Più carota che bastone: così Claudio ci prova
Ranieri: un papà al comando. E i giocatori non possono fare altro che seguirlo
Sa bene Ranieri, e se l’è fatto sfuggire anche in conferenza stampa, che dopo le sue prime tre partite nella nuova avventura romanista rischia di restare solo con un pizzico di buone, ma frustrate intenzioni. Stasera c’è il Tottenham («nelle ultime quindici esibizioni europee ha totalizzato due pareggi e tredici vittorie» ha masochisticamente ricordato ieri il tecnico), dopo il ko di Napoli («ma con una buona prestazione») e prima dell’apparentemente proibitivo confronto con la scatenata Atalanta lunedì. Sa bene che la sua stagione rischia di cominciare solo con Roma-Lecce - che per importanza rischia di avvicinare quella diventata poi tristemente famosa ai tempi di Eriksson. Certo è che se si guardano le cose da un altro punto di vista, senza aspettative ogni regalo che dovesse arrivare tra stasera e lunedì sarà tanto di guadagnato.
Nell’avveniristica sala stampa del nuovo stadio del Tottenham, Claudio si muove con l’agilità dell’istrione. Saluta i giornalisti in italiano e in inglese, ma poi le risposte le declina rigorosamente nella sua lingua e anche alle domande dei cronisti locali prima di dare una risposta aspetta (anzi, richiede) la preventiva traduzione dell’interprete, così non rischia equivoci. Prima di trattare i temi della sua squadra si profonde in una serie di sperticati elogi per il Tottenham e per il lavoro del suo collega Postecoglu. E non svela nulla della formazione, dice che vuole prima parlare con i suoi giocatori e lo farà solo stamattina. Gli si può credere, o meno. Ma oggi la Roma ruota intorno a lui. Friedkin gli ha messo in mano le chiavi e lui se le è prese. Lo psicologo Coates non faceva presa, diciamo così, sulla squadra e il tecnico ne ha chiesto l’allontanamento, tanto era ancora nel periodo di prova.
E con i ragazzi usa più la carota che il bastone, almeno pubblicamente. Mentre ad esempio cominciano a sedimentare i dubbi sull’attaccamento alla maglia di Dybala, lui senza che nessuno gliel’abbia chiesto, ne sottolinea proprio la passione per la causa: «L’ho portato a Napoli non per farlo giocare, ma perché lui voleva essere vicino ai suoi compagni, e io l’ho usato in quei pochi minuti. Ma gli ho chiesto di non farsi male». Come quando mandi il bambino al parco a giocare. È infatti è come un papà e, che lo apprezzino o meno, i giocatori sanno perfettamente che adesso non hanno più alibi. O stanno dalla sua parte o affondano con lui. Quando è stato esonerato Mou se ne sono rapidamente fatti una ragione, quando è toccato a De Rossi l’hanno vissuto come un lutto, Juric come una liberazione. Ranieri, comunque vada, sarà l’ultimo allenatore di quest’anno. E nessuno potrà discuterlo, al massimo si potrà essere accompagnati alla porta. A gennaio o a giugno. Nell’attesa bisogna portare la Roma fuori dal guado. Stasera la prima occasione.
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