più alto e però, piccolo particolare, poi la partita l'hanno persa. Lasciamo ai meno competenti la facile conclusione di pensare che allora è più conveniente difendere e colpire di rimessa. Con questa falsa verità e qualche brillante vittoria conquistata qui e lì il movimento calcistico italiano per anni ha pensato di imporre una propria scuola puntando esclusivamente su catenaccio e contropiede. Ma il calcio è andato avanti e questa evoluzione non lascia più spazio ai pensieri mediocri. La storia dice ormai, e da diversi anni, che per vincere le partite bisogna attaccare meglio degli altri.
La ricerca dell'identità
E qui torniamo al discorso iniziale: qual è l'identità della Roma di oggi? La storia recente di José Mourinho ha evidenziato un'evoluzione tattica dell'allenatore che solo chi è capace di mettere etichette non ha colto. Il Manchester United e il Tottenham allenati dal portoghese erano squadre decisamente offensive. La caratteristica che invece non ha mai perso nel corso della sua carriera è quella di spingere i suoi giocatori a dare il massimo sotto il profilo agonistico, a considerare gli avversari dei nemici più sleali di quello che sono, arbitri compresi, a trovare spesso facili pretesti per giustificare altre mancanze. È questo il pianeta Mourinho che, piaccia o no, porta chi gli sta vicino a vivere in una dimensione diversa. E le polemiche su cui la Roma si sta avvitando con il mondo arbitrale ne sono solo l'ultima testimonianza.
Manca un salto
Restiamo però convinti che la squadra giallorossa debba fare ancora un salto in avanti per definire meglio la propria identità tattica. Certo è che adesso, con l'Inter alle porte e l'emergenza conclamata dalle ulteriori assenze con cui bisognerà fare i conti, gettano una luce sinistra sulle prospettive a breve termine, considerando anche che dopo la trasferta peraltro decisiva di Sofia in Conference League la Roma è attesa prima dallo Spezia e poi avrà anche l'esame Atalanta. Servirà un coniglio dal cilindro: e di solito sotto pressione Mourinho è in grado di fare la differenza. Troppe volte, finora, il risultato della partita della Roma è sembrato più figlio di una casualità che realmente rispondente a ciò che il campo poteva aver mostrato, nel bene e nel male. Mourinho dovrà insomma sforzarsi per dare un'impronta più sua anche sul campo dopo aver decisamente innalzato il tasso agonistico di un gruppo di giocatori che ha anche aumentato il numero delle sanzioni sofferte.
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