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Anarchy in the UK: la Roma nel regno dei poeti maledetti del calcio

Da Best a Rooney, giocatori britannici oltre i confini della normalità: storie di vite dissolute, dall'alcol alla galera

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
26 Novembre 2024 - 17:44

«Destroy» urla, più che cantarlo, Johnny Rotten il 26 novembre 1976. È lo schiaffo dei Sex Pistols ai costumi della società contemporanea. Quel rantolo graffiante irrompe ovunque con la forza di un cortocircuito, a chiudere il singolo “Anarchy in the UK”, uscito 48 anni fa esatti e destinato a cambiare per sempre la storia del rock. E non solo. Capostipite del punk, inteso come modo di pensare prima ancora che come stile musicale, influenza i ribelli di tutto il mondo, espandendosi dal Regno Unito a ogni angolo in cui si annidano sacche di resistenza alle regole imposte e al pensiero unico. Calcio compreso. Il football non è ancora comunemente inteso come propagatore di stimoli sociali, eppure si è già appropriato di quel ruolo da almeno un decennio. E l'Inghilterra – come spesso capita – fa scuola.

Into the wild

Indisciplina. È la parola di (dis)ordine. Per chi del calcio, alle regole prima che al pallone, ha fatto una ragione di vita. La storia del football britannico è densa di esempi che vanno in questa direzione. Ostinata e contraria. Nei confronti del sentire comune, di precetti e imposizioni, di un'esistenza basata su norme e normalità. Agli antipodi rispetto ai calciatori soldatini, ai Mister "decide-il-mister" così inflazionati nel resto del mondo.

L'ultimo in ordine di tempo è Jack Grealish. Talento sconfinato e discontinuo che fatica a trovare posto fisso nella pletora di campioni strapagati dagli sceicchi del Manchester City e guidati da Sua Maestà Guardiola. Perfino Pep ha dovuto adattare la propria impronta barcelonista e collettivista alla fever pitch di marchio britannico. Chiudendo un occhio su usanze che contemplano pub e ricche bevute. Di una sbronza epica diventa protagonista proprio il fantasista della nazionale dei Tre Leoni, all'indomani del trionfo in Champions. Il coronamento del treble nel 2023 porta lui e qualche compagno ad alzare il gomito un “filino più del lecito”, moltiplicando nella durata e nel realismo le scene cult di “Una notte da leoni”. Grealish e compagni trascorrono quattro giorni fra Istanbul, Ibiza e Manchester all'insegna dell'alcol senza freni. Talmente tanto che sul bus della parata per le vie della città mancuniana con i trofei, è Kyle Walker a trattenere Jack per i pantaloncini mentre rischia di cadere dal parapetto, ancora visibilmente alticcio.

Stessa città, altra sponda, sei anni prima. Protagonista un altro fuoriclasse assoluto: Wayne Rooney, non nuovo a episodi sopra le righe già in maglia Red Devils. Sul finire della carriera l'attaccante rientra a Liverpool. Non bastasse il ritorno da avversario a Old Trafford con annessa batosta rimediata dal suo Everton, il giorno dopo il tribunale di Stockport condanna l'ex Manchester United a una pena di due anni senza patente e cento ore di servizi sociali. Il centravanti era stato fermato dalla polizia nella notte del 2 settembre 2017, ubriaco ben oltre le soglie consentite dai limiti del codice della strada. Il tutto con avvenente modella al suo fianco. Risultato: pena che più dura non si può e matrimonio sull'orlo di una crisi di nervi. Old wild Wayne.

I pionieri

La bravata di Rooney si inserisce nel solco di una tradizione, rigorosamente britannica, che annovera una sfilza di bad boys. Il capofila non può che essere George Best, le cui gesta sono tramandate da una tale mole di letteratura, musica e cinematografia, da essere patrimonio comune di tutti i fan dei dissoluti. La sua biografia è ormai storia, i suoi aforismi narrativa contemporanea. La sregolatezza, soprattutto dopo la morte che rende imperituro ogni mito, è elevata a "semplice" genio, slegato dal binomio classico. Tanto da avere un aeroporto (quello di Belfast) intitolato a lui.

L'alter ego meno glamour di Best risponde al nome di Robin Friday. Rispetto a lui, Georgie appare quasi un tipo ordinario. Talento smisurato come l'illustre collega e un curriculum anche peggiore. Carriera iniziata da detenuto in riformatorio, nelle giovanili del Reading. Una partita non cominciata dal 1' perché ubriaco al bar dello stadio, ma conclusa con gol. Un bacio a uno dei bobbies presenti a bordo campo per festeggiare la rete della promozione in terza divisione. Perfino un successivo pentimento rispetto al gesto, con tanto di dichiarazione politicamente scorrettissima: «Lo avevo visto tutto serio, invece era un momento di festa. Ma mi sono pentito di averlo baciato, visto che odio così tanto i poliziotti». In sintesi, una vita in preda ai fumi dell'alcol e ai deliri derivanti dall'uso smodato di Lsd. Condita da risse e gestacci pubblici, uno dei quali gli vale la copertina del disco dei Super Furry Animals, "The man don't give a fuck". Più eloquente non si può.

I post punk

Sulle orme di Best anche a cavallo fra i due millenni, con Tony Adams e Paul Gascoigne. L'alcol come compagno fedele e al tempo stesso ineluttabile. Per entrambi un'esistenza di gran lunga sopra le righe, in campo e fuori. Tony è il capitano dell'Arsenal eternizzato da Nick Hornby e dal gol ad Anfield di Michael "History Man" Thomas. Ma da quel pieno di felicità al fegato perennemente spappolato, il passo è troppo breve e Adams finisce in galera, abbandonato dalla moglie, privato del figlio. Sul versante opposto di Londra Nord, sponda Spurs, sorte simile per Gazza, oggettivamente dotato di smisurato talento - nonostante i suoi trascorsi italiani - clownesco già in campo (e in gioventù), consumatore manifesto di birre fin dagli esordi. Ultimamente immortalato seminudo e alticcio, ma in tanti sospettano che siano gli stessi impietosi tabloid a provvedere alla "spesa".

Dulcis in fundo, un'icona del calcio, non solo britannico. Consacrato in Inghilterra, casacca del Man U (dopo una tappa ricca di gloria a Leeds), di sangue franco-italiano, ma soprattutto bollente, il "maledetto" per antonomasia è Eric Cantona. Espressività innata, talento per la recitazione e dichiarazioni fuori dagli schemi gli valgono la carriera da attore dopo quella da calciatore; proprio come l'altra icona dei brutti, sporchi e cattivi: Vinnie Jones, diventato caratterista-feticcio di Guy Ritchie e del cinema action inglese. Il calcio volante sferrato dal “poco amico Eric” al tifoso del Crystal Palace fa parte dell'iconografia del football dei maledetti. Come il resto della sua carriera: gesti meno eclatanti, ma ben oltre i confini degli schemi. Gesti no rules. Che rendono Re.

 

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