L'analisi di Venezia-Roma: a quattro o a tre, ma serve equilibrio
Mourinho sperimenta, ma la squadra non è solida. E troppi cambi offensivi non fanno recuperare e tolgono certezze
Se per l'ennesima volta siamo costretti a cominciare questo articolo avvisando che trattiamo a parte la questione arbitraggio perché la riteniamo decisiva nell'economia della partita, ma al di fuori della portata d'intervento di questa rubrica, significa anzitutto che anche affrontando questi temi abbiamo coscienza che ciò che sta accadendo alla Roma non è normale, da qualsiasi punto di vista si guardi la vicenda. Detto quindi che del killeraggio di Aureliano scriviamo altrove, proviamo a concentrarci per un po' solo sulle questioni prettamente calcistiche. Anzi no, perché diventa determinante anteporre ad ogni altra considerazione un dato che come gli altri ha a che fare con la pessima direzione arbitrale, ma che non è emerso a caldo nei vari commenti sulla partita perché non evidente come le scempiaggini commesse in campo dalla squadra arbitrale. Venezia-Roma è stata infatti una delle partite di calcio temporalmente più corte che si siano mai giocate in Italia, e dunque nel mondo. Senza dover andare a scomodare le classifiche di ogni campionato, basti pensare che l'Uefa ha registrato tempo fa una durata effettiva della sfida tra Chelsea e Zenit di oltre 69 minuti di gioco, addirittura 23 in più che domenica. Di media però ci si attesta intorno ai 52 minuti in Italia, ai 55-56 all'estero o nelle competizioni internazionali. Limitare a 46 minuti una partita significa che chi doveva assicurarne il regolare svolgimento non ha avuto la capacità di farlo. Giocare 46 minuti significa giocare un tempo solo di una partita senza interruzioni. Giocare 46 minuti significa privare la squadra che cerca il pareggio, guarda caso la Roma, del suo più elementare diritto di provare a rimontare. Significa fare un processo senza ascoltare la difesa. Significa vendere un giallo strappando le ultime pagine. Significa invitare a pranzo una persona e poi apparecchiare la tavola solo con un bicchiere d'acqua. Significa, in una parola, che all'arbitro è sfuggito di mano anche questo aspetto. Ma, come ha detto Mourinho, queste sono cose che si capiranno forse solo tra qualche anno.
Le due partite: la prima
Se andiamo invece ad analizzare semplicemente la partita per come si è sviluppata dobbiamo distinguere due fasi: la prima gara, terminata nel momento dell'assegnazione del rigore di Aureliano e la seconda che è cominciata subito dopo. Nell'analisi della prima parte dobbiamo considerare tra le premesse il diverso valore tecnico delle squadre in campo (la rosa del Venezia vale un quarto di quella della Roma secondo transfermarkt), le difficoltà della squadra di casa reduce da due sconfitte consecutive, e quelle della Roma per il momento psicologico decisamente negativo, rappresentato in maniera quasi plastica dall'allenatore con l'obbligatorio cambio di sistema di gioco con due sacrificati eccellenti come Zaniolo e Mkhitaryan. A complicare ulteriormente le cose è arrivato il gol dopo neanche tre minuti di Caldara su palla inattiva (le avevano studiate, ha detto con rammarico Mourinho a fine gara, ma un piede spuntato più avanti di un altro può fare la differenza a prescindere dagli antidoti studiati in allenamento). La Roma però non si è scomposta e dopo una prima fase per così dire di studio, nella seconda parte del primo tempo ha preso decisamente in mano il timone della partita e rischiando giusto su un paio di contropiedi (in cui però sono stati decisivi due interventi al limite del regolamento su Kumbulla e Ibañez ovviamente considerati regolari da Aureliano), la Roma ha raggiunto meritatamente prima il pareggio e poi il vantaggio. 1-2 il risultato all'intervallo, ma secondo il dato degli xG le due squadra avrebbero "meritato" di trovarsi 0,83 a 2,73. In pratica, due gol di scarto. Ad inizio ripresa il gap tra le due squadre è ulteriormente aumentato, la Roma ha costruito subito tre o quattro evidenti occasioni da rete non sfruttate per approssimazione, superficialità o, più semplicemente, poca fortuna. Il 352 pensato da Mourinho esponeva la Roma a qualche ripartenza ma garantiva densità in ogni zona del campo e l'attacco a due punte rappresentava un costante pericolo per la difesa veneta. Poi l'incredibile episodio del rigore concesso al Venezia.
Mourinho e la seconda partita
Con il Venezia clamorosamente rimesso in corsa dal signor Aureliano la partita è cambiata e qui, come abbiamo già scritto a caldo, hanno avuto un ruolo anche le responsabilità di Mourinho che ha provato senza successo a cambiare le sorti della partita semplicemente aumentando il numero degli attaccanti senza curarsi troppo dell'equilibrio della squadra. Non è questione di difesa a tre o a quattro, è questione proprio di equilibrio, quella componente fondamentale che nel calcio moderno diventa sempre più difficile da garantire anche alle grandi squadre, considerando che anche le squadre tecnicamente meno dotate oggi difficilmente rinunciano alla vocazione offensiva: anche il Venezia è addestrato al gioco offensivo e se gli lasci spazi grandi come quelli concessi dalla Roma è quasi inevitabile che ti puniscano. Sia chiaro: da qualsiasi parte si affronti l'argomento la Roma a Venezia aveva meritato di vincere. Tutti gli indicatori statistici lo testimoniano: gli xG, i tiri, il possesso palla, il numero delle azioni offensive, persino la percentuale dei duelli vinti, o l'intensità del pressing. Ma una caratteristica che universalmente veniva riconosciuta a Mourinho era proprio quella di saper garantire alle sue squadre il massimo risultato senza un'eccessiva esposizione difensiva. Invece anche a Venezia, ma era già successo in altre partite, la Roma era presa da una frenesia offensiva che faceva perdere progressivamente serenità ai giocatori. E poi: siamo sicuri che aumentare il numero degli attaccanti rappresenti davvero un vantaggio? Se fosse così le grandi squadre giocherebbero con sette o otto punte. Sicuramente domenica andare all'attacco in maniera scriteriata dopo il 2-2 sicuramente ha prodotto un risultato: quello di esporre la squadra a ripartenze letali tra cui quella del gol del 3-2. In questi casi forse la soluzione migliore è quella di continuare ad affrontare l'avversario come si stava facendo prima dell'episodio contrario. Con una formazione già decisamente offensiva, ma in grado comunque di rispettare l'avversario. Per paradosso quando è uscito Kumbulla, il difensore maggiormente messo in discussione in queste settimane, la difesa è diventato un colabrodo.
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