Se Mourinho diventa giochista
José va oltre chi mette le etichette: già in Premier aveva proposto un altro calcio. E il suo staff segna dalla panchina
Chissà se è stata la debordante prova con la Salernitana, chissà se la voglia gli è venuta studiando questo Sassuolo costruito ormai culturalmente a trazione offensiva, chissà se semplicemente aspettava il momento giusto per poter mostrare al mondo come il segreto del suo successo non sia quell'unica idea di calcio che la gente ritiene di dover appiccicare a ogni allenatore, ma stia invece nella capacità di interpretare con brillantezza i dettami della rivoluzione calcistica che si è compiuta forse suo malgrado. Sta di fatto che José Mourinho ha preso, in questo caso sì, tutti in contropiede mostrando una faccia della Roma che pochi ritenevano fosse nelle sue corde.
Qual è il "suo" calcio?
Chi legge con continuità questa rubrica sa che nelle analisi compiute sull'evoluzione tattica dell'allenatore portoghese in Inghilterra già erano stati individuati dei principi piuttosto differenti rispetto a quelli per cui José era diventato celebre, quasi in contrapposizione - l'unica che per un po' ha retto - con Guardiola. Mourinho era universalmente considerato il re dei risultatisti e quella semifinale con il Barcellona, eliminato dalla sua Inter nel 2010, il suo capolavoro. Ma se un allenatore arriva a disputare 1000 partite dalla panchina, con quella percentuale di vittorie, peraltro, e la maggior parte delle quali con la più vincente mentalità che abbia mai albergato nella testa di un tecnico, sarebbe assurdo pensare che il suo cervello ragionasse ancora come 10 anni fa.
La ridicola discussione sulla costruzione dal basso e sulle sue controindicazioni è rimasta argomento perlopiù da salotti televisivi, da tecnici bolliti, da opinionisti dal vocabolario ristretto. Oggi nessun allenatore al mondo di buon livello può pensare di rinunciare completamente allo sviluppo di una manovra che parta dai propri difensori. Lo schema "palla lunga su un centravanti alto che la spizzi di testa" esiste ancora, ed è ancora efficace. Ma mentre una volta era una delle poche armi a disposizione dei più pratici dei nostri allenatori, adesso è solo uno schema offensivo in più, spesso lasciato alle capacità balistiche di un portiere che finge di partire basso per mandare in porta i suoi compagni d'attacco nel più breve tempo possibile. Chi lo fa meglio, tanto per fare un esempio, è Ederson del City.
La svolta giochista
Così a giudicare le partite del campionato italiano dell'ultimo weekend, senza tener conto di quali fossero gli allenatori in panchina, c'è materiale a sufficienza per poter dire che il tecnico della Roma sia uno dei più giochisti dell'intera Serie A. Come definire del resto uno che ha cominciato a fare le pressioni alte sin dai primi secondi di gioco, che ha tenuto un baricentro costantemente avanzato, che ha spinto i suoi terzini sempre oltre la metà campo, che ha continuato ad attaccare anche in vantaggio, che appena subìto il pareggio si è riversato nella metà campo avversaria senza alcun riguardo e, non pago, ha persino inserito altri tre attaccanti in cambio di due esterni e un centrocampista, finendo col rischiare tantissimo? E tutto per provare a vincere la partita proprio per il numero dei suoi attaccanti, e riuscendoci infine, premiato con tanto coraggio anche dal centimetro finale che ha tenuto in fuorigioco Scamacca che aveva realizzato forse il gol più bello della sua carriera, proprio contro la squadra che lo ha allevato da piccolo.
Il parere degli pseudoesperti
Giochino: e se invece avesse perso, che cosa si sarebbe detto della partita della Roma? La colpa sarebbe stata data probabilmente proprio alla svolta offensiva. O ci si sarebbe accaniti su un giocatore o su un reparto. Eppure mentre certi pseudoesperti si dibattono tronfi spiegando al mondo le virtù del calcio più equilibrato, quasi tutti gli allenatori vanno in una direzione opposta, compreso Mourinho, anzi Mourinho per primo, proprio perché l'evoluzione del calcio non si può fermare e ciò che valeva 10 anni fa oggi non vale più. Se oggi ti metti ad aspettare una squadra come il Sassuolo, difendendo basso nella tua metà campo e accontentandoti di chiudere ogni varco all'iniziative avversarie, c'è il rischio che la palla non la becchi più. Ora che fisicamente se lo può permettere, anche José, dunque, ha alzato il baricentro della squadra. Lo aveva detto anche al termine delle prime tre partite della stagione, unite da un filo conduttore piuttosto evidente: l'iniziativa lasciata all'avversario, la vittoria conquistata dalla Roma: «Ma presto saremo in grado di pressare di più e più alti». A Salerno la svolta, confermata anche nella sfida contro la squadra che più di ogni altra oggi rappresenta ciò che di buono si può costruire nel calcio puntando sulla forza delle idee.
Ridurre i rischi
Se poi la domanda è: è necessario rischiare così tanto per attaccare? La risposta ovviamente è no. Se la Roma ha rischiato è stato per una somma di circostanze dovute alla stanchezza, alla sconsiderata voglia di vittoria e a qualche errore di interpretazione di un singolo che, anche se sbaglia lontano 80 metri dalla porta, poi rischia di farti prendere un gol. Qui ci sono i margini di miglioramento di alcuni giocatori della Roma, gasati dalla prospettiva di lavorare con Mourinho e di fargli vedere quanto siano già avanti sul piano della mentalità, quando in realtà sono ancora frenati da una maturazione provvisoria, che Mourinho può provvedere ad accelerare, ma che non è ancora compiuta. Ma sul fatto che diano il 110% del loro potenziale è indubbio. E solo Mou poteva riuscirci così in fretta.
Il gol segnato in panchina
Se poi qualcuno davvero rimpiange le decine e decine di partite a stagione che qualche anno fa nel campionato italiano terminavano 0-0, si faccia avanti. Oggi il calcio è un'altra cosa e se Mourinho è ancora nei posti davanti è solo perché con la sua intelligenza l'ha capito prima. Indietro non si torna, e lo staff di giovanissimi collaboratori che ha ne è l'ennesima prova. A loro si deve probabilmente il gol di Cristante con lo schema su punizione. E l'abbraccio che quattro dei collaboratori di Mourinho si sono concessi durante i festeggiamenti del goal è la prova che nell'evoluzione calcistica degli ultimi anni c'è posto soprattutto per chi con umiltà studia ogni dettaglio.
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