Storie infinite

Un colpo di fulmine dal ’77 all’eternità

Il 9 gennaio di 48 anni fa nasceva il Commando Ultrà Curva Sud: da lì in poi è cambiata la storia del tifo

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
09 Gennaio 2025 - 06:00

Colpo di fulmine. Rapimento visivo e uditivo. O meglio, di tutti i sensi. Il fulmine del Commando arriva, colpisce, entra dentro e non ti molla più. Come la prima volta allo stadio, la prima bocca spalancata, il primo sguardo riempito di meraviglia da quello straordinario spettacolo di colori. Liturgia laica che diventa sacra, perché ci si sente parte di qualcosa di più grande rispetto a se stessi.

E quel primordiale suono che fa vibrare fino al più profondo dei meandri, non può che essere un coro. Migliaia di voci all’unisono e i brividi che pervadono ogni singola cellula. «Quando al ciel si alzeran le bandiere». Per tutti i nati prima degli Anni 90 quel suono ha un nome solo: Commando Ultrà Curva Sud. E per chi non ha avuto la fortuna di viverlo di persona, rappresenta il legame ancestrale col tifo. Sotto pelle, impossibile da recidere perché chiunque nasce romanista ce l’ha iscritto nel codice genetico. Il Cucs è parte del nostro DNA collettivo, esattamente come Italo Foschi e i pionieri di Testaccio, la grinta di Ferraris IV e De Rossi, la classe di Bernardini e Falcão, i gol di Amadei e Pruzzo, il talento sconfinato di Conti e Totti, il cuore di Rocca, la fascia eternamente al braccio di Di Bartolomei.

Come ogni singolo momento intriso di romanismo, portatore di gioie e delusioni, sorrisi e lacrime, esultanze sfrenate e struggenti malinconie. Il Cucs è la nostra impronta indelebile, impressa sul cemento ancora fresco del tifo e mai più cancellata. Perché a nessuno in nessun’altra parte del mondo è mai riuscito quello che il Commando ha immaginato. Realizzandolo. Quei ragazzi del ‘77 danno corpo ai sogni di un popolo. Più rivoluzionari e visionari degli indiani metropolitani, più ribelli e destabilizzanti dei punk. Fanno la cosa più semplice nel modo più dirompente: unendo tutti dietro l’Idea suprema. La Roma. La fantasia al potere in giallorosso. Corpo unico fra la squadra e la sua gente, come mai era capitato prima.

Osservati, invidiati, anche ammirati dal resto del mondo. Rivali compresi. Perché rappresentano l’archetipo del supporto: coreografie inedite e maestose, sostegno incessante. E quell’indirizzo guidato sempre dai sentimenti, anche nei momenti più terribili: il dopo-Paparelli, la finale di Coppa Campioni con Rocca in Curva, l’addio a Capitan Agostino, in campo e fuori... 

Un decennio sulle montagne russe emotive, prendendo fra le braccia una squadra sofferente e accompagnandola a un niente dal tetto d’Europa, per poi starle accanto anche nella fase discendente, come anima romanista comanda (il «Che sarà sarà» col Bayern alla fine del ciclo d’oro è consegnato alla leggenda). Contestando con la necessaria durezza quando è il caso, mai distruggendo. Duri senza perdere la tenerezza.

Fino al 1987, quando l’arrivo di Manfredonia cambia tutto. La separazione, le liti, le due anime e una netta cesura col passato. Il calcio moderno fa irruzione in quel momento, tagliando i ponti in un colpo solo: con i favolosi Anni 80 che ci hanno visto padroni; con l’originario modo di intendere il senso d’appartenenza dei giocatori alla maglia e viceversa; e con la culla del tifo. Una tripla recisione troppo profonda per non portare sconquassi anche nella Sud. Che avverte il colpo e si allontana poco a poco dai picchi di eccellenza assoluta cui aveva abituato. Troppo scollamento per resistere, anche se certe punte di tifo restano notevoli. Nonostante sia cambiato tanto, troppo - anche materialmente - in uno stadio che nessuno sente più come proprio: abbrutito, imbruttito, raffreddato e devitalizzato dalla copertura. Per non parlare della sostituzione del marmo bianco con gli orribili seggiolini dal discutibilissimo colore...

Il calcio cambia, il panorama del tifo anche, subentrano nuove generazioni. La Sud resta un modello, sia pure con stile, sigle e gruppi differenti rispetto al passato. Eppure il sigillo del Commando resta impresso a fuoco su ogni ragazzo che fa il suo ingresso in quello spicchio di stadio denso di passione. Si respira, si avverte, si sente addosso. E rimbomba nell’anima: «Dalla Curva si alzerà». Anche dopo i suoi primi 48 anni. Come la prima volta. Perché da quel 9 gennaio del 1977 è parte della nostra Storia. Buon compleanno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI