L'analisi di Bodø-Roma: uno in più in mezzo arriva fino in porta
Il naufragio in Norvegia. Non solo una questione tecnica: pressioni avventate e mancate letture di reparto alla base dell’umiliante sconfitta
Tra i fattori dell'umiliante sconfitta di Bodø ce ne sono alcuni che sono stati ampiamente rappresentati nei commenti a caldo e nelle controverse dichiarazioni di Mourinho nel post partita. È indubbio che abbia giocato uno scherzo maligno giocare all'improvviso a zero gradi di temperatura, con un vento sferzante che cambiava tutte le traiettorie, su un campo sintetico e dunque durissimo e con rimbalzi difficili da intuire, contro una squadra temprata a tutto questo e in evidente sovraeccitazione da massima autostima (come era stato segnalato, l'ultima partita l'hanno persa ad agosto). È indubbio che i giocatori della Roma 2 non siano all'altezza dei titolari, così come non è in discussione il fatto che anche nei discorsi della vigilia l'ipotesi di un passaggio a vuoto era stata messa in preventivo proprio da Mourinho («Faremo turn over anche perché ho considerato che poi avremo due partite in casa per raggiungere il nostro obiettivo») e che questo scarico di responsabilità poi giochi un ruolo psicologico nell'evoluzione di una partita («se perdo non succede niente di grave, lo ha detto persino l'allenatore» il retropensiero insidioso). Ma la dimensione numerica del disastro sportivo non si giustifica solo valutando il pur rilevante peso di ognuno di questi fattori.
Il centrocampista regalato
Così come consuetudine di questa rubrica ci piace portare a riflessione condivisa l'evidente alterazione tattica prodotta anche dalla scelta di affrontare i norvegesi lasciando loro il controllo del centrocampo nella prima impostazione bassa. Se è vero che la rappresentazione statica dello scaglionamento dei giocatori sopra un campo di calcio è sempre ingannevole (il gioco è fluido e ogni minimo spostamento di giocatori o del pallone determina la necessità di adattamento ed un nuovo equilibrio da ricercare, e così all'infinito), è altrettanto vero che agli allenatori piace immaginare il rettangolo di gioco come una enorme scacchiera su cui muovere le proprie pedine. Immaginate ora il classico avvio dell'azione di una squadra con quattro difensori portata a giocare il pallone senza paura, onore al merito in questo caso del fino a ieri anonimo Kjetil Knutsen, 53enne tecnico del Bodø: il portiere muove il pallone verso uno dei due centrali di difesa, disposti larghi, mentre i terzini si alzano di qualche metro per fornire alternative strade di uscita a un eventuale ingorgo nel mezzo. Di fronte c'è la Roma, con un attaccante centrale, un trequartista e due ali. Se rispetti l'avversario - cosa che la squadra giallorossa non ha fatto in Norvegia, e speriamo che cambi atteggiamento all'Olimpico tra un paio di settimane - devi saper valutare che uscendo alto con il tuo trequartista sull'altro centrale, in caso di trasmissione del pallone al regista (peraltro il miglior giocatore del Bodø, quel Patrick Berg che siamo sicuri il prossimo anno ritroveremo in altre più ambiziose squadre) costringi alla pressione uno dei due tuoi mediani, con il conseguente effetto di lasciar scoperto almeno uno degli altri due loro intermedi di centrocampo. E questo è quello che è successo spesso in quel complicato primo tempo, quello giocato peraltro con l'effetto favorevole del vento alle spalle (altro fattore forse trascurato dalla Roma). In questo senso l'azione simbolo della disfatta romanista non è stata nessuna di quelle terminate poi con un gol, ma quella condotta da Konradsen, il loro intermedio sinistro, al 16° del primo tempo. È lui a poter contare in partenza sulla più splendida solitudine. E a volte, se non hai la giusta attenzione nelle pressioni, l'uomo in più che lasci in mezzo al campo te lo ritrovi fatalmente davanti alla porta se il meccanismo di scalature arrugginito o non elaborato non ti salva in qualche modo.
Il fattore vento
Dicevamo di quanto abbia inciso anche la componente meteorologica nello sviluppo della partita. E non ci riferiamo tanto al freddo, quando al vento. Giocare con la forte spinta a favore è come per una squadra avere un giocatore un po' impreciso nella rifinitura: a volte i lanci diventano all'improvviso troppo lunghi, come quando un regista sbaglia la misura del passaggio, e le traiettorie dei tiri assumono direzioni fantasiose, come quando calcia forte un attaccante non troppo dotato. Ma giocare con il vento forte a sfavore significa giocare contro una squadra che ha un difensore in più in ogni zona del campo, un Aldair che respinge tutto. La palla viaggia bene solo se resta attaccata al terreno, non appena lascia la carezza dell'erba, in questo caso artificiale e perennemente bagnata (il campo è stato annaffiato anche all'intervallo), si ferma o torna addirittura indietro. Lasciare al Bodø il diritto di attaccare nel secondo tempo col vento a favore ha significato due cose: non capire l'importanza nel primo tempo di attaccare più spesso alzando il pallone per minare le loro certezze di linea alta e spesso esposta (il gol di Perez ne è un manifesto) e togliersi nel secondo tempo, con la squadra peraltro spaccata da un'altra scelta tattica discutibile, la possibilità di raggiungere più velocemente le punte, che peraltro erano aumentate di numero e spesso attendevano la palla senza fare lo sforzo di andarsela a prendere.
Il 433 iperoffensivo
Mourinho è poi caduto in un altro equivoco da cui non è immune quasi nessun allenatore al mondo. Perdo, dunque aggiungo attaccanti. Quando al 15° del secondo tempo ha inserito anche Abraham e Pellegrini, per Diawara e El Shaarawy, di fatto ha rinunciato del tutto ai più elementari principi di copertura difensiva schierando oltretutto la squadra con un 433 poggiato su Cristante play poco mobile e Pellegrini e Mkhitaryan intermedi, con Perez, Abraham e Shomurodov di punta. Con il risultato che nel reparto difensivo l'unico veloce, Ibañez si è fatto prendere dalla smania di accorciare su ogni avversario finendo come talvolta gli succede con lo strafare, e Kumbulla è stato esposto alle terribili ripartenze avversarie, lui che in questo momento perderebbe nello sprint anche con il Fazio meno allenato. Anche qui basti un'azione per spiegare tutto (vedi grafica accanto): la Roma esce goffamente in pressione al 26° e si espone alla geometrica infilata che passa da una verticalizzazione sul terzino destro, con scarico interno e trasmissione sullo spunto di Solbakken con Kumbulla dietro ad arrancare. Ecco perché non è stata solo una questione di Roma 2. E domani arriva il Napoli: forza Mourinho, sarà bello il confronto con Spalletti. Tocca a te.
© RIPRODUZIONE RISERVATA