Fra tramonti e Albion
Non solo meta turistica e marina: Brighton è anche città di tendenze e trasgressioni. Riferimento della cultura underground Mod per il film “Quadrophenia”, tratto dal capolavoro degli Who
Inglese come poche e al tempo stesso lontanissima dallo stereotipo della città britannica, Brighton è un coacervo di tendenze, sottoculture, slang, stili architettonici. E colori. Occorre fare ricorso all’intera gamma di tonalità per averne un’idea, sia pure sommaria. Al grigio plumbeo che fa da archetipo ai cieli d’Oltremanica, più che contrapporre aggiunge un vero e proprio arcobaleno di tinte. Reale quanto metaforico. Visibile dagli oltre tre chilometri di seafront (lungomare) nei continui andirivieni di piogge e sole. Ma che si avverte anche soltanto respirando le atmosfere cittadine, dense di trasgressioni di ogni genere: da St James street, dove sono concentrati sexy shop e locali notturni, si snodano i weekend all’insegna del clima festaiolo, che si tratti di addii al celibato, al nubilato o semplici party arricchiti da continue jam session di artisti di ogni provenienza. E ancora una nutrita presenza della comunità gay, che da sempre sceglie Brighton come sede prediletta per il “Pride”.
Stravaganze di tutti i generi sono riscontrabili anche in una semplice passeggiata per le stradine del centro, dove è possibile incrociare uomini e donne ben oltre la settantina con look punk nel senso più letterale: da creste colorate dalle tinte più sgargianti, a tatuaggi e toppe anche molto evidenti. Così come può capitare di incrociare auto tipo Cab - quelle comunemente adibite a taxi in Inghilterra - con la carrozzeria interamente rivestita di pellicciotti dai colori pastello o anche più accesi. O ancora locali intergenerazionali, con almeno mezzo secolo di stacco fra i vari avventori ma nessuno che si senta fuori posto rispetto al contesto.
L’ambiente cosiddetto “alternativo”, formato in larga parte da studenti e lavoratori provenienti dall’Europa continentale, convive però senza alcun problema con una working class prevalentemente bianca, formata da pendolari con la vicina Londra (che dista circa 80 chilometri), commercianti e operai in servizio sulla costa. Proprio come le costruzioni dal tocco architettonico più fantasioso coesistono accanto al Royal Pavilion, di impronta orientaleggiante, e agli edifici in stile vittoriano. O ancora l’attuale Pier (il porticciolo turistico) convive coi resti del vecchio molo, il West Pier andato in fiamme nel 1975 ma il cui scheletro curiosamente è ancora in bella mostra sul mare. La stessa conformazione geografica sembra assecondare la tendenza, col Parco Nazionale del South Downs che nasconde la costa. Ossimori apparenti. Estremi che si toccano camminando a braccetto in una città che non teme le apparenze, che esce fuori da stereotipi e incasellamenti di sorta, che rispetta il passato guardando al futuro.
Non poteva che trovare terreno fertile in premesse simili uno dei movimenti underground maggiormente degni di nota degli ultimi sessant’anni. Quello Mod, nato a Shepherd’s Bush, (nella zona di Hammersmith a Londra) all’inizio degli Anni 60 sull’onda dei primi ribellismi giovanili e portato sulle spiagge proprio dell’East Sussex dai primi raduni di gruppi di ragazzi che si spostavano in massa in sella a Vespe e Lambrette super-accessoriate. Nel 1964 la spiaggia di Brighton fu teatro dei famosi scontri fra mods e rockers, che ispirarono il film “Quadrophenia” del 1979, tratto dall’omonimo album degli Who e nel quale recitò anche un giovanissimo Sting, proprio nella parte di un mod. Quei fermenti musicali così magistralmente narrati in quell’opera di culto sono ancora vivissimi. Lì, nella London by the sea.
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